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Giovanni Puhali

Giovanni Puhali

Senior associate dello studio L&B Partners Avvocati Associati di Milano, che si occupa prevalentemente di diritto societario, commerciale e fallimentare, in ambito giudiziale e stragiudiziale

16 Gennaio 2024

Sulla qualificazione dei versamenti effettuati dai soci e sui requisiti per la postergazione del finanziamento soci ex art. 2467 c.c.

Il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento, subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull'ordine di soddisfazione dei crediti. La postergazione prevista dall'art. 2467 c.c. finisce per operare come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l'inesigibilità del credito in presenza di una delle situazioni previste dal secondo comma della disposizione, con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata. Ai fini dell’applicabilità dell’art. 2467 c.c., vale il momento della concessione del finanziamento e non rileva il deterioramento della situazione patrimoniale della società successivo al finanziamento. È però rilevante anche il momento della restituzione del finanziamento per verificare se la situazione di dissesto è definitivamente cessata. I versamenti in conto capitale non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della stessa e solo nei limiti dell’eventuale residuo attivo risultante dal bilancio di liquidazione. Il passaggio a riserva dei finanziamenti implica la rinunzia da parte del socio alla restituzione del suddetto finanziamento ed è espressione della volontà del socio di patrimonializzare la società. Mediante la rinuncia si realizza una mutazione del titolo giuridico, ossia una novazione oggettiva. Pertanto, è richiesta una dichiarazione del socio, avente natura novativa, successivamente ratificata dalla società, con cui si trasformi il credito da finanziamento in versamento da destinare nella riserva “versamenti in conto capitale”. [ Continua ]
25 Gennaio 2024

Banca Popolare di Vicenza: il divieto di promuovere o proseguire azioni previsto dall’art. 83 t.u.b.

La ratio dell’art. 83 t.u.b. è quella di devolvere al giudice della procedura, oltre alle domande cautelari ed esecutive, l'accertamento delle poste di credito vantate nei confronti della liquidazione nel rispetto della par condicio creditorum. Qualsiasi credito nei confronti di un'impresa posta in liquidazione coatta amministrativa dev'essere fatto valere in sede concorsuale, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice può conoscerne in sede ordinaria solo in un momento successivo, sulle opposizioni od impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità, o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito, sicchè la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria diventa improcedibile in virtù di norme inderogabilmente poste a tutela del principio della par condicio creditorum. Il discrimen tra procedibilità o meno della domanda passa per l’esame del bene della vita che la parte intende ottenere: se le domande di accertamento o costitutive perseguono scopi diversi ed ultronei rispetto all’accertamento del passivo fallimentare e quindi esorbitanti rispetto ai poteri del giudice della procedura (in via esemplificativa, domande finalizzate a provocare la liberazione della parte in bonis rispetto agli obblighi contrattuali assunti, conservazione del posto di lavoro tramite impugnativa del licenziamento), esse sono procedibili se proposte avanti al giudice ordinario. [ Continua ]
11 Novembre 2023

Il procedimento ex art. 2473, co. 3, c.c. per la determinazione del valore della partecipazione del socio escluso

Il riferimento all’art. 1349, co. 1, c.c., contenuto nell’art. 2473 c.c. esplicita l’intendimento del legislatore di rimettere la determinazione del valore della partecipazione societaria – nel caso in cui le parti non riescano a raggiungere un accordo – non già alla decisione del giudice, ma al contratto tra socio e società, avente ad oggetto la liquidazione della quota il cui contenuto viene stimato da un terzo (l’arbitratore), il quale, quindi, concorre alla formazione e all’integrazione del contenuto del negozio. L’esperto deve procedere con equo apprezzamento e la vincolatività delle determinazioni dallo stesso raggiunte può essere esclusa solo ove se ne accerti la manifesta iniquità o erroneità. Solo nel caso di impugnazione ex art. 1349 c.c. per manifesta iniquità o erroneità della determinazione dell’arbitratore vi potrà essere l’intervento sostitutivo del giudice, chiamato, da un lato, all’accertamento della lamentata manifesta iniquità o erroneità della stima del terzo, e dall’altro, alla nuova determinazione, sostitutiva di quella dell’esperto-arbitratore. La procedura di cui all’art. 2473, co. 3, c.c. ha natura esclusiva e non è consentito al socio escluso o receduto adire direttamente l’autorità giudiziaria mediante l’instaurazione di un ordinario processo di cognizione piena per la determinazione del “giusto valore di liquidazione” senza il rispetto delle procedure di cui al citato art. 2473 c.c. [ Continua ]
28 Settembre 2023

