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Art. 2377 c.c.
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3 Gennaio 2023

Il diritto di sottoscrizione spettante ai soci e la legittimazione a impugnare le delibere assembleari

In tutti i casi di riduzione del capitale per perdite, l’art. 2482 quater c.c. esclude che possano essere apportate modificazioni alle quote di partecipazione e ai diritti spettanti ai soci. Tale disposizione esprime il c.d. principio di invarianza, prevedendo che, in tutti i casi di riduzione del capitale sociale per perdite, i soci conservano i diritti sociali secondo le partecipazioni originarie.

L’art. 2481 bis c.c., nel disciplinare l’aumento di capitale mediante nuovi conferimenti, vieta all’assemblea di escludere o limitare il diritto spettante ai soci, al fine di evitare operazioni in pregiudizio della minoranza. In particolare, con l’art. 2481 bis c.c., il legislatore ha inteso dettare nella società a responsabilità limitata una disciplina dell’aumento di capitale a pagamento autonoma rispetto a quella della società azionaria. Tuttavia, sebbene nella disciplina della società azionaria si parli di diritto di opzione, mentre nella società a responsabilità limitata si parli di diritto di sottoscrizione, i due concetti sono essenzialmente assimilabili. Il diritto di sottoscrizione consiste nella facoltà di aderire alla decisione di aumento di capitale, per tutta o una parte della quota di propria spettanza, alle condizioni e nei termini stabiliti dalla decisione medesima: esso va ricondotto alla nozione civilistica dell’opzione di cui all’art. 1331 c.c. L’autonomia privata si esplica anche con riferimento ai termini e alle modalità di esercizio del diritto, in quanto l’art. 2481 bis c.c. rimette la loro determinazione alla delibera assembleare di aumento. L’unica indicazione contenuta nella norma riguarda il termine (minimo) per l’esercizio del diritto di opzione da parte dei soci, che non può essere inferiore a trenta giorni. Tale termine ha natura inderogabile.

L’aumento di capitale a pagamento comporta un aumento sia del capitale nominale, sia del patrimonio sociale, mediante conferimento alla società di nuove risorse. L’effetto modificativo del contratto sociale non si produce automaticamente con la deliberazione di aumento di capitale, ma con il concorso delle volontà dell’ente e dei sottoscrittori del nuovo capitale deliberato e quindi in una fase successiva e diversa da quella meramente deliberativa. Pertanto, ai fini del perfezionamento dell’operazione di aumento di capitale, la deliberazione assembleare, con la quale è stato approvato l’incremento quantitativo del capitale, è sicuramente necessaria ma non sufficiente, in quanto è pur sempre necessaria la dichiarazione di adesione dei soci, ovvero, se prevista, anche dei terzi. Tale dichiarazione si manifesta, appunto, con la sottoscrizione di una quota dell’aumento deliberato. Il negozio di sottoscrizione ha natura consensuale e si perfeziona con lo scambio del consenso tra il socio sottoscrittore o il terzo e la società, per il tramite dell’organo amministrativo. Quindi, la deliberazione di aumento di capitale ben può configurarsi come una proposta e la sottoscrizione del socio o del terzo come una accettazione, secondo il classico schema del contratto di natura consensuale. Alla natura consensuale del negozio di sottoscrizione consegue che il mancato adempimento delle obbligazioni di versamento in proporzione alla quota di partecipazione sottoscritta non incide sull’avvenuto perfezionamento del contratto, attendendo invece alla fase esecutiva dell’accordo già concluso.

Considerato che il diritto di sottoscrizione spetta ai soci in proporzione alle partecipazioni da essi possedute e che l’art. 2482 quater c.c. prevede la regola della immodificabilità delle quote anche in caso di riduzione del capitale per perdite, deve ritenersi che anche l’azzeramento del capitale sociale per perdite non comporti l’estinzione della partecipazione. Tuttavia, poiché l’inderogabilità di tale regola riguarda l’attribuzione del diritto e non il suo esercizio, coloro che non partecipano all’aumento del capitale successivo alla riduzione – mediante la sottoscrizione – perdono la qualità di soci e i relativi diritti.

