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19 Novembre 2021

Registrazione in malafede e tutela del marchio di fatto utilizzato nel settore alberghiero

I segni distintivi di fatto possono articolarsi in maniera separata, sicché è astrattamente possibile che un imprenditore abbia preusato il segno per la ditta-denominazione sociale, senza aver fatto uso dello stesso come marchio, per contraddistinguere merci prodotte o servizi forniti, onde la necessità, in caso di affermazione del possesso di un marchio di fatto, che colui il quale chieda di affermare il conseguimento di un proprio diritto fornisca, al riguardo, una prova completa sia della ditta-denominazione sociale sia di quello del segno in funzione di marchio (e della conseguente notorietà di esso), atteso che l’uso di fatto di un segno in funzione di ditta/denominazione sociale non ne comporta l’automatica e meccanica estensione in funzione di marchio e viceversa. Il preuso di un marchio di fatto, comporta che il preutente abbia il diritto all’uso esclusivo del segno, ossia abbia il potere di avvalersene che è distinto da ogni successiva registrazione corrispondente alla denominazione da lui usata, la quale si pone su un piano diverso rispetto al diritto di preuso, sicché ben può una tale registrazione essere dichiarata nulla, anche per decettività, in rapporto ai segni confliggenti. Ne consegue che, ove la registrazione decettiva sia dichiarata nulla, non per questo il preutente che aveva provveduto a formalizzarla perde il diritto di continuare a far uso del segno, specie laddove, per la cessata interferenza con i diritti registrati da altro titolare di uno o più marchi, sia venuto meno anche il conflitto.

 

12 Ottobre 2021

Diritto al legittimo utilizzo del patronimico all’interno dei segni distintivi, contraffazione del marchio e concorrenza sleale

L’art. 2564 c.c. nel disciplinare il concorso tra ditte uguali o simili che possano creare confusione per l’oggetto dell’impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, impone di integrare o modificare la propria ditta a quello tra i due imprenditori commerciali che l’abbia iscritta nel registro delle imprese in epoca posteriore. Difatti, l’uso precedente del segno –quale marchio di fatto –da parte del richiedente o del suo dante causa non è di ostacolo alla successiva registrazione del marchio (art. 12 C.P.I.), non costituendo anteriorità distruttiva. [Nel caso di specie, al fine di poter validamente rivendicare il diritto di preuso del patronimico, non è sufficiente dimostrare di essere discendenti di imprenditori che esercitavano la stessa attività, ma occorre dimostrare la continuità di impresa.]

Contraffazione relativa ai marchi di fatto: onere della prova

Ai sensi dell’art. 121 c.p.i. l’onere di provare la contraffazione incombe sul titolare, con la precisazione che in caso di contraffazione di diritti non titolati l’attore dovrà dimostrarne i fatti costitutivi, e cioè l’esistenza e la validità
(presunte per i diritti titolati attraverso la registrazione) della privativa, dunque del marchio di fatto, attraverso la dimostrazione: dell’uso attuale; della notorietà conseguente, identificativa dei prodotti per cui si chiede tutela e correlata con la priorità dell’uso implicante la novità richiesta dall’art.12 c.p.i. necessaria anche per i marchi di fatto; della conseguente percepibilità del segno come riferibile ad una determinata realtà imprenditoriale da parte dei soggetti interessati; del compimento da parte del soggetto al quale si contesta la contraffazione di uno dei comportamenti enucleabili dall’art. 20 c.p.i.

29 Dicembre 2020

Tutelabile e registrabile il marchio di posizionamento apposto sulla quinta tasca dei jeans

È tutelabile e validamente registrabile il marchio di posizionamento – ancorché complesso – costituito da una stretta striscia di tessuto di qualsiasi colore apposta sulla quinta tasca di un paio di pantaloni […] che appare inclinata rispetto al dorso superiore della tasca sulla quale è apposta. Un siffatto segno può essere oggetto di un uso e di una registrazione come marchio, posto che tale etichetta costituisce un aspetto “capriccioso” ed inessenziale, essendo tutelata non la striscia che compone un’etichetta tout court, bensì una sua specifica configurazione indicata sostanzialmente nella posizione sull’indumento e nella sua inclinazione.

15 Settembre 2020

Nullità di marchio registrato per carenza del requisito di novità in presenza di un marchio di fatto anteriore

Anche i nomi geografici possono formare oggetto di marchio registrato dal momento che il toponimo può assumere un significato originale e di fantasia mediante trasposizione dal piano del riferimento dei luoghi a quello della funzione individualizzante il prodotto e ciò soprattutto quando si tratta di piccole località ignote come tali alla generalità dei consumatori.

In relazione al marchio non registrato, cd. marchio di fatto, l’utilizzazione rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie e la sua assenza determina di per sé l’impossibilità di realizzare una delle condizioni indispensabili per la sua tutela, qualora a seguito dell’interruzione del suo uso e della conseguente perdita di notorietà, sia trascorso un lasso di tempo idoneo a far ritenere che il mercato abbia perso il ricordo del segno e della sua specifica provenienza imprenditoriale, incombendo a chi se ne afferma titolare l’onere di fornire la prova dell’uso, della sua estensione territoriale e della sua persistente notorietà, siccome elementi che attengono tutti alla fattispecie costitutiva del diritto.

