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14 Gennaio 2025

Diritti e compenso dell’autore della collana all’interno del rapporto di lavoro

Nell’ambito di un rapporto di lavoro (comunque denominato e di qualsiasi natura: subordinato, autonomo, di collaborazione) contenente la commissione delle opere pubblicate, all’autore può – deve – riconoscersi la paternità delle opere, ossia il diritto cd. morale d’autore, mentre i diritti patrimoniali sorgono originariamente (o, secondo altra tesi, sono normalmente e immediatamente trasferiti) in capo al datore di lavoro o al committente, salva la prova di un diverso accordo tra le parti, e all’autore nulla spetta, oltre a quanto già riconosciutogli con il contratto di lavoro.
Diversamente, se l’opera è creata fuori da un qualsiasi rapporto di lavoro, il rapporto tra autore ed editore è regolato dal contratto di edizione, e all’autore spetta una percentuale sul prezzo di copertina degli esemplari venduti, o una somma a stralcio.
In assenza di un contratto scritto tra le parti, distinto da quello di lavoro, non può ritenersi dimostrata la stipula né di un contratto d’opera, né di un contratto di edizione. Nel caso in cui i volumi oggetto di causa risultino parti di più ampie collane, è a maggior ragione ragionevole escludere che essi possano presumersi il frutto dell’autonoma iniziativa di una autrice freelance anziché l’esecuzione di un progetto editoriale, basato sulla ragionevole previsione della redazione delle opere da pubblicare, poggiante sull’impegno assunto nei confronti della committente, anziché sulla libera iniziativa degli autori.
Il compenso per l’opera è quindi da ritenersi già compreso nello stipendio riconosciuto, eventualmente spettando al lavoratore diritti – da fare valere avanti al giudice del lavoro – se fossero state affidate mansioni eccedenti quelle riconducibili alla qualifica attribuita.

2 Gennaio 2025

La prova del legame causale tra condotta e danno nell’illecito di concorrenza sleale

Per accertare l’integrazione dell’illecito di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 è necessaria una pluralità di elementi: anzitutto, la comunanza di clientela e un rapporto di concorrenzialità tra le parti interessate; in secondo luogo, il compimento di atti di concorrenza sleale da parte di uno dei soggetti coinvolti; in terzo luogo, la sussistenza di un danno risarcibile e il nesso eziologico tra tale danno e la condotta sleale di controparte; infine, il coefficiente psicologico della colpa in capo al danneggiante (presunto, ex art. 2600 c.c., salva prova contraria).

Il danno cagionato dagli atti di concorrenza sleale non è in re ipsa ma, quale conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, necessita di prova secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito, sicché solo la dimostrazione della sua esistenza consente l’utilizzo del criterio equitativo per la relativa liquidazione. Se è vero che l’accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale comporta una presunzione di colpa che onera l’autore degli stessi della dimostrazione dell’assenza dell’elemento soggettivo ai fini dell’esclusione della sua responsabilità, è altrettanto vero che il corrispondente danno cagionato dalla condotta anticoncorrenziale necessita di essere provato dal danneggiato.

La prova del danno subito e del legame causale tra condotta e danno, in ossequio alla ripartizione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., grava dunque sul danneggiato. Il mancato assolvimento dell’onere probatorio in ordine alla sussistenza del nesso eziologico tra condotta e danno assorbe ogni indagine ulteriore e impone il rigetto della domanda risarcitoria di parte attrice.

30 Dicembre 2024

Danno da indebita prosecuzione dell’attività d’impresa: applicazione dell’art. 2486 c.c.

L’ultimo comma dell’art. 2486 c.c. attribuisce al criterio dello sbilancio fallimentare una chiara natura residuale, contemplando la sua applicabilità solo qualora manchino le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possano essere determinati. Ove, invece, sia possibile ricostruire la situazione contabile della società, è necessario applicare il criterio incrementale. Il danno quantificato sulla base di tale criterio – come conseguenza della condotta di indebita prosecuzione dell’attività d’impresa nonostante la completa erosione del capitale sociale fosse – trattandosi di debito di valore esige l’aggiunta della rivalutazione monetaria a decorrere dalla data di fallimento. Poiché tale somma rappresenta il controvalore monetario del danno patrimoniale subìto, potrebbe in astratto essere riconosciuto al danneggiato anche il danno provocato dal ritardato pagamento in misura pari agli interessi legali. Tuttavia, poiché è onere del creditore provare, anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo e poiché non è configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli interessi compensativi, non è possibile riconoscere detti accessori in assenza di qualsiasi specifica allegazione sul punto da parte dell’attrice.
Sulla somma liquidata all’attualità sono, invece, dovuti gli interessi legali dalla data della sentenza al saldo.

