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15 Gennaio 2024

Sull’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore della società

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, dei liquidatori, e dei sindaci di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento confluiscono nell’unica azione di responsabilità esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall., la quale, assumendo contenuto inscindibile e connotazione autonoma rispetto alle prime, attesa la ratio ad essa sottostante identificabile nella destinazione di strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia dei soci che dei creditori sociali, implica una modifica della legittimazione attiva di quelle azioni, ma non ne immuta i presupposti.

L’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c. ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo; l’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c. ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale. La prescrizione dell’azione proposta nei confronti degli amministratori e dei sindaci per mala gestio resta quinquennale e decorre non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, o dalla cessazione dalla carica, bensì dal momento dell’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti e, per meglio dire, dal momento in cui i creditori sono oggettivamente in grado di venire a conoscenza di tale insufficienza. Detta disciplina, stante il disposto dell’art. 2489 c.c. che rinvia, quanto alla responsabilità del liquidatore, alle norme sull’amministratore, si applica anche ai liquidatori di società di capitali.

L’insufficienza patrimoniale di cui all’art. 2394 c.c. non corrisponde alla perdita integrale del capitale sociale, che può verificarsi anche in presenza di un pareggio tra attivo e passivo, né allo stato di insolvenza, trattandosi di uno squilibrio patrimoniale più grave e definitivo che può essere sia anteriore che posteriore alla dichiarazione di fallimento. Per presunzione iuris tantum, fondata sull’id quod plerumque accidit, la manifestazione di tale insufficienza si identifica con la dichiarazione di fallimento, mediante lo spossessamento del debitore e la presa in consegna delle attività da parte dell’organo della procedura. Tale presunzione non esclude come, in concreto, il deficit si sia manifestato in un altro momento, ma incombe sull’amministratore che eccepisce la prescrizione provare che l’insufficienza preesisteva e che era oggettivamente conoscibile da parte dei creditori in un momento anteriore alla dichiarazione di fallimento.

Nonostante i doveri di amministratori e liquidatori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, essi possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione. Debbono considerarsi atti utili alla liquidazione, ai sensi dell’art. 2489 c.c., tutti quelli volti alla realizzazione dell’attivo e alla eliminazione del passivo sociale, in modo da consentire il riparto finale del residuo. La professionalità e la diligenza richieste secondo la natura dell’incarico conferito costituiscono parametri da valutarsi comunque con riferimento al fine ultimo della liquidazione ed estinzione della società e al compimento dei soli atti utili al raggiungimento di tale scopo; l’attività discrezionale, e come tale insindacabile, dei liquidatori ha quindi come limiti la ragionevolezza e la coerenza con le finalità proprie della particolare fase della vita della società cui sono preposti. Analogamente alla responsabilità degli amministratori, anche quella dei liquidatori è quindi una responsabilità qualificata e, per non incorrere in responsabilità, i liquidatori devono agire con la diligenza del corretto liquidatore, determinata in relazione all’incarico e alle specifiche competenze.

È da escludersi che sussista lo stato d’insolvenza in presenza di un passivo di bilancio, o allorché la difficoltà di adempimento delle obbligazioni sia momentanea, e non cronica, e riguardi non tutte le obbligazioni, ma solo poche obbligazioni in un lasso di tempo limitato. L’insolvenza, invero, dev’essere valutata dinamicamente, in relazione cioè al complesso delle operazioni economiche ascrivibili all’impresa: dunque a un elemento legato non all’incapienza in sé del patrimonio dell’imprenditore ma a una vera impotenza patrimoniale definitiva e irreversibile e non è, invece, ravvisabile in una mera temporanea impossibilità di regolare adempimento delle obbligazioni assunte.

Quando sia imputato all’organo amministrativo e di controllo il mancato incasso d’un credito, maturato dalla società in bonis prima del fallimento, non è sufficiente allegare l’inerzia degli amministratori nella riscossione di esso, occorrendo piuttosto allegare e provare che il credito è divenuto inesigibile a causa di quella inerzia.