Risoluzione per inadempimento del contratto di cessione di partecipazioni e il collegamento negoziale

La mancata previsione di un termine entro il quale la prestazione deve essere eseguita autorizza il creditore ad esigerla immediatamente (in applicazione del principio quod sine die debetur statim debetur), ma ciò non gli impone di costituire in mora la controparte ex art. 1454 c.c. e quindi di fare ricorso al giudice ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1183 c.c., essendo invece sufficiente, in relazione agli usi, alla natura del rapporto negoziale e all’interesse delle parti, che sia decorso un congruo spazio di tempo dalla conclusione del contratto, per cui possa ritenersi in concreto superato ogni limite di normale tolleranza; ed invero, una protratta tolleranza del ritardo della controparte costituisce solo uno degli elementi da valutare ai fini dell’accertamento della gravità dell’inadempimento, potendo se del caso concorrere ad attenuarne l’intensità, ma non potendo di per sé escludere la ricorrenza dell’inadempimento ove protrattosi oltre la tolleranza del creditore. L’inosservanza di un termine non essenziale previsto dalle parti per l’esecuzione di un’obbligazione, pur impedendo, in mancanza di una diffida ad adempiere, la risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1457 c.c., non esclude la risolubilità del contratto, a norma dell’art. 1453 c.c., se si traduce in un inadempimento di non scarsa importanza, ossia se il ritardo superi ogni ragionevole limite di tolleranza, occorrendo avere riguardo all’oggetto e alla natura del contratto, al comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, e al persistente interesse dell’altro contraente alla prestazione dopo un certo tempo. Il collegamento negoziale è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato attraverso una pluralità coordinata di contratti. Questi conservano una loro causa autonoma, ancorché ciascuno sia finalizzato a un’unica regolamentazione dei reciproci interessi, sicché il vincolo di reciproca dipendenza non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e mantenga una distinta individualità giuridica. Il collegamento può ritenersi meramente occasionale, quando le singole dichiarazioni, per quanto finanche casualmente riunite, siano strutturalmente e funzionalmente autonome e mantengano l’individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sicché la loro messa in relazione non influenza la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano. Il collegamento è, invece, funzionale, quando i diversi e distinti negozi, cui le parti danno vita nell’esercizio della loro autonomia negoziale, pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo, vengono concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, per cui le vicende dell’uno debbano ripercuotersi sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia. In tema di collegamento negoziale c.d. funzionale, l’accertamento del giudice di merito ai fini della qualificazione giuridica di tale situazione negoziale deve investire l’esistenza, l’entità, la natura, le modalità e le conseguenze del collegamento realizzato dalle parti mediante l’interpretazione della loro volontà contrattuale tenendo presente che affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico non è sufficiente un nesso occasionale tra i negozi, ma è necessario che il collegamento dipenda dalla genesi stessa del rapporto, dalla circostanza cioè che uno dei due negozi trovi la propria causa (e non il semplice motivo) nell’altro, nonché dall’intento specifico e particolare delle parti di coordinare i due negozi, instaurando tra di essi una connessione teleologica, sempre che la volontà di collegamento si sia obiettivata nel contenuto dei diversi negozi potendosi ritenere che entrambi o uno di essi, secondo la reale intenzione dei contraenti, siano destinati a subire le ripercussioni delle vicende dell’altro. [ Continua ]
11 Ottobre 2023