Il socio non sottoscrittore mantiene sempre la legittimazione ad impugnare, sebbene la sua partecipazione sia stata azzerata dall’operazione sul capitale, ciò in quanto la perdita della qualità di socio in capo a chi non abbia sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale lascia permanere la legittimazione ad esperire le azioni di annullamento e di nullità della deliberazione assembleare adottata ex art. 2447 o 2482 c.c.

29 Dicembre 2022

Esclusione del socio di s.r.l. per giusta causa e abuso di potere in assemblea

È legittima l’introduzione a maggioranza assembleare di una clausola di esclusione del socio ai sensi dell’art. 2473 bis c.c. Pertanto, qualora la clausola rispetti i requisiti di sufficiente specificità e sia sorretta da giusta causa, la stessa può essere introdotta durante societate anche a maggioranza. È inammissibile una clausola generica di esclusione, in quanto è necessario determinare specificatamente nell’atto costitutivo le fattispecie che, incidendo sulla permanenza del vincolo societario, consentono di estromettere il socio dalla società, da cui la ritenuta illegittimità di tutte quelle clausole che, nei presupposti, evidenzino generiche “gravi inadempienze del socio” senza indicare specificatamente determinate tipologie di comportamento, dal momento che l’organo competente alla valutazione dei requisiti legittimanti l’esclusione del socio, sia esso amministrativo o assembleare, si vedrebbe assegnato un potere privo di adeguato controllo. Così come è illegittima una clausola che non concretizzi in maniera prevedibile e aprioristicamente valutabile quella giusta causa che il legislatore richiede come requisito fondamentale dell’esclusione. Infatti, quando il legislatore della riforma consente che lo statuto possa “prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio” non costringe all’elencazione di eventi che, se giudicati a posteriori, sarebbero qualificabili come casi di giusta causa, ma consente di introdurre nello statuto la previsione di eventi che da quella società sono a priori considerati, al fine dell’ordinato sviluppo della propria attività, elementi di grave turbativa, legittimanti per ciò l’allontanamento di uno dei membri di quella collettività, e quindi fattispecie di giusta causa. In sostanza, la giusta causa verificabile a posteriori non può non essere che un concetto valevole per l’ordinamento nel suo complesso e quindi per tutti i consociati che di quell’ordinamento sono parte; mentre la giusta causa specificata a priori è la giusta causa propria di quella data collettività che la definisce per sé, e che quindi potrebbe essere non generalizzabile al di fuori di quella collettività ove è stata definita e ove essa vige.

È legittimo individuare una giusta causa di esclusione ex art. 2473 bis c.c. nel fallimento del socio; con l’ovvia precisazione, tuttavia, che il compendio della liquidazione dovrà essere versato alla procedura e che, comunque, in tal caso occorrerà applicare il disposto dell’ultimo comma dell’art. 2471 c.c., che estende al fallimento la procedura di vendita prevista per il caso del pignoramento della quota di società a responsabilità limitata.

Costituisce una legittima causa di esclusione ex art. 2473 bis c.c. quella in forza della quale un socio può essere escluso dalla società qualora il medesimo sia a sua volta una società e, senza il consenso dei restanti soci della partecipata, muti per qualsiasi causa la propria compagine sociale, anche in esito a operazioni di scissione o fusione (c.d. changing control). Tale clausola può essere introdotta in statuto a maggioranza e ben può ritenersi legittima in quanto riferita ad evento capace di incidere sulla figura dei soci sì da minare alle radici il fondamento dell’unità di quella compagine sociale.

Costituisce una legittima causa di esclusione ex art. 2473 bis c.c. quella in forza della quale un socio può essere escluso dalla società qualora non adempia agli obblighi assunti nei confronti della società o di altri soci, quali obblighi funzionali al perseguimento dell’oggetto sociale in quanto necessari in vista del perseguimento delle competenze e dei mezzi, anche economici necessari all’attività della società, come previsti nell’atto costitutivo, in scrittura privata autenticata o non disconosciuta.