24 Dicembre 2024

Impugnazione di bilancio e operazioni con parti correlate

L’art. 2427, n. 22-bis, c.c., in ossequio alla natura del bilancio come documento contabile di sintesi, limita chiaramente la necessità che siano fornite nella nota integrativa le specifiche indicazioni sull’importo, sulla natura del rapporto e su ogni altra circostanza indispensabile alla loro comprensione, all’ipotesi in cui le operazioni con le parti correlate “non siano state concluse a normali condizioni di mercato”. Nella redazione della nota integrativa gli amministratori non sono, dunque, tenuti a dare compiuta descrizione, secondo le previsioni della norma richiamata, di tutte le operazioni con parti correlate intrattenute dalla società ma solo di quelle che non siano state concluse a condizioni di mercato. Quanto alle “normali condizioni di mercato”all’interpretazione del criterio concorrono le indicazioni di cui al principio contabile OIC 12, che indica quali elementi di valutazione non solo il prezzo, ma anche le motivazioni in base a cui si è concluso l’affare con tale controparte contrattuale piuttosto che con soggetti terzi.

Il socio che propone impugnazione del bilancio sotto il profilo del difetto delle indicazioni dovute in relazione alle operazioni compiute con parti correlate ha innanzitutto l’onere di indicare e descrivere anche in via di massima le singole operazioni della società con parte correlate che non siano state compiute a condizioni di mercato e non può limitarsi genericamente a lamentare la mancanza di informazioni o a sostenere la non veridicità dell’affermazione di inesistenza di operazioni con parti correlate a condizioni fuori mercato. L’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio è, infatti, pur sempre una domanda giudiziale diretta a far valere l’invalidità dell’atto che pone a carico dell’attore l’onere di specifica allegazione dei fatti costitutivi dell’azione e non può essere intesa quale strumento per “indagare” sull’esistenza o meno di operazioni con parti correlate a condizioni fuori mercato. Una volta che il socio impugnate abbia indicato le operazioni con parti correlate censurate diviene, poi, onere della società provare in giudizio, sulla base della documentazione in suo possesso e delle informazioni preventivamente assunte sulle condizioni del mercato a supporto delle sue valutazioni come previsto dall’OIC 12 , la correttezza e completezza delle informazioni diffuse con la nota integrativa. Nell’art. 2427, n. 22-bis, c.c.non c’è traccia del dovere della società di descrivere analiticamente in nota integrativa la totalità delle operazioni compiute con parti correlate per “dimostrare” che siano state concluse a normali condizioni di mercato, mentre l’onere della prova della completezza delle informazioni fornite gravante sulla società nell’ambito del giudizio di impugnazione è circoscritto alle operazioni specificamente censurate dal socio attore attraverso la deduzione specifica delle condizioni di fatto a cui la legge subordina l’insorgere degli obblighi di precisione informativa invocati.

19 Dicembre 2024

Ratio della disciplina antiriciclaggio e responsabilità omissiva della banca per prosecuzione indebita di attività di impresa

La disciplina antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007) non è dettata al fine di garantire i rapporti fra privati, e in particolare non pone a carico della Banca un obbligo giuridico di impedire gli eventi quali la generazione di insolvenza o la prosecuzione indebita di attività di impresa in stato di perdita di capitale; la sussistenza di un tale obbligo è requisito indispensabile per potere costruire, sulla base della violazione di una norma, la responsabilità omissiva del soggetto agente per le conseguenze dannose. La normativa antiriciclaggio è invece posta a presidio dell’interesse pubblicistico a impedire la circolazione di denaro di provenienza illecita [nel caso di specie il Tribunale ha, quindi, ritenuto insussistente la responsabilità ex artt. 2043 e 2055 c.c. delle banche per non aver impedito all’amministratore di una società cooperativa, poi fallita, di effettuare prelievi in contanti dai conti intestati alla società, dato che anche a voler qualificare tali operazioni come “sospette”, ciascuna banca avrebbe avuto il solo obbligo di effettuare una segnalazione all’UIF, senza avere il potere, né il dovere, di impedire i prelievi].