La notorietà qualificata del marchio di fatto va riferita all’attualità ed alla sua capacità di svolgere concretamente la funzione distintiva che gli è propria; sicché essa non si può considerare esistente solo in virtù della notorietà e del pregio conseguite dal segno in passato se manca la prova della prosecuzione e dell’attualità della produzione.

 

20 Luglio 2020

Nullità del marchio successivo simile al segno anteriore riproducente l’immagine di un avo e assenza di concorrenza sleale. Carenza di legittimazione attiva

La legittimazione attiva per la tutela del marchio registrato ex art. 20 c.p.i. spetta esclusivamente al titolare del marchio, apparendo irrilevante sul piano del diritto – se non in alcun modo provata – l’autodefinizione in termini di “ex titolare di fatto del marchio” o anche di “autore morale dell’immagine riportata nel marchio”.

La circostanza che l’insegna, e più in generale l’immagine in essa riprodotta, raffiguri un avo di un soggetto non esclude la possibilità che quella immagine possa essere inserita nei segni distintivi aziendali e quindi possa essere legittimamente utilizzata da altri soggetti, acquirenti dei predetti segni.

E’ principio noto e consolidato, in coerenza con la funzione intrinseca del segno, che l’apprezzamento sulla confondibilità fra i segni distintivi similari dev’essere compiuto dal giudice non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via generale e sintetica, vale a dire con riguardo all’insieme degli elementi salienti, grafici, visivi e fonetici dei marchi interessati, e tenuto conto di tutti i fattori pertinenti, e quindi della notorietà del marchio e del grado di somiglianza tra i prodotti, nonché della normale avvedutezza dei consumatori cui i prodotti o servizi sono destinati.

L’uso del patronimico consentito nella ditta, in quanto giustificato per il principio di verità, deve avvenire nell’osservanza dei principi di correttezza professionale, e quindi non in funzione di marchio, e non in contrasto con la disciplina delle privative.

La tutela giuridica del marchio

L’uso indebito del marchio e l’aver posto in essere atti di concorrenza sleale con conseguente sviamento della clientela sono ipotesi di illeciti civili di sé diversi in quanto il primo presuppone la prova della esistenza del marchio protetto oltre l’esistenza di atti consistenti nel suo indebito uso, mentre il secondo comporta esclusivamente la prova di atti concretamente idonei allo sviamento della clientela di altrui ditta, che prescindono dall’esistenza di un marchio registrato o di fatto di quest’ultima e dall’uso indebito di esso.

La molteplicità di elementi che integrano la tutela del marchio di fatto deve essere oggetto di prova da parte di colui che invoca la tutela. Questi in particolare dovrà, dunque, fornire la prova in primo luogo dell’uso del segno e la conseguente notorietà qualificata, il relativo riferimento merceologico e l’estensione della ambito territoriale: ciò anche attraverso una serie di indici quali ad esempio la rilevanza quantitativa del prodotto o del servizio, la durata di questa presenza, il suo ambito territoriale, la pubblicità cui il prodotto o il servizio siano stati fatti oggetto, il tutto parametrato alla originaria forza o debolezza del segno.

18 Dicembre 2019

Registrazione in malafede del patronimico noto per la produzione di vino Valpolicella

La Corte di Giustizia ha affermato che la registrazione di un marchio può dirsi in malafede quando, al momento del deposito della domanda di registrazione, il richiedente mira ad impedire la attività di impresa dei concorrenti, piuttosto che a proteggere la propria attività, ovvero intende trarre vantaggi ingiustificati, appropriandosi di segni attrattivi già presenti sul mercato. La conoscenza da parte del richiedente della esistenza di segni altrui nel mercato non è sufficiente, di per sé, ad integrare la prova della malafede, essendo necessario invece dimostrare che l’intenzione del richiedente la registrazione è specificamente fraudolenta, perché volta, ad esempio, ad impedire ad un terzo di commercializzare un prodotto con quel segno. Ovviamente della intenzione fraudolenta, elemento immateriale, intimo e soggettivo, non può fornirsi prova diretta, e la sua dimostrazione deve necessariamente trarsi da circostanze oggettive e note, che tramite un ragionamento presuntivo consentito dagli artt.2727 ss c.c. conducano a ricostruire le intenzioni di chi agisce. La Corte di Giustizia ha indicato, come esempi in cui le circostanze oggettive sono indizianti della malafede, il caso di chi registri un marchio, senza poi utilizzarlo, (il che evidenzia la intenzione impeditiva) ovvero ancora il caso di chi registri un marchio particolarmente noto ed attrattivo, (il che evidenzia la intenzione di appropriazione).

11 Dicembre 2019

Accertamento della contraffazione e sussistenza dei requisiti per la tutela di un segno come marchio di fatto

La genesi di un marchio di fatto non si ricollega automaticamente all’uso, pur protratto ed esclusivo, del segno, ma richiede la prova che tale uso gli abbia attribuito “notorietà”, ossia abbia determinato il diffuso radicamento della forza distintiva del segno nella percezione dei consumatori. Pertanto, l’intensità dell’uso del segno e, conseguentemente, la sua notorietà rappresentano le condizioni primarie e necessarie ai fini del suo riconoscimento e della sua tutela industrialistica come marchio di fatto. L’uso del marchio, per conferirgli la necessaria notorietà, deve essere, quindi, intenzionale e continuo, non precario né sperimentale, occasionale o casuale, e deve assicurare la conoscenza effettiva e diffusa del prodotto contraddistinto.