Posta l’astratta configurabilità della vicenda dell’abuso di potere anche rispetto ai voti espressi dai soci in seno all’assemblea, va precisato che, perché possa dirsi integrato un vizio della delibera, è necessario allegare e dimostrare che la stessa sia il portato di un esercizio fraudolento ovvero ingiustificato del potere di voto; e ciò in quanto l’abuso non può consistere nella mera valutazione discrezionale dei propri interessi ad opera dei soci, ma deve concretarsi nella intenzionalità specificatamente dannosa del voto, ovvero nella compressione degli altrui diritti in assenza di apprezzabile interesse del votante. L’abuso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari quando la deliberazione: a) non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società; deve pertanto trattarsi di una deviazione dell’atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento, da parte dei soci di maggioranza, di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale; b) sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza, diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli poiché rivolta al conseguimento di interessi extrasociali. I due requisiti testé evidenziati non sono richiesti congiuntamente, ma in alternativa. Ne deriva, in adesione ai principi ora enunciati, che l’esame del merito della delibera è ammesso solo in presenza di indici oggettivi da cui sia dato inferire la violazione di vincoli imposti dall’ordinamento alla maggioranza e desunti nei modi succitati. Della sussistenza e della prova di tali indizi è naturalmente onerata la parte che assume l’illegittimità della deliberazione; grava, cioè, sul socio di minoranza l’onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto. È, poi, chiaro che la presenza del fine fraudolento – la cui prova può essere data anche induttivamente, dimostrando che lo scopo apparentemente perseguito dalla società è in realtà inesistente – costituisce non solo un sintomo del vizio della decisione impugnata, ma anche il limite alla tutela della minoranza. L’abuso di potere, infatti, è pur sempre un vizio di legittimità della delibera, riscontrabile solo nella misura in cui non comporti un controllo giudiziario sulle libere determinazioni dell’autonomia privata provenienti dagli organi della società, rispetto alle quali è preclusa qualsiasi valutazione di opportunità.

L’esigenza di consentire a ciascun socio, non soltanto di partecipare ai lavori assembleari in modo consapevole e informato sulle questioni che ivi saranno trattate, ma anche di veder tutelata la sua buona fede per il caso in cui non intenda prendervi parte, viene perseguita mediante la previsione dell’obbligo di indicare, nell’avviso di convocazione, l’elenco delle materie che dovranno essere oggetto di trattazione e decisione (c.d. ordine del giorno), con la conseguenza che, sia nel caso in cui l’avviso di convocazione non contenga affatto l’enunciazione dell’ordine del giorno, sia nelle ipotesi in cui le materie da trattare in assemblea siano indicate in maniera generica o ambigua, le deliberazioni così adottate divengono annullabili. Segnatamente, la deliberazione adottata sulla base di un ordine del giorno dal contenuto indeterminato deve considerarsi annullabile e non nulla, in quanto le norme concernenti le formalità di convocazione dell’assemblea mirano a tutelare esclusivamente l’interesse dei soci al regolare svolgimento dell’attività interna della società e non incidono sui presupposti essenziali di formazione della volontà sociale. Tuttavia, affinché possa adeguatamente assolvere alle funzioni sue proprie, l’ordine del giorno inserito nell’avviso di convocazione non deve necessariamente sostanziarsi in una indicazione particolareggiata delle materie da trattare o, addirittura, in una anticipata comunicazione del contenuto della decisione da assumere, dimostrandosi sufficiente un’indicazione sintetica delle questioni, purché perspicua ed non equivoca. Anzi, non par superfluo evidenziare che, fuori dalle ipotesi in cui lo stesso legislatore prescrive che l’avviso di convocazione sia circostanziato e dettagliato (come nel caso dell’art. 2445 c.c.), nella formulazione dell’ordine del giorno da inserire nell’avviso di convocazione occorre contemperare l’esigenza di fornire indicazioni puntuali circa gli argomenti da trattare in assemblea, con la contrapposta esigenza di preservare l’elasticità e la flessibilità dei lavori assembleari; invero, un ordine del giorno eccessivamente puntuale e dettagliato, talvolta, potrebbe condizionare la libertà di determinazione dell’assemblea, sminuendo il rilievo che, a tal fine, assume il dibattito e la discussione dei soci.

