Art. 2475 bis c.c.
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Inefficacia del contratto di cessione di ramo d’azienda
La rappresentanza generale dell’amministratore di cui all’art. 2475 bis c.c. trova un limite legale nell’oggetto sociale, espressione delle condivise scelte economiche dei soci nel momento di costituzione della società e quindi dello scopo di lucro perseguito. Pertanto, l’attività dell’amministratore che esorbiti dai limiti indicati e conduca, senza alcuna autorizzazione dei soci, ad una sostanziale modifica dell’oggetto sociale, è un atto gestorio compiuto in assenza totale di poteri.
Un contratto concluso in violazione dei limiti di cui all’art. 2479, comma 2 c.c., in contrasto con i limiti legali del potere di rappresentanza dell’amministratore, deve essere ritenuto non nullo o annullabile, quanto piuttosto improduttivo di effetti rispetto alla parte rappresentata, società e soci, con applicazione quindi dei principi generali di cui all’art. 1398 c.c.
La violazione dei limiti ex art. 2479, comma 2, è opponibile ai terzi, in deroga a quanto stabilito dall’art. 2475 bis comma 2, c.c.
Cessione d’azienda stipulata dall’amministratore di s.r.l. in violazione dei limiti del suo potere gestorio
La conclusione, da parte dell’amministratore di società a responsabilità limitata, di un contratto di cessione di azienda in violazione dei limiti del suo potere gestorio rileva unicamente sul piano dei rapporti interni e non si traduce in una invalidità del negozio, salvo che si provi che i terzi hanno intenzionalmente agito in danno della società, secondo quanto previsto dall’art. 2475 bis c.c.
Al fine di ottenere una dichiarazione di nullità del contratto di cessione d’azienda per contrarietà a norme imperative ex art. 1418 c.c., non è sufficiente la produzione nel giudizio civile della sentenza pronunciata in sede penale (avente ad oggetto le medesime condotte poste in essere dall’amministratore della società cedente) se questa ha dichiarato estinto il reato contestato per intervenuta prescrizione. Infatti, il giudicato penale è vincolante nel giudizio civile in ordine all’accertamento dei fatti materiali solo ove si tratti di sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento, ma non nel caso di sentenza meramente dichiarativa dell’intervenuta prescrizione del reato. La pronuncia di non luogo a procedere per estinzione del reato viene ad escludere lo stesso accertamento dell’illecito penale e quindi non prova nulla circa la responsabilità degli imputati per quel fatto. Per queste ragioni, il giudice civile non è vincolato al rispetto della sentenza e deve interamente e autonomamente rivalutare il fatto in contestazione, potendo ripartire la responsabilità in modo diverso rispetto a quanto stabilito dal giudice penale.
Nell’ipotesi di vendita di azienda altrui si applicano i principi generali previsti all’art. 1478 c.c., secondo cui tale vendita non è nulla o inefficace, bensì è valida con efficacia obbligatoria (e non traslativa), facendo sorgere in capo al venditore l’obbligo di procurare l’acquisto del bene altrui venduto al compratore. In ogni caso, l’acquirente che era ignaro dell’altruità dell’azienda al momento dell’acquisto può, in conformità con quanto previsto dall’art. 1479 c.c., chiedere la risoluzione del contratto.
Compromettibilità in arbitri di controversie concernenti delibere assembleari aventi ad oggetto un contratto preliminare di vendita
Gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis c.c., possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. La volontà dei soci di devolvere la controversia all’arbitro che deve decidere in via irrituale deve essere espressamente indicata nello statuto. La clausola è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia. In tema di deliberazioni, il limite dell’indisponibilità dei diritti ricorre nel caso in cui modifiche dell’oggetto sociale prevedano attività illecite o impossibili [nella specie, non può che essere attribuita agli arbitri, la controversia avente ad oggetto la delibera assembleare di approvazione e ratifica dell’operato del c.d.a. in merito alla stipula del contratto preliminare di vendita dell’immobile aziendale, rientrando, tale operazione, in conformità con l’oggetto sociale, nelle scelte gestionali pienamente legittime. In aggiunta, i diritti preordinati a una impugnativa di delibere assembleari aventi ad oggetto la vendita dell’immobile aziendale ad un prezzo inferiore a quello di marcato, sono diritti squisitamente patrimoniali, in quanto tali, disponibili, rispetto ai quali opera pienamente la clausola compromissoria].
