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Giovanni Puhali

Giovanni Puhali

Senior associate dello studio L&B Partners Avvocati Associati di Milano, che si occupa prevalentemente di diritto societario, commerciale e fallimentare, in ambito giudiziale e stragiudiziale

13 Settembre 2024

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore

Il curatore può far valere la responsabilità degli amministratori della società fallita tanto a mezzo dell’azione sociale, in quanto ve ne siano i presupposti, e cioè il danno prodotto al patrimonio sociale da un atto, colposo o doloso, commesso in violazione ai doveri imposti a loro carico dalla legge o dall’atto costitutivo, quanto a mezzo dell’azione dei creditori sociali, in quanto ve ne siano i presupposti, vale a dire il pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, nella misura in cui sia stato reso insufficiente alla integrale soddisfazione dei creditori della società, da un atto commesso con dolo o colpa in violazione degli obblighi funzionali alla conservazione della sua integrità. Le due azioni, ancorché diverse, vengono ad assumere, nell’ipotesi di fallimento, carattere unitario e inscindibile, nel senso che i diversi presupposti e scopi si fondono tra loro al fine di consentire l’acquisizione all’attivo della procedura di quel che è stato sottratto dal patrimonio sociale per fatti loro imputabili. Sicché il curatore fallimentare, quando agisce postulando indistintamente la responsabilità degli amministratori, fa valere sia l'azione che spetterebbe alla società, in quanto gestore del patrimonio dell'imprenditore fallito, sia le azioni che spetterebbero ai singoli creditori, considerate però quali azioni di massa. L'azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c. ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, mentre l'azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c. ha natura extracontrattuale e presuppone l'insufficienza patrimoniale cagionata dall'inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale. La differenza tra le due tipologie di responsabilità si coglie soprattutto in ciò: solo il creditore di una prestazione contrattualmente dovuta non è tenuto a provare l'imputabilità dell'inadempimento al debitore, sul quale grava l'onere della prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che l'inadempimento è dipeso da una causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). E tuttavia, compete pur sempre al creditore l'onere di allegare l'altrui comportamento non conforme al contratto o alla legge, oltre che di allegare e provare il danno ed il nesso di causalità. A maggior ragione, tali oneri gravano su chi agisce per far valere un'altrui responsabilità extracontrattuale, dovendo egli in aggiunta farsi carico (non solo di allegare, ma altresì) di provare il comportamento del convenuto in violazione del dovere del neminem laedere. Grava sugli amministratori il dovere di adempiere alle obbligazioni contratte dalla società con regolarità, al fine di evitare che la società abbia danno dai ritardi o dalle omissioni nei pagamenti, ciò quindi al fine di preservare l’integrità del patrimonio sociale. In caso di inadempimento, l’amministratore ha la possibilità di provare la mancanza di provvista in capo alla società per imputare all’impotenza finanziaria il proprio inadempimento. Tuttavia, anche in questo caso, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver attivato tutti gli strumenti del caso, dalla convocazione dell’assemblea per affrontare la crisi di liquidità con il versamento di nuova finanza, fino a prendere atto dell’impossibilità della società a proseguire la gestione ordinaria per incapacità a fare fronte con regolarità le obbligazioni tributarie attivando la messa in scioglimento. [ Continua ]
14 Settembre 2024

