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Art. 2377 c.c.
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25 Novembre 2022

Sostituzione della delibera consiliare: estinzione degli effetti della delibera sostituita e risvolti processuali

In applicazione della disciplina di cui all’art. 2377, co. 8, c.c., una volta accertato che l’assemblea dei soci, regolarmente riconvocata, abbia validamente deliberato sugli stessi argomenti della deliberazione impugnata, non si può procedere alla dichiarazione di nullità o all’annullamento della deliberazione impugnata. Dopo la sostituzione, l’annullamento della prima delibera è precluso, in ogni caso, per effetto della cessazione della materia del contendere, essendo riservato al giudice della impugnazione della seconda delibera, specie nell’ipotesi in cui il giudizio sia pendente, ogni sindacato sulla legittimità dell’atto di rinnovo. Tale tesi si fonda sul presupposto dell’efficacia estintiva degli effetti della deliberazione sostituita da attribuirsi alla nuova deliberazione avente lo stesso oggetto della prima: la nuova delibera, invero, priva di ogni effetto la delibera che ha sostituito e mantiene tale sua efficacia fin tanto che non venga annullata per essere, a sua volta, contraria alla legge o allo statuto. Ne consegue che la sua eventuale non conformità alla legge o allo statuto – prevista dall’art. 2377 c.c. quale condizione per l’operatività della preclusione all’annullamento della delibera impugnata – potrebbe privarla di tale efficacia estintiva degli effetti della prima delibera solo se venisse annullata a seguito di un autonomo giudizio di impugnazione. Tale giudizio non può essere introdotto nell’ambito del giudizio di impugnazione avente per oggetto la delibera sostituita – stante la diversità dell’oggetto e la conseguente novità dell’eventuale domanda così introdotta in tale giudizio –, né essere oggetto di un accertamento incidentale ai soli fini della verifica delle condizioni di operatività della norma contenuta nell’art. 2377, co. 8, c.c., stante la necessità, allo scopo di privare di efficacia la delibera successivamente adottata, di una pronuncia costitutiva di annullamento, per sua natura incompatibile con un accertamento incidenter tantum. Al giudice dell’impugnazione della prima delibera, pertanto, è preclusa ogni valutazione circa la validità della delibera sostitutiva, con la sola eccezione della possibilità di rilevare, ove ricorrano, vizi comportanti la nullità della stessa delibera a norma dell’art. 2379 c.c. Tale nullità, infatti, comportando l’improduttività di qualsiasi effetto della (seconda) delibera, rilevabile anche d’ufficio, senza necessità di alcuna pronuncia costitutiva, potrebbe essere assoggettata, indipendentemente dall’impugnazione da parte degli interessati, a sindacato incidentale in seno al processo originato dall’impugnazione della delibera originaria.

24 Novembre 2022

Annullamento della delibera assembleare assunta con il voto di un socio in conflitto di interessi

L’annullamento della delibera ex art. 2373 c.c. richiede, oltre all’esistenza del conflitto di interessi, due distinte condizioni, che devono sussistere entrambe: la decisività del voto espresso dal socio in conflitto di interessi e la dannosità, almeno potenziale, della deliberazione medesima per la società. Ai fini dell’annullamento della delibera è, pertanto, irrilevante che la medesima consenta al socio il conseguimento di un suo personale interesse (ovvero anche dell’interesse di un terzo il cui medesimo socio sia portatore) se, nel contempo, non risulti pregiudicato l’interesse sociale. Il vizio rilevante ai fini dell’annullamento di una deliberazione assembleare ricorre solo nel caso in cui la delibera medesima sia diretta al soddisfacimento di interessi extra-sociali, in danno della società.

In relazione alle deliberazioni assunte dalla universalità dei soci, in presenza di tutti i componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale è escluso in radice che sia stato arrecato alcun vulnus di natura informativa e che, per l’effetto, la decisione non sia stata regolarmente adottata.

Legittimazione del terzo a impugnare il bilancio e responsabilità degli amministratori di s.r.l.