29 Dicembre 2022

Modelli decisionali dei soci di s.r.l.

Il legislatore ha enfatizzato nelle s.r.l. una maggiore rilevanza personale dei rapporti tra i soci, tanto da rendere il metodo assembleare necessario solo per alcune particolari situazioni specifiche. I soci di s.r.l. possono infatti prevedere l’adozione di diversi modelli decisionali, salva l’insopprimibile esigenza che le decisioni vengano comunque espresse in atti scritti, soprattutto per assicurare la tempestiva informazione in merito. Per essere validamente posta in essere, la decisione dei soci necessita di una apposita clausola statutaria, la quale deve prevedere che i soci possano adottare le “decisioni” mediante consultazione scritta o consenso iscritto, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2479, comma 3, c.c.

23 Dicembre 2022

Vizi della relazione sulla gestione e invalidità del bilancio

La previsione della seconda convocazione rinviene la sua ratio nel favor deliberationis sotteso alla eliminazione del quorum costitutivo previsto per la prima (art. 2369, co. 3, c.c.). In tanto l’assemblea in seconda convocazione potrà svolgersi, in quanto quella in prima convocazione, regolarmente costituita, si sia svolta. Il mancato svolgimento della prima assemblea – trattandosi di fatto negativo – può essere provato in ogni modo, ma in primis, certamente, provando che l’assemblea in prima convocazione si è correttamente costituita. La delibera assembleare societaria, assunta in seconda convocazione, non preceduta dalla verbalizzazione del mancato raggiungimento delle maggioranze richieste per la sua costituzione in prima convocazione, non può essere considerata inesistente, in quanto essa possiede tutti gli elementi per essere riconducibili al modello legale delle deliberazioni assembleari e pone solo problemi di validità legati all’accertamento della maggioranza necessaria per assumere la deliberazione (di seconda convocazione).

La violazione dei canoni di cui all’art. 2423, co. 2, c.c. comporta l’illiceità della delibera assembleare di approvazione del bilancio per violazione di norme imperative in materia contabile. Nondimeno, la nullità della delibera può essere rilevata solo nella misura in cui: (i) la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo d’esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza; oppure (ii) in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.

La relazione sulla gestione di cui all’art. 2428 c.c. ha una funzione di illustrazione ampiamente valutativa della situazione economico/gestionale della società e non è oggetto di delibera assembleare in quanto non propriamente parte del bilancio d’esercizio. Tuttavia, i vizi informativi che affliggono la relazione sulla gestione possono determinare la nullità della deliberazione nella misura in cui siano tali da rendere non chiaramente intellegibile o addirittura da falsare sul punto il bilancio. In particolare, se i vizi sono collegati a mancanze non connesse ai dati di bilancio, questi possono determinare solo la annullabilità del bilancio o la nullità dell’allegato; se i vizi invece sono connessi ad informazioni direttamente collegabili a dati contenuti nel bilancio d’esercizio, questi comportano la nullità della delibera assembleare di approvazione del bilancio se ed in quanto la loro capacità decettiva sia tale da inficiare chiarezza, correttezza e veridicità delle corrispondenti voci di bilancio.

23 Dicembre 2022

Socio moroso e nullità della delibera di bilancio

E’ legittimato ad impugnare per vizi di nullità la delibera di approvazione di bilancio anche il socio moroso, titolare di un legittimo interesse a contestare il bilancio sociale ritenuto in violazione dei principi contabili, mantenendo il diritto di controllo sugli affari sociali, ai sensi dell’art. 2476, comma 2, c.c., sino a che resti parte della compagine societaria.