Nullità della delibera di approvazione del bilancio d’esercizio

La funzione del bilancio consiste non soltanto nel misurare gli utili e le perdite dell’impresa al termine dell’esercizio, ma – come risulta dall’art. 2423 c.c. – anche nel fornire ai soci ed al mercato tutte le informazioni che il legislatore ha ritenuto al riguardo di prescrivere. Stante la rilevata funzione informativa del bilancio, l’interesse del socio, che lo legittima ad impugnare per nullità la deliberazione di approvazione di un bilancio redatto in violazione delle prescrizioni legali, non dipende solo dalla frustrazione dell’aspettativa, dal medesimo socio vantata, alla percezione di un dividendo o, comunque, di un immediato vantaggio patrimoniale che una diversa e più corretta formulazione del bilancio possa eventualmente evidenziare, ma ben può nascere dal fatto che la poca chiarezza o la scorrettezza del bilancio non permetta al socio di avere tutte le informazioni – destinate a riflettersi anche sul valore della singola quota di partecipazione – che il bilancio dovrebbe invece offrirgli, ed alle quali, attraverso la declaratoria di nullità e la conseguente necessaria elaborazione di un nuovo bilancio emendato dai vizi del precedente, egli legittimamente aspira. Deve, pertanto, riconoscersi sussistente l'interesse del socio ad agire per l'impugnativa della detta delibera quando egli possa essere indotto in errore dall'inesatta informazione fornita sulla consistenza patrimoniale e sull'efficienza economica della società, ovvero quando, per l'alterazione od incompletezza dell'esposizione dei dati, derivi o possa derivare un pregiudizio economico circa il valore della sua partecipazione. Il bilancio d’esercizio di una società di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall'art. 2423, co. 2, c.c. è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell'esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l'intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte. L’esigenza di fornire informazioni in merito alle operazioni con parti correlate nella nota integrativa costituisce una declinazione del più generale principio di trasparenza del bilancio, poiché la conclusione di contratti con società collegate o controllate ovvero con persone fisiche in stretto rapporto con chi è tenuto alla redazione del bilancio può indurre il sospetto di conflitti d’interesse e di scelte di favore, non del tutto adeguate e rispondenti all’interesse della società. Le informazioni sono necessarie a fronte di operazioni che, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, sono suscettibili di orientare e influenzare le decisioni di coloro che usufruiscono delle indicazioni e informazioni contenute nel bilancio. Per interpretare il criterio delle “normali condizioni di mercato”, che esonerano dall’obbligo di informativa, occorre valutare non solo il prezzo, ma anche le motivazioni in base a cui si è concluso l’affare con tale controparte contrattuale piuttosto che con soggetti terzi. [ Continua ]
14 Settembre 2024

Nullità della delibera assembleare di s.r.l. per omessa convocazione del socio

L’omessa convocazione del socio costituisce causa di nullità della delibera assembleare in quanto assunta in totale carenza di informazione del socio pretermesso. Infatti, il disposto dell’art. 2479 ter, co. 3, c.c., nella parte in cui considera le decisioni prese in assoluta assenza di informazioni non si riferisce soltanto alla mancanza di informazioni sugli argomenti da trattare, ma anche alla mancanza di informazioni sull’avvio del procedimento deliberativo. Ove il socio agisca in giudizio per far valere l'invalidità di una delibera assembleare, incombe sulla società convenuta l'onere di provare che tutti i soci siano stati tempestivamente avvisati della convocazione intesa quale presupposto per la regolare costituzione dell'assemblea, mentre resta a carico dell'istante la dimostrazione degli eventuali vizi inerenti alla formazione della volontà della medesima. In particolare, non può essere addossata al socio che deduca l'invalidità dell'assemblea, la prova negativa dell'inosservanza dell'obbligo di convocazione, anche se la prova gravante sulla società può essere fornita altresì mediante presunzioni. L'onere di provare l'avvenuto recapito all'indirizzo del destinatario è a carico del mittente, salva la prova da parte del destinatario medesimo dell'impossibilità di conoscere l’atto per fatti a lui non imputabili. [ Continua ]
16 Gennaio 2024

Sulla qualificazione dei versamenti effettuati dai soci e sui requisiti per la postergazione del finanziamento soci ex art. 2467 c.c.

