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30 Novembre 2021

Uso del marchio altrui come insegna e rischio di confusione

Il titolare del marchio registrato ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica un segno identico o simile allo stesso marchio, per prodotti o servizi identici o affini a quelli per cui tale marchio è stato registrato. In base all’art. 20 c.p.i., la contraffazione ha luogo nel caso di utilizzo indebito di un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, qualora a causa della identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. Il rischio di confusione si concretizza quando il consumatore, dotato di media avvedutezza, collega ad un marchio, un segno imitante, senza distinguere i due prodotti, caratterizzati da elementi essenziali comuni, mentre il rischio di associazione si concretizza quando, pur senza incorrere in confusione, il detto consumatore associa mentalmente il segno contraffatto a quello oggetto di marchio d’impresa, sulla base dell’elemento o degli elementi di quest’ultimo, dotati di capacità distintiva e presenti anche nel primo.

20 Luglio 2020

Nullità del marchio successivo simile al segno anteriore riproducente l’immagine di un avo e assenza di concorrenza sleale. Carenza di legittimazione attiva

La legittimazione attiva per la tutela del marchio registrato ex art. 20 c.p.i. spetta esclusivamente al titolare del marchio, apparendo irrilevante sul piano del diritto – se non in alcun modo provata – l’autodefinizione in termini di “ex titolare di fatto del marchio” o anche di “autore morale dell’immagine riportata nel marchio”.

La circostanza che l’insegna, e più in generale l’immagine in essa riprodotta, raffiguri un avo di un soggetto non esclude la possibilità che quella immagine possa essere inserita nei segni distintivi aziendali e quindi possa essere legittimamente utilizzata da altri soggetti, acquirenti dei predetti segni.

E’ principio noto e consolidato, in coerenza con la funzione intrinseca del segno, che l’apprezzamento sulla confondibilità fra i segni distintivi similari dev’essere compiuto dal giudice non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via generale e sintetica, vale a dire con riguardo all’insieme degli elementi salienti, grafici, visivi e fonetici dei marchi interessati, e tenuto conto di tutti i fattori pertinenti, e quindi della notorietà del marchio e del grado di somiglianza tra i prodotti, nonché della normale avvedutezza dei consumatori cui i prodotti o servizi sono destinati.

L’uso del patronimico consentito nella ditta, in quanto giustificato per il principio di verità, deve avvenire nell’osservanza dei principi di correttezza professionale, e quindi non in funzione di marchio, e non in contrasto con la disciplina delle privative.

11 Novembre 2019

Importanza dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto e diritto di recesso

Ai fini della risoluzione per inadempimento è necessario valutare che esso non abbia scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte (art. 1455 c.c.).

In un contratto di licenza d’uso di marchio, le allegazioni relative alla convenienza dell’affare sono inidonee a integrare un inadempimento rilevante, per cui non si può procedere con la risoluzione quando l’iniziativa commerciale non ha avuto successo, non essendosi realizzata l’attrazione della clientela che ci si aspettava dall’utilizzo del marchio, o a causa dell’insufficienza dei volumi di vendita, che rende l’attività commerciale non più sostenibile.

In secondo luogo, non è possibile procedere con la risoluzione allegando a giustificazione un solo episodio comprovante l’inadempimento, senza avere riguardo al complesso delle circostanze e del contesto in cui ha avuto esecuzione il contratto. Qualora dalla corrispondenza tra le parti emerga un clima di positività, in cui sono comunemente tollerati reciproci inadempimenti in vista del mantenimento dell’accordo e della conclusione di una futura collaborazione commerciale, l’inadempimento dell’attrice relativo al rimborso di una quota dell’affitto “ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”, soprattutto se tale questione è stata trattata solo marginalmente.

In tale contesto, l’esercizio improvviso del diritto di recesso e dunque la cessazione inaspettata del rapporto non risultano rispettose del canone di buona fede, che impone “a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge” (Cass. 20106/2009).

24 Gennaio 2018

La tutela accordata al titolare della ditta

Ai sensi dell’art. 2564 c.c. – norma, posta a tutela del diritto dell’imprenditore al proprio segno distintivo costituito dalla ditta ed a proteggerlo dal pericolo di confusione, per effetto dell’uso, da parte di un altro imprenditore, di una ditta uguale o simile -, il titolare della ditta, che per primo, se si tratta di società commerciale, ha iscritto la ditta nel registro delle imprese, in presenza dell’uso da parte di impresa concorrente di un segno distintivo uguale o simile e laddove vi sia una confondibilità potenziale presso il pubblico, data dalla sovrapposizione dell’oggetto delle imprese concorrenti e del luogo di svolgimento dell’attività, ha diritto di pretendere che l’impresa concorrente integri o modifichi la ditta con indicazioni atte a differenziarla dalla propria.