12 Dicembre 2024

La verifica di validità della delibera di esclusione del consorziato

Ne consorzi, sia con attività meramente interna che con attività esterna, il legislatore non ha previsto specifiche ipotesi di esclusione del consorziato, fatta eccezione, in caso di trasferimento dell’azienda per atto tra vivi, per l’esclusione facoltativa dell’acquirente prevista dal comma 2 dell’articolo 2610. L’articolo 2609 c.c., infatti, rimanda ai casi di esclusione previsti dal contratto, mentre l’articolo 2603, comma 2, n. 6, prevede che il contratto di consorzio indichi i casi di esclusione. Non vi è dubbio, quindi, che sia rimessa all’autonomia di coloro che vogliono consorziarsi la determinazione dei casi in cui è consentita l’esclusione del singolo consorziato, nonché del procedimento da seguirsi per l’applicazione della misura, fermo restando che l’esclusione di un consorziato non può che presumere un inadempimento, e cioè la violazione dell’interesse collettivo dei consorziati dedotto in contratto e che le fattispecie di esclusione sono solo quelle tassativamente previste dal regolamento convenzionale.

Per la verifica della validità di una delibera di esclusione, il giudice deve prendere in esame i soli addebiti specificamente esposti nella delibera, senza che sia possibile considerare integrazioni successive anche in applicazione del principio generale della corrispondenza tra fatto addebitato e fatto sanzionato.

11 Dicembre 2024

Banca sottoposta a liquidazione coatta amministrativa e competenza dell’accertamento di crediti

L’improponibilità delle domande verso la liquidazione coatta amministrativa dell’impresa bancaria riguarda tutte le domande che sono funzionali all’accertamento di un credito verso l’impresa in liquidazione, anche ove dette domande siano di mero accertamento di detto credito e non di condanna, ovvero anche ove dette domande siano costitutive o di accertamento e vengano invocate quale presupposto dell’insorgenza di un credito risarcitorio o restitutorio da far valere verso la procedura, non potendosi derogare all’accertamento del credito e dei suoi presupposti secondo le regole del concorso. Rimangono, invece, escluse dalle regole dell’accertamento concorsuale e della formazione dello stato passivo tutte le domande di accertamento o costitutive, come possono essere le domande di accertamento delle nullità di un contratto, ovvero le domande di annullamento, ovvero di inefficacia, quando dirette non già a far valere crediti risarcitori o restitutori, ma semplicemente a conseguire la liberazione da un obbligo assunto verso l’impresa sottoposta a procedura concorsuale, tutela questa in sé che il giudice del concorso non è deputato a dare. Tra dette domande non funzionali all’accertamento dei crediti rientrano quelle volte ad accertare l’insussistenza di crediti vantati dall’impresa in bonis e propri della procedura, in relazione alle quali è ben possibile agire secondo le regole ordinarie, anche ove l’insussistenza del credito dipenda dalla nullità, dalla annullabilità ovvero dalla inefficacia del contratto, sempre che dette pretese siano funzionali all’accertamento negativo del credito vantato dalla procedura medesima sulla scorta del rapporto negoziale invalido.

Il divieto di assistenza finanziaria previsto dall’art. 2358 c.c., essendo posto a tutela dell’interesse della società e dei creditori all’integrità del capitale, deve ritenersi applicabile anche alle società cooperative.

La violazione del divieto di assistenza finanziaria comporta la nullità del negozio di finanziamento collegato al collocamento di azioni che avvenga nel mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c.

2 Dicembre 2024

Contraffazione del marchio per effetto del nome commerciale o della denominazione sociale

Il titolare di un marchio europeo ha il diritto di vietare ai terzi di utilizzare nel commercio “come nome commerciale o denominazione sociale o come parte di essi” un segno identico o simile al proprio, in maniera tale da creare un collegamento tra l’impresa ed il proprio segno distintivo e, quindi, confusione circa l’origine commerciale dei prodotti e servizi, come si legge nel considerando n. 13 del Regolamento UE n. 1001/2017.