Quanto all’impugnativa del contratto preliminare di compravendita, ai sensi dell’art. 1441 c.c. “l’annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge”. Pertanto, la condizione essenziale per domandare l’annullamento di un contratto è la qualità di parte di esso. Il singolo socio, non avendo alcun potere rappresentantivo della società, è in difetto di legittimazione attiva: l’unica legittimata a dolersene può essere soltanto la compagine societaria nel cui interesse è stato previsto il preliminare di vendita.
Eccesso dei limiti convenzionali ai poteri rappresentatitivi di amministratore di S.r.l.: conseguenze e legittimazione
La regola posta dall’art. 2475-bis, primo comma, c.c. costituisce una norma di default destinata ad assumere rilevanza nel silenzio dello statuto o dell’atto di nomina. Anche nelle società a responsabilità limitata, infatti, è possibile attribuire il potere di rappresentanza soltanto ad alcuni amministratori ovvero ricollegarla alla titolarità di alcune cariche (come la carica di amministratore delegato o di presidente del consiglio di amministrazione); ciò lo si può desumere dal fatto che tra le indicazioni che l’atto costitutivo deve necessariamente contenere rientrano quelle concernenti la rappresentanza della società (art. 2463 comma 2, n. 7 c.c.) e che l’art. 2383 comma 4 (richiamato dall’art. 2475 comma 2 c.c.) prevede che entro trenta giorni dalla notizia della nomina, gli amministratori devono chiederne l’iscrizione nel registro delle imprese indicando a quali tra essi è attribuita la rappresentanza della società, nonché – in ultimo – da quanto indicato all’art. 2475-ter c.c. dove nel menzionare gli «amministratori che hanno la rappresentanza della società» lascia desumere che possono esservi amministratori che non hanno detto potere in conseguenza di limitazioni poste dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina.
Le limitazioni statutarie – a differenza delle limitazioni legali – dei poteri rappresentativi degli amministratori non si riverberano in maniera automatica sul contratto sottoscritto dagli amministratori con i terzi, non essendo, se non nel concorso degli altri presupposti indicati dall’art. 2475-bis c.c., ad essi opponibili. Il fatto che un amministratore abbia sottoscritto un contratto eccedendo la propria limitazione del potere rappresentativo, può presentare conseguenze sul piano dei rapporti interni alla società, giustificando la revoca dell’amministratore dall’incarico gestorio ovvero la proposizione di una azione di responsabilità nei suoi confronti ovvero ancora, qualora nella società sia presente il collegio sindacale, la denunzia ex art. 2408 c.c.
Nel caso di violazione dei limiti convenzionali al potere rappresentativo degli amministratori nell’ipotesi descritta dall’ultima parte dell’art. 2475-bis secondo comma c.c. (ossia nel caso in cui il terzo contraente abbia intenzionalmente agito in danno della società) solo la società (e non, quindi, anche il singolo socio) è legittimata ad opporre ai terzi tali limitazioni. Ciò alla luce del fatto che nelle società di capitali, l’interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica dell’ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni alla società (rappresentati dalla partecipazione alla vita sociale e dalla possibilità di insorgere contro le deliberazioni o di far valere la responsabilità degli organi sociali) e non implica la legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni ed, in particolare, ad impugnare i negozi giuridici stipulati dalla società, la cui validità, anche nelle ipotesi di nullità per illiceità dell’oggetto, della causa o dei motivi, resta contestabile solo dalla società stessa, senza che in contrario il socio possa invocare la norma dell’art. 1421 c.c
L’eventuale inefficacia del contratto concluso dal falsus procurator di una società può essere fatta valere dal falso rappresentato, ma non dai soci di quest’ultimo qualora costituito in forma di società di capitali.
Nullità della cessione d’azienda in assenza di delibera assembleare
La cessione d’azienda, trasformando l’attività dell’impresa cedente da produttiva a finanziaria, rientra tra gli atti che certamente modificano l’oggetto sociale stabilito nell’atto costitutivo e modificano in maniera rilevante i diritti dei soci. Ne consegue che il difetto del potere rappresentativo rende invalido l’atto di cessione ed è opponibile ai terzi indipendentemente da qualsiasi indagine sull’elemento soggettivo.