La suddetta disposizione è poi richiamata, per i nomi sociali, dall’art. 2567 c.c. e, per le insegne, dall’art. 2568 c.c..

La tutela accordata al titolare della ditta dall’art. 2564 c.c., nel caso che altri faccia uso di ditta uguale o simile e ciò possa creare confusione per l’oggetto delle rispettive attività ed il luogo in cui sono esercitate, viene a concorrere con la tutela contro atti di concorrenza sleale, a norma dell’art. 2598 n. 1 c.c., .qualora, oltre alla suddetta confondibilità, sufficiente per l’applicazione del citato art.2564 c.c., si verifichi anche una situazione idonea ad arrecare pregiudizio, ad incidere cioè negativamente sul profitto che l’imprenditore tende ad ottenere attraverso l’esercizio dell’impresa.
Tale ultimo requisito, peraltro, non richiede un danno già prodottosi, in relazione ad un’attività concorrenziale in atto, e deve essere ravvisato anche in relazione ad una concorrenza potenziale, alla stregua di una estensione od espansione in futuro dell’attività imprenditoriale, che si presenti in termini non di mera possibilità, ma di rilevante probabilità (cfr. Cass. 1/3/1986 n. 1310).
L’interesse tutelato, nell’ ipotesi di cui all’ art. 2598 n. 1 c.c., che pone il divieto specifico di atti confusori inerenti i nomi e segni distintivi o i prodotti, è quello dell’imprenditore all’ identità commerciale, oltre al correlativo interesse dei consumatori contro gli sviamenti dagli stessi atti determinati, dovendosi invece ritenere estraneo alle finalità della norma l’interesse all’ esclusività dell’adozione di forme non distintive o aventi carattere funzionale. E’, infatti, meritevole di tutela, sotto il profilo della concorrenza sleale, anche l’aspetto caratteristico esteriore (il profilo, i colori caratteristici, la sagoma degli edifici) dell’organizzazione aziendale, avente valore distintivo dell’organizzazione in sé, in quanto comunemente proprio i colori, i simboli, i connotati esteriori del complesso aziendale, nella loro impressione di insieme, presenti costantemente in una data organizzazione e non rispondenti ad esigenze funzionali, esercitano una funzione di richiamo a distanza del consumatore, il quale, quando rinviene uno o più di detti elementi, si attende di rinvenire gli altri o di trovarsi di fronte ad una sede di una data azienda ed è indotto a presumere che il prodotto ivi commercializzato provenga da quella certa impresa. Sotto questo profilo particolarmente rilevante è l’insegna, quale segno distintivo del locale dove si svolge l’attività imprenditoriale.

21 Dicembre 2017

Tutelabilità del layout di locali commerciali e concorrenza sleale

In tema di layout di locali, la ripresa degli elementi di arredo di un locale, in mancanza di prova dell’originalità di tale arredo rispetto al panorama esistente, non è da sola idonea a integrare l’illecito concorrenziale, né [ LEGGI TUTTO ]

31 Gennaio 2017

Cessazione del contratto di affiliazione commerciale, utilizzo del marchio e patto di non concorrenza

Lo scioglimento del vincolo contrattuale di affiliazione fa venire meno la fonte che autorizzava l’affiliato ad utilizzare i segni distintivi per l’esercizio dell’attività contrattuale, consentendogli di azionare sia i diritti nascenti dal contratto che quelli assoluti di privativa. Il contratto [ LEGGI TUTTO ]

15 Febbraio 2016

Conseguenze della cessione di ramo d’azienda in materia di uso dell’insegna

L’uso, successivo alla cessione di un ramo di azienda, dell’insegna del precedente titolare e l’utilizzo sul citofono della doppia denominazione del nuovo e del vecchio titolare, accompagnata dai rispettivi loghi, nonchè su carta intestata, biglietti da [ LEGGI TUTTO ]

10 Luglio 2014

Insegne contenenti il segno distintivo di un marchio a seguito della cessazione del rapporto di fornitura

Dopo la cessazione del rapporto di fornitura non è consentito al venditore finale l’utilizzo del segno distintivo del fornitore nelle proprie insegne, là dove non sussista per le modalità dell’utilizzo e le circostanze del caso concreto l’ipotesi della funzione descrittiva dei prodotti commercializzati prevista dall’art.21, comma 1, lett. c) c.p.i. [ LEGGI TUTTO ]

7 Maggio 2013

Storno di dipendenti, concorrenza parassitaria e tutela del marchio debole

Deve escludersi la competenza delle sezioni specializzate per le sole controversie in materia di concorrenza sleale che non interferiscono, neppure indirettamente, con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale (nella specie, la denominazione sociale e l’insegna). Perché lo storno di dipendenti di un’impresa costituisca atto di concorrenza sleale ex art 2598 n. 3 c.c., tale manovra deve [ LEGGI TUTTO ]