Gli elementi distintivi di una fideiussione omnibus e una garanzia autonoma

Un contratto è qualificabile quale fideiussione omnibus e non come garanzia autonoma in presenza di elementi quali, il fatto che a) la fideiussione è stata ricevuta da una banca (fideiussione attiva), mentre quella autonoma vede la stessa banca nel ruolo di garante (fideiussione passiva); b) la fideiussione concerne obbligazioni future, mentre la garanzia autonoma dovrebbe accedere ad obbligazioni contestuali all’assunzione della garanzia; c) la garanzia autonoma nei rapporti garante-debitore principale ha un carattere necessariamente oneroso, a differenza del carattere gratuito della fideiussione acclusa agli atti, non potendosi evincere per essa alcuna onerosità. [ Continua ]
23 Ottobre 2023

Responsabilità dell’amministratore di s.r.l. e dell’amministratore di fatto

Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, ovvero per non aver osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, essi possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione. L’individuazione della figura del c.d. amministratore di fatto presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni; l’influenza dell’amministratore di fatto si deve tradurre, per essere rilevante, nell’ingerenza concreta nella gestione sociale che abbia il carattere della sistematicità. [ Continua ]
15 Giugno 2023

Sulla mancata appostazione di fondo rischi

La valutazione quanto al “rischio” di effettiva sussistenza di passività non ancora determinate al momento di chiusura dell’esercizio consiste (non nel rilievo di una vicenda gestoria oggettivamente già conclusa ma) nell’apprezzamento ex ante delle probabilità/possibilità di evoluzione di una situazione: la correttezza di tale apprezzamento – spettante in primis all’organo amministrativo quale redattore della bozza di bilancio e poi all’assemblea dei soci all’atto dell’approvazione del documento contabile – non è dunque ancorata a dati oggettivi, ma va rapportata ai canoni generali di prudenza e ragionevolezza che presiedono alla redazione del bilancio, la sola violazione dei quali può portare a far ritenere scorretta la valutazione e, conseguentemente, inficiato il bilancio da carenze quanto all’appostazione di fondo rischi e, quindi, contrastante anche con il principio di verità. [ Continua ]
24 Aprile 2023

Responsabilità degli amministratori e business judgment rule

Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore, nello svolgimento delle mansioni al medesimo affidate, non può investire le scelte di gestione ovvero le relative modalità di attuazione, ancorché esse presentino profili di rilevante alea economica, bensì anzitutto la diligenza mostrata dall’amministratore nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, potendo pertanto avere ad oggetto, ad esempio, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche ed informazioni normalmente richieste per operazioni della stessa natura e tipologia e nelle medesime circostanze (regola c.d. “procedurale”; art. 2381, co. 6, c.c.).

La natura dell’obbligazione che incombe sugli amministratori per legge e per statuto – in relazione alla quale è commisurato, in chiave di adempimento, l’obbligo di agire con diligenza – è un’obbligazione di mezzi e non di risultato – attuare l’oggetto sociale nell’interesse della società, non meccanicamente identificabile con quello del socio maggioritario – e che è così configurata (non solo ma) anche perché conforme al principio fondante secondo cui del rischio d’impresa rispondono solo i soci e non gli amministratori. Se di quel rischio non si può far carico agli amministratori, allora ben si comprende il fondamento dell’altro aspetto della regola della c.d. business judgement rule, ossia che gli amministratori rispondono soltanto per scelte del tutto arbitrarie, manifestamente irrazionali (regola c.d. “sostanziale”).

Ne consegue che l’adempimento della “regola procedurale” non ha effetti totalmente scriminanti – ben potendo l’amministratore proceduralmente diligente compiere poi scelte del tutto arbitrarie – e, per converso, il suo inadempimento non essendo di per sé foriero di responsabilità, quando, pur disinformato, l’amministratore non abbia compiuto una scelta gestoria irrazionale o arbitraria.