L’interesse del terzo creditore sociale all’impugnazione del bilancio per nullità non sussiste soltanto nel caso di stipulazione di un contratto per errore di fatto sulla situazione economica e finanziaria determinato da oscura o non veritiera rappresentazione della stessa nel bilancio. L’interesse ad agire in tal senso deve ravvisarsi ogniqualvolta dalla rettificazione del bilancio, conseguente all’accertamento della sua nullità, possano derivare conseguenze di rilievo sul piano giuridico. In particolare, ciò accade quando una corretta redazione del bilancio avrebbe generato la verificazione di una situazione di scioglimento della società, con conseguente applicazione della regola di cui al primo comma dell’art. 2486 c.c., in forza del quale gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

Non trova applicazione il disposto di cui all’art. 2434 bis, co. 1, c.c., a norma del quale le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio successivo, ove sia rilevabile d’ufficio da parte del giudice la nullità della deliberazione per illiceità dell’oggetto, tale dovendo ritenersi quella di approvazione di un bilancio non chiaro o non veritiero. Infatti, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio sono inderogabili in quanto la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento a prescindere dalla condotta delle parti e rende illecita la delibera di approvazione e, quindi, nulla. Tali norme, infatti, non solo sono imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dall’interesse dei singoli soci ad essere informati dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente.

La norma di cui all’art. 2467 c.c. non si applica ai crediti dei soci nei confronti della società sorti per effetto di finanziamenti anteriori all’entrata in vigore di tale disposizione (1 gennaio 2004).

In tema di società di capitali, le dazioni di denaro dei soci in favore della società possono essere effettuate per finalità tra loro molto diverse, a cui risponde una diversità di disciplina (conferimenti, finanziamenti, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale), sicché l’organo amministrativo non è arbitro di appostare in bilancio tali dazioni, né di mutare la voce relativa, successivamente all’iscrizione originaria, dovendo quest’ultima rispecchiare l’effettiva natura e la causa concreta delle medesime, il cui accertamento, nell’interpretazione della volontà delle parti, è rimesso all’apprezzamento riservato al giudice del merito.

Gli amministratori della società sono liberi di decidere per la resistenza in giudizio pur a fronte di contestazioni della controparte, ma devono nel contempo prefigurarsi come possibile l’esito negativo della vertenza e mettere in conto i relativi maggiori costi, di ciò dando la dovuta evidenza in bilancio, e richiedere alla proprietà la ricapitalizzazione della società che ne garantisca la solvibilità anche a fronte dei rischi correlati al contenzioso in atto. Ciò vale anche nei confronti degli amministratori che non siano stati parte in giudizio.

In tema di azione di responsabilità per violazione del divieto di concorrenza ex art. 2390, co. 1, c.c. l’attività concorrenziale potrebbe risultare di rilievo per il terzo creditore della società soltanto nel caso in cui ne sia derivato un depauperamento della consistenza patrimoniale di quest’ultima.

28 Ottobre 2022

Sopravvenuta carenza di interesse ad agire per mancata impugnazione della delibera sostitutiva di quella invalida

Se il socio impugnante la prima delibera non ha impugnato anche la delibera sostitutiva questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endo-societario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito la invalidità in sede processuale, con il che viene meno (non già la materia del contendere, ma) lo stesso interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endo-societario del deliberato censurato con altro comunque efficace.

7 Ottobre 2022

Prededucibilità dei crediti ex art. 111 L.F.

Non è sufficiente perché il credito sia ammesso al concorso in prededuzione, che lo stesso abbia a maturare durante la pendenza di una procedura concorsuale, essendo presupposto indefettibile per il riconoscimento del detto rango, che la genesi dell’obbligazione sia temporalmente connessa alla pendenza della procedura medesima – ché in caso contrario tutti i crediti sorti nell’ambito dei rapporti di durata sarebbero prededucibili – e che, comunque, l’assunzione di tale obbligazione risulti dal piano e dalla proposta.

3 Ottobre 2022

Non compromettibilità in arbitri delle delibere di impugnazione del bilancio e la ratio dell’art. 2434 bis c.c.