Il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento, subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull'ordine di soddisfazione dei crediti. La postergazione prevista dall'art. 2467 c.c. finisce per operare come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l'inesigibilità del credito in presenza di una delle situazioni previste dal secondo comma della disposizione, con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata. Ai fini dell’applicabilità dell’art. 2467 c.c., vale il momento della concessione del finanziamento e non rileva il deterioramento della situazione patrimoniale della società successivo al finanziamento. È però rilevante anche il momento della restituzione del finanziamento per verificare se la situazione di dissesto è definitivamente cessata. I versamenti in conto capitale non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della stessa e solo nei limiti dell’eventuale residuo attivo risultante dal bilancio di liquidazione. Il passaggio a riserva dei finanziamenti implica la rinunzia da parte del socio alla restituzione del suddetto finanziamento ed è espressione della volontà del socio di patrimonializzare la società. Mediante la rinuncia si realizza una mutazione del titolo giuridico, ossia una novazione oggettiva. Pertanto, è richiesta una dichiarazione del socio, avente natura novativa, successivamente ratificata dalla società, con cui si trasformi il credito da finanziamento in versamento da destinare nella riserva “versamenti in conto capitale”. [ Continua ]
25 Gennaio 2024

Banca Popolare di Vicenza: il divieto di promuovere o proseguire azioni previsto dall’art. 83 t.u.b.

La ratio dell’art. 83 t.u.b. è quella di devolvere al giudice della procedura, oltre alle domande cautelari ed esecutive, l'accertamento delle poste di credito vantate nei confronti della liquidazione nel rispetto della par condicio creditorum. Qualsiasi credito nei confronti di un'impresa posta in liquidazione coatta amministrativa dev'essere fatto valere in sede concorsuale, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice può conoscerne in sede ordinaria solo in un momento successivo, sulle opposizioni od impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità, o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito, sicchè la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria diventa improcedibile in virtù di norme inderogabilmente poste a tutela del principio della par condicio creditorum. Il discrimen tra procedibilità o meno della domanda passa per l’esame del bene della vita che la parte intende ottenere: se le domande di accertamento o costitutive perseguono scopi diversi ed ultronei rispetto all’accertamento del passivo fallimentare e quindi esorbitanti rispetto ai poteri del giudice della procedura (in via esemplificativa, domande finalizzate a provocare la liberazione della parte in bonis rispetto agli obblighi contrattuali assunti, conservazione del posto di lavoro tramite impugnativa del licenziamento), esse sono procedibili se proposte avanti al giudice ordinario. [ Continua ]
11 Novembre 2023

Il procedimento ex art. 2473, co. 3, c.c. per la determinazione del valore della partecipazione del socio escluso

Il riferimento all’art. 1349, co. 1, c.c., contenuto nell’art. 2473 c.c. esplicita l’intendimento del legislatore di rimettere la determinazione del valore della partecipazione societaria – nel caso in cui le parti non riescano a raggiungere un accordo – non già alla decisione del giudice, ma al contratto tra socio e società, avente ad oggetto la liquidazione della quota il cui contenuto viene stimato da un terzo (l’arbitratore), il quale, quindi, concorre alla formazione e all’integrazione del contenuto del negozio. L’esperto deve procedere con equo apprezzamento e la vincolatività delle determinazioni dallo stesso raggiunte può essere esclusa solo ove se ne accerti la manifesta iniquità o erroneità. Solo nel caso di impugnazione ex art. 1349 c.c. per manifesta iniquità o erroneità della determinazione dell’arbitratore vi potrà essere l’intervento sostitutivo del giudice, chiamato, da un lato, all’accertamento della lamentata manifesta iniquità o erroneità della stima del terzo, e dall’altro, alla nuova determinazione, sostitutiva di quella dell’esperto-arbitratore. La procedura di cui all’art. 2473, co. 3, c.c. ha natura esclusiva e non è consentito al socio escluso o receduto adire direttamente l’autorità giudiziaria mediante l’instaurazione di un ordinario processo di cognizione piena per la determinazione del “giusto valore di liquidazione” senza il rispetto delle procedure di cui al citato art. 2473 c.c. [ Continua ]
28 Settembre 2023

Risoluzione per inadempimento del contratto di cessione di partecipazioni e il collegamento negoziale