Nel caso in cui un amministratore effettui pagamenti preferenziali in una situazione di dissesto, questi sarà tenuto a risarcire i creditori lesi dal pagamento preferenziale, ma non per l’intero credito, bensì per il danno da maggior falcidia dei crediti insinuati al passivo. Questo è rappresentato dalla differenza tra quanto i creditori avrebbero percepito dal riparto fallimentare se il pagamento non fosse stato effettuato, e il creditore preferito si fosse insinuato al passivo fallimentare, e quanto hanno effettivamente percepito.

6 Dicembre 2023

Azione di responsabilità esercitata dal curatore e quantificazione del danno

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 146, co. 2, l. fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2392, 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali. Invero, il curatore può, anche separatamente, formulare domande risarcitorie tanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale, che ha natura contrattuale, quanto con riguardo a quelli della responsabilità verso i creditori, che ha natura extracontrattuale. Tali azioni non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell’onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili e il regime di decorrenza del termine di prescrizione.

In tema di azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall., la mancanza di scritture contabili, ovvero la loro sommarietà o inintelligibilità, non è di per sé sufficiente a giustificare la condanna dell’amministratore in conseguenza dell’impedimento frapposto alla prova occorrente ai fini del nesso eziologico rispetto ai fatti causativi del dissesto, in quanto la stessa presuppone che sia comunque previamente assolto l’onere della prova circa l’esistenza di condotte per lo meno astrattamente causative di un danno patrimoniale, restando perciò applicabile il criterio del deficit fallimentare soltanto come criterio equitativo, per l’ipotesi di impossibilità di quantificare esattamente il danno in conseguenza dell’affermazione di esistenza della prova, almeno presuntiva, di condotte di tal genere.

Sulla prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 LF

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 146 LF, salvo che risulti diversamente, assomma in sé quella sociale (art. 2393 c.c.) e quella dei creditori (art. 2394 c.c.) – ciascuna mantenendo le caratteristiche sue proprie – e di conseguenza il diritto al risarcimento può considerarsi estinto solo se è decorso il termine quinquennale per ambedue le azioni. A tal riguardo il diritto al risarcimento che spetta alla società verso gli amministratori si estingue dopo cinque anni dalla cessazione del mandato di gestione, mentre il diritto al risarcimento che spetta ai creditori si prescrive in cinque anni dall’evidenza dell’insufficienza patrimoniale colpevolmente provocata dagli organi sociali.

19 Luglio 2023

Azione di responsabilità contro gli amministratori promossa dal curatore

Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo ovvero per non avere osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, come previsto dall’art. 2392 c.c. sulla responsabilità degli amministratori della s.p.a., applicabile ex art. 12 disp. prel. al c.c. anche alle società a responsabilità limitata. Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

Nei casi di azione di responsabilità ex art. 146 l.f. intentata dal curatore nei confronti degli ex amministratori di una società fallita viene esercitata cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità, che sarebbe stata esperibile dalla medesima società, se ancora in bonis, nei confronti dei propri amministratori ai sensi dell’art. 2393 c.c.  – o 2476 c.c. per le s.r.l. – sia l’azione che, ai sensi dell’art. 2394 c.c., sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza del patrimonio della società debitrice – art. 2476, co. 6, c.c. per le s.r.l.

10 Luglio 2023

Responsabilità dell’amministratore per pagamenti preferenziali: il danno da maggior falcidia

La dedotta mala gestio dell’amministratore non può coincidere con il deliberato assembleare dallo stesso espresso quale socio, per il solo fatto che nella stessa persona si sommano la qualità di socio e quella di amministratore unico, perché la delibera dell’assemblea è espressione della volontà del socio e non dell’amministratore; specularmente, l’erogazione dei compensi cui abbia dato corso l’amministratore in proprio favore non delinea un conflitto di interessi ex art. 2475 ter c.c. per il sol fatto che la medesima persona riveste la duplice posizione di socio e amministratore quando il versamento erogato sia conforme al precedente deliberato assembleare. Più in generale, non si delinea atto di mala gestio da parte dell’amministratore unico che si sia liquidato somme a titolo di compensi in conformità alle delibere assembleari, a meno che all’atto della erogazione non risultasse evidente lo stato di dissesto in cui versava la società, con conseguente violazione della par condicio creditorum.