Il principio di chiarezza, quale canone di redazione del bilancio dotato di autonoma valenza e non subordinato al principio di verità, ha l’autonomo scopo di consentire la più ampia trasparenza dei dati di bilancio, agevolando l’esercizio il diritto di controllo con riguardo a tutte le informazioni necessarie per le singole voci. La società che ha ingiustificatamente modificato il titolo del finanziamento apposto a bilancio, così mutando non solo l’appostazione contabile ma anche il relativo regime, senza un’adeguata motivazione in nota integrativa, in ordine alla scelta di un diverso criterio, in discontinuità nell’appostazione di tale posta di debito rispetto ai bilanci precedenti, compie una violazione del suddetto principio.

19 Dicembre 2022

Sull’abuso di potere della maggioranza

L’abuso o eccesso di potere, idoneo a determinare l’annullamento della delibera dell’assemblea di società di capitali ex artt. 2377/2479 ter c.c., si delinea quando la delibera è espressione di un uso strumentale del voto da parte della maggioranza per finalità extra-sociale, o è il risultato di attività fraudolenta dei soci di maggioranza in danno del socio di minoranza, con onere della prova a carico del socio impugnante.

Il sindacato giudiziale sulla congruità/ragionevolezza dei compensi degli amministratori non può inerire tout court alla convenienza od opportunità per la società dei compensi come determinati, in sostituzione delle scelte istituzionalmente spettanti all’assemblea dei soci, bensì può riguardare solo eventuali profili di illegittimità desumibili dalla irragionevolezza del compenso.

16 Dicembre 2022

Sostituzione della delibera impugnata e annullabilità della delibera assunta con il voto determinante del falsus procurator

L’art. 2384 c.c. – ove prevede che le limitazioni del generale potere di rappresentanza degli amministratori sono irrilevanti verso l’esterno, anche se pubblicate, salvo che i terzi abbiano intenzionalmente agito a danno della società – si applica anche alla c.d. rappresentanza processuale.

In tema di annullabilità delle deliberazioni assembleari, la fattispecie di cui all’art. 2377, co. 8, c.c. presuppone, affinché l’annullamento della delibera impugnata non abbia luogo, la sostituzione della delibera impugnata con altra presa in conformità della legge e dello statuto; la sostituzione preclude, cioè, la pronuncia di invalidità della delibera sostituita solo nel caso in cui la delibera sostitutiva sia valida. Pertanto, la sostituzione della delibera impugnata con una successiva delibera, a sua volta oggetto di impugnazione, impedisce l’applicazione dell’art. 2377, co. 8, c.c., essendo impedita, in pendenza di impugnazione, la valutazione di legittimità della delibera sostitutiva da parte del tribunale.

La deliberazione assembleare, assunta con il voto di una società partecipante rappresentata da un falsus procurator, è viziata da annullabilità. Il voto così espresso, invalido per vizio di rappresentanza, è peraltro suscettibile di ratifica, proveniente dalla medesima società legittimamente rappresentata, ai sensi dell’art. 1399 c.c.

Le delibere modificative non iscritte nel registro delle imprese ex art. 2436 c.c. – espressamente richiamato, in tema di s.r.l., dall’art. 2480 – costituiscono un’ipotesi tipica di delibera inefficace; l’inefficacia può, come tale, essere fatta valere anche oltre il termine di decadenza posto dall’art. 2377 c.c. da chiunque vi abbia interesse.

12 Dicembre 2022

Sospensione cautelare dell’esecuzione della delibera assunta senza il rispetto del quorum richiesto dallo statuto

Ai fini della determinazione del quorum deliberativo, si deve tenere conto anche delle partecipazioni possedute dal socio votante che versi in conflitto di interessi qualora si consenta a quest’ultimo di esprimere il proprio voto. Invero, tale situazione deve essere fatta valere in assemblea, non potendo rilevare in un successivo giudizio qualora si sia permesso al socio di votare.

La corretta qualificazione giuridica del ricorso cautelare di sospensione dell’esecuzione della delibera proposto al giudice anziché al presidente del tribunale (e contestualmente all’ instaurazione del procedimento arbitrale in adempimento alla clausola compromissoria statutaria) è di ricorso cautelare ex art. 2378 c.c. e non come generico ricorso ex art. 700.