La mancata previsione di un termine entro il quale la prestazione deve essere eseguita autorizza il creditore ad esigerla immediatamente (in applicazione del principio quod sine die debetur statim debetur), ma ciò non gli impone di costituire in mora la controparte ex art. 1454 c.c. e quindi di fare ricorso al giudice ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1183 c.c., essendo invece sufficiente, in relazione agli usi, alla natura del rapporto negoziale e all’interesse delle parti, che sia decorso un congruo spazio di tempo dalla conclusione del contratto, per cui possa ritenersi in concreto superato ogni limite di normale tolleranza; ed invero, una protratta tolleranza del ritardo della controparte costituisce solo uno degli elementi da valutare ai fini dell’accertamento della gravità dell’inadempimento, potendo se del caso concorrere ad attenuarne l’intensità, ma non potendo di per sé escludere la ricorrenza dell’inadempimento ove protrattosi oltre la tolleranza del creditore. L’inosservanza di un termine non essenziale previsto dalle parti per l’esecuzione di un’obbligazione, pur impedendo, in mancanza di una diffida ad adempiere, la risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1457 c.c., non esclude la risolubilità del contratto, a norma dell’art. 1453 c.c., se si traduce in un inadempimento di non scarsa importanza, ossia se il ritardo superi ogni ragionevole limite di tolleranza, occorrendo avere riguardo all’oggetto e alla natura del contratto, al comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, e al persistente interesse dell’altro contraente alla prestazione dopo un certo tempo. Il collegamento negoziale è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato attraverso una pluralità coordinata di contratti. Questi conservano una loro causa autonoma, ancorché ciascuno sia finalizzato a un’unica regolamentazione dei reciproci interessi, sicché il vincolo di reciproca dipendenza non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e mantenga una distinta individualità giuridica. Il collegamento può ritenersi meramente occasionale, quando le singole dichiarazioni, per quanto finanche casualmente riunite, siano strutturalmente e funzionalmente autonome e mantengano l’individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sicché la loro messa in relazione non influenza la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano. Il collegamento è, invece, funzionale, quando i diversi e distinti negozi, cui le parti danno vita nell’esercizio della loro autonomia negoziale, pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo, vengono concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, per cui le vicende dell’uno debbano ripercuotersi sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia. In tema di collegamento negoziale c.d. funzionale, l’accertamento del giudice di merito ai fini della qualificazione giuridica di tale situazione negoziale deve investire l’esistenza, l’entità, la natura, le modalità e le conseguenze del collegamento realizzato dalle parti mediante l’interpretazione della loro volontà contrattuale tenendo presente che affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico non è sufficiente un nesso occasionale tra i negozi, ma è necessario che il collegamento dipenda dalla genesi stessa del rapporto, dalla circostanza cioè che uno dei due negozi trovi la propria causa (e non il semplice motivo) nell’altro, nonché dall’intento specifico e particolare delle parti di coordinare i due negozi, instaurando tra di essi una connessione teleologica, sempre che la volontà di collegamento si sia obiettivata nel contenuto dei diversi negozi potendosi ritenere che entrambi o uno di essi, secondo la reale intenzione dei contraenti, siano destinati a subire le ripercussioni delle vicende dell’altro. [ Continua ]
11 Ottobre 2023

Gli elementi distintivi di una fideiussione omnibus e una garanzia autonoma

Un contratto è qualificabile quale fideiussione omnibus e non come garanzia autonoma in presenza di elementi quali, il fatto che a) la fideiussione è stata ricevuta da una banca (fideiussione attiva), mentre quella autonoma vede la stessa banca nel ruolo di garante (fideiussione passiva); b) la fideiussione concerne obbligazioni future, mentre la garanzia autonoma dovrebbe accedere ad obbligazioni contestuali all’assunzione della garanzia; c) la garanzia autonoma nei rapporti garante-debitore principale ha un carattere necessariamente oneroso, a differenza del carattere gratuito della fideiussione acclusa agli atti, non potendosi evincere per essa alcuna onerosità. [ Continua ]
22 Luglio 2024