La mancata convocazione dell’assemblea ex art. 2482 ter c.c. non è di per sé sufficiente a configurare un’ipotesi di responsabilità gestoria in capo all’amministratore. Il curatore che intende far valere la responsabilità dell’ex-amministratore deve allegare e provare che, successivamente alla perdita del capitale sociale, sono state intraprese iniziative imprenditoriale connotate dall’assunzione di nuovo rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di una logica meramente conservativa.

Posto che è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il curatore fallimentare è pienamente legittimato all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro gli amministratori della società, anche per i pagamenti eseguiti in violazione della par condicio creditorum e, dunque, il pagamento preferenziale è di per sé sufficiente a legittimare il curatore all’azione di risarcimento, nondimeno è onere del curatore che agisce in giudizio dedurre la natura, chirografaria o privilegiata, del credito soddisfatto e l’esistenza di crediti di pari grado o di grado poziore rimasti, invece, insoddisfatti.

Il danno da pagamento preferenziale è individuabile quale danno da “maggior falcidia” dei crediti insinuati nel passivo fallimentare, danno pari alla differenza tra, da una parte, quanto i creditori avrebbero percepito dal riparto fallimentare se il pagamento non fosse stato effettuato e il creditore preferito si fosse insinuato al passivo fallimentare e, dall’altra, quanto hanno effettivamente percepito. Il calcolo di tale danno suppone l’allegazione e la prova di: (i) il passivo fallimentare; (ii) l’attivo fallimentare; (iii) il riparto effettuato; (iv) il riparto che sarebbe stato effettuato se il pagamento preferenziale non fosse avvenuto e il creditore preferito si fosse invece insinuato al passivo.

21 Giugno 2023

Sull’azione di responsabilità degli amministratori di s.r.l. nel fallimento

Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo ovvero per non avere osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, come previsto dall’art. 2392 c.c. sulla responsabilità degli amministratori della s.p.a., applicabile ex art. 12 disp. prel. al c.c. anche alle s.r.l.

Nonostante i doveri degli amministratori non trovino un’enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, spetta all’attore allegare l’inadempimento ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto, e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dell’amministratore contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.

In mancanza del deposito dei bilanci e della tenuta delle scritture contabili obbligatorie i danni devono essere liquidati nella misura pari alla differenza tra attivo e passivo (c.d. deficit fallimentare), secondo il criterio equitativo già invalso nella giurisprudenza di legittimità e oggi codificato all’art. 2486, co. 3, seconda parte, c.c.

30 Maggio 2023

I fatti sintomatici idonei a ribaltare la presunzione circa la decorrenza della prescrizione dell’azione ex art. 2394 c.c. dalla data del fallimento

Nel caso dell’azione di responsabilità promossa dai creditori sociali, il termine quinquennale decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte loro, dell’insufficienza del patrimonio a soddisfare i crediti che risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto. Solitamente questo momento viene a coincidere con la pubblicazione nel registro delle imprese della dichiarazione di fallimento, atteso che, in ragione della onerosità della prova gravante sulla procedura che agisce, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza. [Nel caso di specie, il tribunale ha considerato tali: (i) l’arresto dell’amministratore delegato, cui era conseguita (ii) la pubblicazione su periodici di notizie in merito all’istanza di fallimento presentata dalla procura della Repubblica; (iii) la sospensione della quotazione e della compravendita delle azioni della società operata da Borsa Italiana, di cui pure era stata data notizia sulla stampa; (iv) la convocazione dell’assemblea straordinaria della società, pubblicata sul sito di Borsa Italiana, avente ad oggetto, tra l’altro, l’analisi della situazione contabile e una discussione in merito all’opportunità di procedere alla presentazione di una domanda di un concordato in bianco, ovvero alla liquidazione della società].