29 Novembre 2024

La legge applicabile all’azione di responsabilità promossa ex art. 2395 c.c. nei confronti dell’amministratore di società costituite e aventi sede all’estero

L’azione di responsabilità promossa ex art. 2395 c.c. dal socio nei confronti dell’amministratore di società controllate costituite e aventi sede all’estero può essere proposta davanti al giudice italiano ai sensi dell’art. 7, n. 2, del Regolamento UE n. 1215/2012, ove secondo la prospettazione dell’attrice, l’evento dannoso abbia avuto luogo nel territorio italiano.

L’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2395 c.c. promossa nei confronti di un amministratore di società controllate straniere è regolata dalla lex societatis ai sensi dell’art. 25 della legge n. 218/1995 deve essere regolata dalla legge straniera ai sensi dell’art. 25 comma 1, lett. i), della legge n. 218/1995. Tale conclusione appare condivisibile, poiché l’art. 2395 c.c., pur costituendo un’applicazione dell’art. 2043 c.c., presenta rispetto a quest’ultima azione due peculiarità in punto di decorrenza del termine di prescrizione e di limitazione del danno risarcibile e si colloca a chiusura di un sistema speciale di responsabilità dettato dal legislatore con riferimento all’amministratore di una società proprio in ragione della carica ricoperta, nel quale le dinamiche endosocietarie influenzano l’applicazione dei principi generali in tema di responsabilità. L’azione ex art. 2395 c.c., infatti, non è applicabile a qualsiasi condotta dell’amministratore, ma solo alle azioni o alle omissioni che egli pone in essere nell’esercizio o in occasione del suo ufficio, cosicché vi è comunque un riferimento alla materia societaria che giustifica l’applicazione della norma di conflitto di cui all’art. 25 della legge n. 218/1995.

28 Novembre 2024

Azione di responsabilità esercitata dal curatore e mancata restituzione delle immobilizzazioni materiali

L’azione di responsabilità esperita dalla curatela fallimentare ai sensi dell’art. 146 L.F. cumula inscindibilmente i presupposti e gli scopi sia dell’azione sociale di responsabilità’ ex artt. 2392 e 2393 C.C. – che si ricollegano alla violazione da parte degli amministratori di specifici obblighi di derivazione legale o pattizia che si siano tradotti in pregiudizio per il patrimonio sociale -, che dell’azione spettante ai creditori sociali ex art. 2934 C.C., – tendente alla reintegrazione del patrimonio sociale diminuito dall’inosservanza degli obblighi facenti capo all’amministratore.

In applicazione degli ordinari canoni probatori che sovraintendono il processo civile, nell’azione di responsabilità ex art. 146 L.F., grava sulla Curatela attrice l’onere di provare – giusta l’art. 2697 c.c. – la violazione dei doveri e degli obblighi di derivazione pattizia o legale legati alla assunzione dell’incarico da parte dell’amministratore sia l’esistenza di specifiche e determinate voci di danno eziologicamente riconducibili alla inosservanza dei suddetti obblighi e doveri.

Nel caso in cui la Curatela attrice imputi al convenuto la distrazione di beni dalla società e quest’ultimo abbia pacificamente riconosciuto l’addebito, in mancanza della prospettata consegna, deve ritenersi che le immobilizzazioni materiali siano state perse, distrutte o distratte in epoca non accertabile con corrispondente danno per la società e per i creditori. La mancata consegna di beni de quo integra gli estremi della responsabilità ex art. 146 L.F. e 2394 C.C., posto che l’amministratore ha evidentemente violato l’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio non consegnando detti beni.

In ordine alla quantificazione del danno, nell’azione di responsabilità per mala gestio promossa nei confronti dell’amministratore, il danno risarcibile può essere determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, quale plausibile parametro per una liquidazione equitativa, purché sia stato allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state indicate le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore. Invero, siffatto criterio, in quanto caratterizzato da un’elevata dose di approssimazione, può avere un utilizzo concreto in due sole fattispecie. La prima è quella della mancanza, falsità o totale inattendibilità della contabilità e dei bilanci della società dichiarata fallita, situazione che determina l’impossibilità di ricostruire la movimentazione degli affari dell’impresa e quindi il necessario ricorso ad un criterio scevro da agganci a precisi parametri. La seconda è quella in cui il dissesto sia stato cagionato da un’attività distrattiva così reiterata e sistematica, da escludere la possibilità concreta di una quantificazione parametrata sul valore dei beni distratti e dissipati