L’art. 34 d. lgs. n. 5/2003 prevede la devolubilità ad arbitri di alcune, ovvero di tutte, le controversie insorgenti tra soci o tra i soci e la società, che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. Non è compromettibile in arbitri la delibera concernente la veridicità e la chiarezza del bilancio; tali norme, infatti, non sono solo imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dell’interesse dei singoli soci ad essere informati dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni anno, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto.

Con riferimento specifico alle delibere di approvazione del bilancio, sono annullabili quelle adottate in presenza di violazioni procedimentali nella formazione del bilancio; sono viceversa nulle le deliberazioni di approvazione del bilancio caratterizzate dalla violazione di precetti inderogabili, sia sotto il profilo formale (ad esempio, per l’omessa convocazione del socio alle assemblee e, dunque, in caso di assoluta assenza di informazione), sia sotto il profilo sostanziale (veridicità e correttezza del contenuto del bilancio).

L’art. 2434 bis c.c., applicabile alle s.r.l. in virtù del rinvio compiuto dall’art. 2479 ter c.c., stabilisce poi un ulteriore limite all’impugnabilità delle delibere che attengono all’approvazione del bilancio, per le quali le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che sia avvenuta l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo. L’accertata invalidità di un bilancio non potrebbe ripercuotersi su quello successivo, tenendo conto dell’autonomia di ciascuno di questi e dell’esigenza di assicurare solo la continuità formale dei criteri utilizzati nella rispettiva redazione. In altre parole, la prescrizione in esame finisce per far diventare inutile l’impugnativa del bilancio precedente. Ed infatti, ove quello successivo contenga lo stesso vizio, occorrerà impugnarlo autonomamente; ove invece contenga emenda dei vizi originari, ancor di più potrebbe ritenersi cessato qualunque interesse all’impugnativa del primo bilancio. La ratio della previsione dell’art. 2434 bis c.c. è infatti quella di attuare, esprimendolo nella fattispecie concreta, il generale principio di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), poiché – secondo la valutazione della fattispecie stessa data dal legislatore, letta alla luce del principio di continuità dei bilanci –, approvato il bilancio successivo, la rappresentazione data, con il bilancio precedente, della situazione economico patrimoniale della società ai soci ed ai terzi ha esaurito le sue potenzialità informative (ed organizzative), e dunque anche le sue potenzialità decettive, dovendo invece i destinatari dell’informazione, per ogni valutazione e decisione organizzativa conseguente, far riferimento all’ultimo bilancio approvato. Tradotta questa visione ordinamentale in termini di interesse ad agire, ne emerge con evidenza il difetto con riguardo all’impugnativa di un bilancio superato dall’approvazione di quello successivo.

2 Settembre 2022

Abuso di maggioranza ed esercizio dei diritti sociali relativi a una partecipazione conferita in trust

L’abuso del diritto della maggioranza dei soci si sostanzia in una lesione del diritto del socio di minoranza, in violazione del canone di correttezza e buona fede, che impone la salvaguardia nell’interesse comune della società. In particolare, l’abuso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari quando la deliberazione: (i) non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società; deve pertanto trattarsi di una deviazione dell’atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale; (ii) sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli poiché è rivolta al conseguimento di interesse extrasociali. Della prova della sussistenza dell’eccesso di potere è onerata, ex art. 2697 c.c., la parte che, deducendo tale vizio, assume l’illegittimità della deliberazione. L’annullabilità della delibera assembleare per abuso di maggioranza costituisce l’unica ipotesi in cui il giudice può procedere ad un esame nel merito della deliberazione assembleare e non di mera legalità formale.

L’invalidità della delega conferita da un socio a un proprio rappresentante per il voto in un’assemblea di s.r.l. si risolve in un motivo di annullamento della deliberazione qualora il voto espresso dal non legittimato sia stato determinante.

Nell’eventualità di impugnazione di delibera assembleare, incombe sulla società l’onere di provare che tutti i soci siano stati tempestivamente avvisati della convocazione; tale prova può essere fornita anche tramite presunzioni.

Il trust non è un ente dotato di personalità giuridica, ma un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, nell’interesse di uno o più beneficiari, e formalmente intestati al trustee, il quale, pertanto, disponendo in via esclusiva dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato, è l’unico soggetto legittimato a farli valere nei rapporti con i terzi, anche in giudizio. Ne consegue che, nell’ipotesi di partecipazione sociale conferita in trust, il suo trustee è l’unico soggetto legittimato all’esercizio dei relativi diritti sociali.