In tema di obbligazioni solidali derivanti da atti illeciti, qualora solo il fatto di uno dei coobbligati costituisca anche reato, mentre quelli degli altri costituiscono unicamente illecito civile, la possibilità di invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall’art. 2947, co. 3, c.c. per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato è limitata alla sola obbligazione del primo dei predetti debitori (quella collegata ad un reato), sicché deve concludersi che il più lungo termine prescrizionale non trova applicazione con riferimento alle posizioni degli altri soggetti che hanno fatto parte degli organi di gestione e di controllo, unitamente ai predetti imputati/condannati, ma nei confronti dei quali l’autorità competente non ha ritenuto di esercitare l’azione penale.

In tema di prescrizione dell’azione di responsabilità del revisore, il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione deve essere individuato nella data della relazione di revisione sul bilancio emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento.

Nell’assumere l’iniziativa giudiziale a norma del secondo comma dell’art. 146 l.f., il curatore del fallimento esercita nei confronti di amministratori e sindaci cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità, che sarebbe stata esperibile dalla medesima società se ancora in bonis (ai sensi degli artt. 2393 e 2407 c.c.), sia l’azione che sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza della società debitrice (ai sensi degli artt. 2394 e 2407 c.c.). Ciò comporta la mera modifica della legittimazione attiva delle azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c., ma non anche una modifica della natura giuridica e dei presupposti di tali singole azioni, che rimangono diversi ed indipendenti. Invero, il curatore può, anche separatamente, formulare le singole domande risarcitorie, le quali mantengono ciascuna la propria natura.

L’irregolare e anche disordinata tenuta della contabilità integra una violazione dei doveri dell’amministratore potenzialmente, ma non necessariamente, foriera di danno per la società. Tale violazione è, tuttavia, idonea a fondare solo una pronuncia di condanna generica al risarcimento che non investe la sussistenza del danno. Invero, eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono certamente rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge, ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi di sono occultate o che grazie a quei falsi sono state consentite. Tali condotte, dunque, devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.

22 Maggio 2023

L’azione di responsabilità della curatela e i doveri degli amministratori

Ai sensi dell’art. 2476 c.c. gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo ovvero per non avere osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, come previsto dall’art. 2392 c.c. sulla responsabilità degli amministratori della s.p.a., applicabile ex art. 12 disp. prel. al c.c. anche alla s.r.l.

Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

Nei casi di azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. intentata dal curatore nei confronti degli ex amministratori di una società fallita viene esercitata cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità che sarebbe stata esperibile dalla medesima società, se ancora in bonis, nei confronti dei propri amministratori ai sensi dell’art. 2393 c.c. (o 2476 c.c. per le s.r.l.), sia l’azione che, ai sensi del successivo art. 2394 c.c., sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza del patrimonio della società debitrice (2476, co. 6, c.c. per le s.r.l.). L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale; dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, spetta all’attore allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dell’amministratore contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.

Per quanto riguarda il criterio liquidativo del danno, in caso di totale assenza delle scritture contabili e dei bilanci, è legittimo l’utilizzo del criterio del c.d. deficit fallimentare secondo cui il danno viene liquidato, in via equitativa, nella misura pari alla differenza tra attivo e passivo del fallimento.

3 Maggio 2023

Sull’azione di responsabilità promossa dal curatore

Il curatore del fallimento di una società di capitali può, con un’unica azione, proporre ex art. 146, co. 2 e 3, l.fall. domande risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori e i sindaci, tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità contrattuale di questi verso la società, per inadempimento colposo agli obblighi generali di vigilanza e di intervento preventivo e successivo (ex artt. 2392 e 2407 c.c.), quanto a quelli della responsabilità extracontrattuale verso i creditori sociali, per inosservanza degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, necessaria all’assolvimento della sua generica funzione di garanzia (ex artt. 2394 e 2407 c.c.).