Sulla revocatoria ordinaria di atti di trasferimento di partecipazioni sociali

L’azione revocatoria ordinaria rappresenta uno dei principali strumenti predisposti dall’ordinamento per la conservazione della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. Tale strumento, infatti, ha solo la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ex art. 2740 c.c., la cui consistenza, per effetto dell'atto di disposizione posto in essere dal debitore, si sia ridotta al punto da pregiudicare la realizzazione del diritto del creditore con l'azione espropriativa. In coerenza con tale sua unica funzione, l'azione predetta ove esperita vittoriosamente, non determina il travolgimento dell'atto di disposizione posto in essere dal debitore, ma semplicemente l'inefficacia di esso nei soli confronti del creditore che l'abbia vittoriosamente esperita, per consentire allo stesso di esercitare sul bene oggetto dell'atto l'azione esecutiva ai sensi degli artt. 602 e ss. c.p.c. per la realizzazione del credito. L’art. 2901 c.c. richiede la sussistenza di un elemento oggettivo e di uno soggettivo. Quanto al primo (c.d. eventus damni), non è necessario che il debitore si trovi in stato di insolvenza, essendo sufficiente che l’atto di disposizione da lui posto in essere produca pericolo o incertezza per la realizzazione del diritto del creditore, in termini di una possibile o eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva. Infatti, l’eventus damni ricorre non soltanto quando l’atto di disposizione determini la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma anche quando tale atto comporti una maggiore difficoltà ed incertezza nella esazione coattiva del credito. Ciò può verificarsi anche in caso di mera variazione qualitativa del patrimonio, tale da rendere più difficile la soddisfazione dei creditori. Quanto al secondo elemento, è necessario che il debitore fosse consapevole del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore dall’atto dispositivo in questione (c.d. scientia damni). In particolare, allorché l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, è necessaria e sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, essendo l’elemento soggettivo integrato dalla semplice conoscenza – a cui va equiparata la agevole conoscibilità – nel debitore di tale pregiudizio, a prescindere dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l’azione, e senza che assumano rilevanza l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (c.d. consilium fraudis), né la partecipazione o la conoscenza da parte del terzo in ordine alla intenzione fraudolenta del debitore. Inoltre, quando si tratta di atto a titolo oneroso, è richiesta anche la consapevolezza del terzo acquirente del pregiudizio arrecato dall’atto alle ragioni creditorie. Tuttavia, anche in questo caso occorre distinguere a seconda che l’atto sia anteriore o posteriore al sorgere del credito. Nel primo caso, è necessario che l’atto dispositivo sia stato compiuto proprio in funzione del sorgere della futura obbligazione, allo scopo di precludere o rendere più difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto. Nel secondo caso, invece, è sufficiente la generica conoscenza – da parte del terzo contraente – del pregiudizio che l’atto a titolo oneroso posto in essere dal debitore possa arrecare alle ragioni dei creditori, non essendo necessaria la collusione tra il terzo e il debitore. Ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria, è sufficiente la titolarità di un credito eventuale, quale quello oggetto di un giudizio ancora in corso, fermo restando che l'eventuale sentenza dichiarativa dell'atto revocato non può essere portata ad esecuzione finché l'esistenza di quel credito non sia accertata con efficacia di giudicato. Il momento storico in cui deve essere verificata la sussistenza dell’eventus damni è quello in cui viene compiuto l'atto di disposizione dedotto in giudizio e in cui può apprezzarsi se il patrimonio residuo del debitore sia tale da soddisfare le ragioni del creditore, restando, invece, assolutamente irrilevanti, al fine anzidetto, le successive vicende patrimoniali del debitore, non collegate direttamente all'atto di disposizione. [ Continua ]
22 Maggio 2024

L’interesse ad agire nell’impugnazione di delibera assembleare

Il giudice deve verificare d'ufficio che sussista l'interesse ad agire, ossia che la pronuncia richiesta sia idonea a spiegare un effetto utile alla parte che ha proposto la domanda e quindi la sussistenza di un interesse concreto e attuale di questa. Ciò vale anche con riguardo all'azione di accertamento della nullità di delibere assembleari. Tale azione può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse, ma l'interesse in questione, oltre a dovere essere concreto e attuale, deve riferirsi specificamente all'azione di nullità e non può identificarsi con l'interesse a una diversa azione, il cui esercizio soltanto potrebbe soddisfare la pretesa dell'attore. [ Continua ]