 

 

25 Novembre 2022

Sostituzione della delibera consiliare: estinzione degli effetti della delibera sostituita e risvolti processuali

In applicazione della disciplina di cui all’art. 2377, co. 8, c.c., una volta accertato che l’assemblea dei soci, regolarmente riconvocata, abbia validamente deliberato sugli stessi argomenti della deliberazione impugnata, non si può procedere alla dichiarazione di nullità o all’annullamento della deliberazione impugnata. Dopo la sostituzione, l’annullamento della prima delibera è precluso, in ogni caso, per effetto della cessazione della materia del contendere, essendo riservato al giudice della impugnazione della seconda delibera, specie nell’ipotesi in cui il giudizio sia pendente, ogni sindacato sulla legittimità dell’atto di rinnovo. Tale tesi si fonda sul presupposto dell’efficacia estintiva degli effetti della deliberazione sostituita da attribuirsi alla nuova deliberazione avente lo stesso oggetto della prima: la nuova delibera, invero, priva di ogni effetto la delibera che ha sostituito e mantiene tale sua efficacia fin tanto che non venga annullata per essere, a sua volta, contraria alla legge o allo statuto. Ne consegue che la sua eventuale non conformità alla legge o allo statuto – prevista dall’art. 2377 c.c. quale condizione per l’operatività della preclusione all’annullamento della delibera impugnata – potrebbe privarla di tale efficacia estintiva degli effetti della prima delibera solo se venisse annullata a seguito di un autonomo giudizio di impugnazione. Tale giudizio non può essere introdotto nell’ambito del giudizio di impugnazione avente per oggetto la delibera sostituita – stante la diversità dell’oggetto e la conseguente novità dell’eventuale domanda così introdotta in tale giudizio –, né essere oggetto di un accertamento incidentale ai soli fini della verifica delle condizioni di operatività della norma contenuta nell’art. 2377, co. 8, c.c., stante la necessità, allo scopo di privare di efficacia la delibera successivamente adottata, di una pronuncia costitutiva di annullamento, per sua natura incompatibile con un accertamento incidenter tantum. Al giudice dell’impugnazione della prima delibera, pertanto, è preclusa ogni valutazione circa la validità della delibera sostitutiva, con la sola eccezione della possibilità di rilevare, ove ricorrano, vizi comportanti la nullità della stessa delibera a norma dell’art. 2379 c.c. Tale nullità, infatti, comportando l’improduttività di qualsiasi effetto della (seconda) delibera, rilevabile anche d’ufficio, senza necessità di alcuna pronuncia costitutiva, potrebbe essere assoggettata, indipendentemente dall’impugnazione da parte degli interessati, a sindacato incidentale in seno al processo originato dall’impugnazione della delibera originaria.

24 Novembre 2022

Annullamento della delibera assembleare assunta con il voto di un socio in conflitto di interessi

L’annullamento della delibera ex art. 2373 c.c. richiede, oltre all’esistenza del conflitto di interessi, due distinte condizioni, che devono sussistere entrambe: la decisività del voto espresso dal socio in conflitto di interessi e la dannosità, almeno potenziale, della deliberazione medesima per la società. Ai fini dell’annullamento della delibera è, pertanto, irrilevante che la medesima consenta al socio il conseguimento di un suo personale interesse (ovvero anche dell’interesse di un terzo il cui medesimo socio sia portatore) se, nel contempo, non risulti pregiudicato l’interesse sociale. Il vizio rilevante ai fini dell’annullamento di una deliberazione assembleare ricorre solo nel caso in cui la delibera medesima sia diretta al soddisfacimento di interessi extra-sociali, in danno della società.

In relazione alle deliberazioni assunte dalla universalità dei soci, in presenza di tutti i componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale è escluso in radice che sia stato arrecato alcun vulnus di natura informativa e che, per l’effetto, la decisione non sia stata regolarmente adottata.