Nell’ambito delle azioni di responsabilità intentate dal curatore fallimentare nei confronti degli amministratori della società fallita, non è sufficiente lamentare la violazione da parte di questi delle norme di legge e dell’atto costitutivo o la non corretta e oculata gestione della società, ma è altresì indispensabile dedurre e dimostrare la diminuzione del patrimonio della società e il nesso causale tra la predetta e le suddette condotte. Anche le azioni di responsabilità intentate dal curatore fallimentare nei confronti del liquidatore per comportamenti da questi posti in essere a decorrere dalla messa in liquidazione della società devono, per trovare accoglimento, essere parimenti giustificate dalla causazione di un danno patrimoniale.

19 Gennaio 2023

Responsabilità del socio di s.r.l.

Ai fini dell’applicazione della disciplina di cui all’art. 2476, comma 8, c.c. è necessario prendere in considerazione tutte quelle manifestazioni di volontà espresse dai soci anche in forme non istituzionali e meramente ufficiose, ma tali in ogni caso da evidenziare l’ingerenza o anche l’influenza effettiva spiegata da costoro sugli amministratori. Quanto, invece, all’elemento soggettivo, la norma richiede che il socio, nel partecipare all’attività dannosa, abbia altresì “intenzionalmente” deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi, con la conseguenza che si renderà necessario provare anche la volontà del socio di cagionare specifiche lesioni patrimoniali alla società o a terzi mediante l’induzione dell’amministratore all’inadempimento dei suoi doveri o, quanto meno, la piena consapevolezza del socio della contrarietà dell’atto di gestione a norme di legge o dell’atto costitutivo o ai principi di corretta amministrazione nonché delle sue possibili conseguenze dannose.

Più precisamente, deve trattarsi di atti o comportamenti posti in essere dai soci nella fase decisionale anche fuori dalle incombenze formalmente previste per legge o per statuto e tali da supportare intenzionalmente l’azione illegittima e dannosa poi posta in essere dagli amministratori; inoltre, è sufficiente che vi sia la consapevolezza da parte del socio, frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità, dell’antigiuridicità dell’atto e che, nonostante ciò, costui partecipi alla fase decisionale finalizzata al successivo compimento di quell’atto da parte dell’amministratore. A tal riguardo l’antigiuridicità dell’atto viene poi a configurarsi non solo quando l’atto deciso è contrario alla legge o all’atto costitutivo della società, ma anche quando l’atto, pur se di per sé lecito, è esercitato in modo abusivo, cioè con una finalità non riconducibile allo scopo pratico posto a fondamento del contratto sociale.

In altre parole, oltre che al rispetto della legge e del principio generale del neminem laedere, i soci sono pur sempre tenuti ad osservare i doveri di correttezza e buona fede nei confronti della società, degli altri soci e dei terzi, dovendo quindi costoro comunque evitare di compiere o di concorrere a compiere un atto che, se pur astrattamente lecito, possa di fatto risultare dannoso per gli altri soci, per esempio di minoranza, e nel contempo essere privo di un vantaggio apprezzabile per la società. Ne deriva che, se è previsto ex art. 1375 c.c. che il contratto deve essere eseguito in buona fede, è allora evidente che tutte le determinazioni e decisioni dei soci, assunte formalmente o informalmente durante lo svolgimento del rapporto associativo, debbono essere considerate come veri e propri atti di esecuzione e devono conseguentemente essere valutate nell’ottica della tendenziale migliore attuazione del contratto sociale; sicché, è da considerare antigiuridico anche un atto che in concreto si presenti espressione dell’inosservanza dell’obbligo di fedeltà allo scopo sociale e/o del dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto sociale.