1 Settembre 2022

Convocazione d’urgenza del consiglio di amministrazione

Al fine di procedere con la convocazione d’urgenza del consiglio di amministrazione di una s.p.a., con la conseguente riduzione dei termini di preavviso previsti nello statuto per l’invio dell’avviso di convocazione ai membri del consiglio di amministrazione, è sufficiente l’effettiva sussistenza delle ragioni d’urgenza e che tali ragioni d’urgenza siano conosciute dai membri del consiglio di amministrazione, senza che sia necessario qualificare espressamente la convocazione come urgente, né indicare all’interno dell’avviso di convocazione quali siano i motivi dell’urgenza.

8 Agosto 2022

Possibilità per i terzi di assistere alla riunione assembleare

Il legislatore riserva il diritto di intervento ai soci aventi diritto di voto (art. 2370, co. 1 c.c.), mentre nulla dice con riferimento alla partecipazione di terzi, essendo in tal senso stato chiarito da parte di autorevole dottrina che i riferimenti codicistici alla partecipazione, in particolare all’art. 2377, co. 5, n. 1 c.c. devono intendersi applicabili alla sola categoria dell’intervento ai fini del voto; l’art. 2370 c.c. deve quindi intendersi riferito solo a chi partecipa attivamente all’assemblea esprimendo il voto e non a chi semplicemente vi assista.

La titolarità del diritto di voto è il presupposto del diritto di intervento in assemblea sicchè nessun altro soggetto diverso da coloro che sono titolari del diritto di voto può pretendere di partecipare all’assemblea, salvo diversa disposizione di legge (con riferimento agli organi sociali) e statutaria o autorizzazione concessa dal Presidente dell’Assemblea nell’ambito della sue prerogative ex art 2371 c.c. In assenza di un’espressa previsione legislativa circa la facoltà per soggetti terzi rispetto a chi sia titolare del diritto di voto di assistere alla riunione assembleare occorre fare riferimento allo statuto; la dottrina ammette che, in assenza di espressi divieti nello statuto, il Presidente dell’Assemblea possa autorizzare la partecipazione e l’assistenza di soggetti estranei alla compagine sociale nell’ambito delle sue ampie competenze riconosciutegli dall’art. 2371 c.c.

1 Agosto 2022

Revoca della delibera di trasformazione e diritto di recesso

Anche a seguito dell’iscrizione della delibera di trasformazione nel Registro delle Imprese deve ritenersi legittima l’adozione di una delibera che disponga, nell’ambito dell’art 2437 bis c.c. o art. 2473 c.c., la trasformazione uguale e contraria a quella che ha suscitato l’esercizio del diritto di recesso del socio. Ciò preclude ex lege l’esercizio del diritto di recesso, ovvero lo rende inefficace se già esercitato, venendo meno il presupposto legittimante ovverosia la modificazione del contratto sociale che consente al socio che non vi ha prestato il consenso di uscire dalla compagine sociale.

L’art. 2437 bis c.c. concede alla società novanta giorni dall’emanazione della delibera che legittima il recesso del socio per revocarla. Non è consentito limitare questo spatium deliberandi invocando l’interferenza di una norma, l’art. 2500 bis c.c., che ha natura affatto differente e meramente processuale, impedendo la caducazione di un atto invalido di trasformazione e prevedendo, a fronte di un atto di trasformazione eventualmente invalido, una tutela non reale, ma solo risarcitoria.

La facoltà per la società di revoca della delibera che ha legittimato il recesso del socio non incontra limiti nelle disposizioni normative se adottata con le forme necessarie e si applica anche alla delibera di trasformazione nel senso che la società può sempre nuovamente trasformarsi nel tipo precedentemente abbandonato e, se ciò avviene nel termine di 90 giorni di cui all’art 2437 bis, co. 3, c.c., determina ex lege l’inefficacia sopravvenuta del recesso, il quale, seppur legittimamente esercitato, diviene inefficace.