Si afferma in dottrina ed in giurisprudenza che, nella categoria generale di atti ultra vires, si distinguono quelli che, sebbene estranei all’oggetto sociale, non comportano una sua modifica, da quelli estranei in quanto modificativi dell’oggetto sociale. I primi, da individuarsi negli atti aventi contenuto intrinsecamente esorbitante dal perseguimento dello specifico programma economico della società, sono
opponibili ai sensi dell’art. 2475 bis co. 2. I secondi sono sempre opponibili in quanto posti in essere in violazione di una limitazione
legale. Soltanto in relazione a tale ultima categoria di operazioni (quali, ad es., la cessione dell’azienda con modifica di fatto dell’oggetto sociale da società operativa a holding), il legislatore stabilisce, da un lato, la competenza decisoria dei soci, dall’altro, l’opponibilità incondizionata ai terzi della violazione di tale regola di competenza da parte degli amministratori.
L’assenza di una decisione dei soci configura, così, la violazione di una norma inderogabile posta a presidio dei limiti non convenzionali,
bensì legali del potere di rappresentanza degli amministratori con la conseguenza che non può essere invocata l’inopponibilità dell’atto di cessione.
Se, da una parte, l’atto di disposizione d’azienda che esaurisca il patrimonio della società eccede i poteri che per legge spettano agli amministratori e implica una violazione del riparto legale delle competenze tra assemblea ed amministratori, dall’altra, la sanzione va individuata non già nella annullabilità del contratto, ma nella sua nullità. Sul punto, a nulla vale la considerazione che l’art. 2479 comma 2 n. 5 c.c. non prevede il rimedio della nullità, quale conseguenza della sua violazione, in quanto come ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un’espressa sanzione di nullità non è rilevante ai fini della nullità dell’atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l’art. 1418 comma 1, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità.
In conclusione, la cessione dell’azienda che esaurisce il patrimonio sociale della società a responsabilità limitata deve essere dichiarata nulla ove posta in essere in assenza di deliberazione da parte dei soci.
Cessione delle partecipazioni sociali e modifica di fatto del diritto particolare alla riscossione di utili
La cessione di partecipazioni sociali da parte di una srl il cui statuto riconosca ad uno dei soci il diritto particolare a riscuotere utili in misura non proporzionale rispetto al capitale posseduto non dev’essere autorizzata all’unanimità dai soci, atteso che [ LEGGI TUTTO ]
Competenza della sezione impresa per controversie connesse a trasferimento di partecipazoni sociali
Rientra nella competenza per materia del Tribunale delle Imprese la controversia avente ad oggetto la manleva pattuita nel contesto di un atto di cessione di quote sociali in quanto detta manleva rappresenta obbligazione ancillare alla cessione stessa, con conseguente competenza della medesima sezione specializzata ex art. 3, comma 2, lett. b), D.Lgs. n. 168/2003, ove si prevede la competenza nei procedimenti “relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti”. Analogamente, rientra nella medesima competenza una domanda relativa alla rinuncia a esperire l’azione di responsabilità sociale nei confronti di un ex amministratore.
Inefficacia nei confronti della società del contratto firmato da un membro del consiglio di amministrazione in assenza di spendita del nome
Affinchè il contratto concluso dal rappresentante produca effetti in capo al rappresentato, è necessaria la cd. contemplatio domini, cioè la esternazione da parte del rappresentante dei suoi poteri rappresentativi e del fatto che stia concludendo l’affare in nome e per conto non proprio, ma del soggetto rappresentato. Questa deve essere espressa e non può essere desunta, qualora sia contestata, da elementi presuntivi. Di conseguenza, l’atto compiuto [ LEGGI TUTTO ]
L’apparenza del diritto tutela il legittimo affidamento del terzo sulla titolarità del potere di firma dell’amministratore unico
Il difetto di potere di rappresentanza dell’amministratore unico, firmatario di polizza fideiussoria, non può essere opposto dal rappresentato, che invoca la specialità della procura, ove in forza [ LEGGI TUTTO ]
Cessione di quote di srl e spendita del potere di rappresentanza
Nel sistema vigente le società – ed, in particolare, quelle di capitali – si pongono come soggetti di diritto ben distinti dalle persone dei soci, dotate di un proprio patrimonio e di autonomia patrimoniale perfetta. Il che implica che solo colui che abbia la legale rappresentanza della società può validamente contrarre in nome e per conto della stessa, ed impegnare nei rapporti esterni la volontà dell’ente, spendendo la qualità ed il potere rappresentativo; per converso, analogo potere non può riconoscersi ai soci in quanto tali (nella specie il Tribunale, [ LEGGI TUTTO ]