Il rapporto tra regola sostanziale e regola procedurale può dunque combinarsi, in relazione alla natura contrattuale della responsabilità degli amministratori, in questo modo: (i) l’onere di provare la correttezza procedurale incombe sugli amministratori chiamati in responsabilità, pur trattandosi di un “onere temperato” in relazione all’onere di allegazione specifica che grava sull’attore; l’adempimento della regola procedurale comporta una presunzione iuris tantum di correttezza sostanziale della decisione assunta dagli amministratori; tuttavia, non è consentito, a livello interpretativo, di parlare di presunzione iuris et de iure, dunque invalicabile, sia perché in fase decisionale  in fase esecutiva ben possono scaturire decisioni ed esecuzioni assolutamente irrazionali o arbitratrie, sia perchè si costruirebbe, in via interpretativa, un inesistente limite positivo alla responsabilità degli amministratori ex art. 2392 c.c.; (ii) se invece quella prova è stata raggiunta ma l’attore (la società che agisce in responsabilità) intende provare comunque l’irrazionalità o arbitrarietà della scelta, l’onere di allegazione e prova incomberanno integralmente su di lui; (iii) se manca l’allegazione o la prova della correttezza procedurale, la prova della non irrazionalità dell’operazione dovrà essere data dall’amministratore convenuto.

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3 Giugno 2023

Gli elementi costitutivi della società di fatto

Il contratto di società di persone è un contratto a forma libera, di conseguenza, il consenso delle parti può essere manifestato con qualsiasi mezzo idoneo e, quindi, anche per facta concludentia. Non costituendo un particolare tipo di società ma una semplice qualificazione, la società di fatto è soggetta alla disciplina della società semplice o della s.n.c. irregolare, nell’ipotesi in cui eserciti attività d’impresa. Gli elementi costitutivi della società di fatto sono quelli menzionati dall’art. 2247 c.c. e quindi: (i) il conferimento di beni e servizi; (ii) l’esercizio in comune di attività economica; (iii) l’intesa di divisione degli utili e delle perdite derivanti dall’esercizio dell’attività comune. Tali requisiti possono essere dimostrati anche in via presuntiva. [ Continua ]
3 Giugno 2023

Illegittimi prelevamenti dal conto corrente della società compiuti dall’amministratore e azione di ripetizione ex artt. 2033 c.c.

La ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c. presuppone l’avvenuta esecuzione di un pagamento non dovuto per inesistenza di un rapporto obbligatorio, il che si verifica o quando il solvens erroneamente ritiene l’esistenza di un’obbligazione cui è vincolato od in ipotesi di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione del negozio (qualunque esso sia) che fu elemento genetico del rapporto obbligatorio. La ripetizione di indebito ex art. 2036 c.c. presuppone l’avvenuta esecuzione di un pagamento non dovuto dal solvens, essendo altro il soggetto passivo del rapporto obbligatorio in realtà esistente. Se il pagamento effettuato va direttamente collegato sotto il profilo eziologico ad un atto illecito dell’accipiens (come deduce parte attrice che chiede accertarsi la illegittimità dei prelevamenti dal conto corrente della società operati dall'ex amministratore), è l’atto illecito in sé che si pone quale unica genesi dell’esborso sostenuto dal solvens, esborso che, quale ingiusta diminuzione patrimoniale è da qualificare come danno risarcibile a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale a seconda della configurazione che la parte danneggiata voglia dare della responsabilità in base alla fonte delle obbligazioni (contratto di amministrazione o neminem laedere). Invero, se un diritto può eventualmente vantare la società è solo a titolo di risarcimento danni per responsabilità sociale da azionare verso il suo ex amministratore, che "in occasione” della sua carica ha prelevato somme destinate a sue personali. L’azione di arricchimento ex art. 2041 c.c. ha natura residuale e non è esperibile quando sussiste nel sistema un rimedio tipico, nel caso di specie l’azione di responsabilità sociale ex art. 2476, comma 3, c.c.. L’eventuale intervenuta prescrizione della azione tipica ex art. 2476, comma, 3 c.c. non consente di considerare ammissibile la domanda ex art. 2041 c.c. posto che “l'azione generale di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato avrebbe potuto esercitare un'azione tipica e questa si è prescritta” (Cass. 30614/2018). [ Continua ]