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Francesco Calosso

Francesco Calosso

Avvocato

Nato a Torino, il 9 luglio 1994. Laureato in giurisprudenza nel corso dell’anno 2019 presso l'Università degli Studi di Torino, con tesi in diritto bancario. Attualmente svolgo la professione di avvocato, iscritto presso il Foro di Torino, collaborando con lo Studio Legale Associato Fenoglio Callegari.

2 Aprile 2024

Azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di s.r.l. per atti di mala gestio

Per effetto del fallimento di una società di capitali, le  diverse fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. (ante riforma) confluiscono in un’unica azione, dal carattere unitario ed inscindibile, all’esercizio della quale è legittimato, in via esclusiva, il curatore del fallimento, ai sensi dell’art. 146 l. fall., che può, conseguentemente, formulare istanze risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori ed i sindaci tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità contrattuale di questi verso la società, quanto a quelli della responsabilità extracontrattuale verso i creditori sociali. Per gli amministratori di una società a responsabilità limitata, al pari di quelli delle società per azioni, è richiesta non la generica diligenza del mandatario (art. 1710 c.c.), cioè quella tipizzata nella figura dell’uomo medio, ma quella desumibile in relazione alla natura dell’incarico ed alle specifiche competenze, cioè quella speciale diligenza prevista dall’art. 1176, 2° comma, c.c. per il professionista. All’amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solo l’omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità. Il risarcimento del danno cui è tenuto l’amministratore, ai sensi dell’art. 2476 c.c., dà luogo ad un debito di valore, avendo per contenuto la reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione economica preesistente al verificarsi dell’evento dannoso, con la conseguenza che nella liquidazione del risarcimento deve tenersi conto della svalutazione monetaria verificatasi tra il momento in cui si è prodotto il danno e la data della liquidazione definitiva. [ Continua ]
18 Dicembre 2023

Distinzione tra arbitrato rituale e irrituale. Il provvedimento di correzione dell’errore materiale

La distinzione tra lodo rituale e irrituale si sostanzia nel diverso regime processuale dei due lodi, ferma restando per entrambi la comune natura ed efficacia sostanziale di tipo negoziale: ossia nell'attribuzione al lodo rituale degli effetti processuali propri della sentenza e nell'esclusione per il lodo irrituale della possibilità di conseguire effetti esecutivi ai sensi dell'art. 825 c.p.c. e della impugnabilità innanzi alla corte d'appello in unico grado, per nullità, revocazione ed opposizione di terzo, con un regime impugnatorio incompatibile con quello risultante dagli artt. 827 ss. c.p.c.

Il provvedimento di correzione di errore materiale, avendo natura ordinatoria, non è suscettibile di gravame per violazione del contraddittorio, in quanto non realizza una statuizione sostitutiva di quella corretta e non ha, quindi, rispetto ad essa, alcuna autonoma rilevanza, ripetendo invece da essa medesima la sua validità, così da non esprimere un suo proprio contenuto precettino rispetto al regolamento degli interessi in contestazione. Il procedimento di correzione della sentenza non rappresenta una nuova fase processuale, ma mero incidente dello stesso giudizio, diretto solo ad adeguare l’espressione grafica all’effettiva volontà del giudice, già espressa in sentenza.

Il debitore ceduto può opporre al cessionario solo le eccezioni opponibili al cedente. Tali eccezioni sono sia quelle dirette contro la validità dell'originario rapporto (nullità - annullabilità), sia quelle dirette a far valere l'estinzione del credito (pagamento - prescrizione). Al contrario, non può il debitore ceduto opporre al cessionario le eccezioni che attengono al rapporto di cessione, perché il debitore è rimasto ad essa estraneo e tale rapporto non incide in alcun modo sull'obbligo di adempiere. [ Continua ]
18 Dicembre 2023

Condizioni per l’annullamento della transazione su pretesa temeraria

L'annullamento della transazione su pretesa temeraria ai sensi dell'art. 1971 c.c. presuppone che la pretesa fatta valere dalla parte nei cui confronti si chieda l'annullamento sia assolutamente ed obiettivamente infondata, e ciò in aderenza alla necessità che il rapporto dal quale scaturisce la transazione sia una res dubia, che, cioè, vi sia incertezza sui rispettivi diritti delle parti. La mancanza di detto presupposto esclude, di per sé, l'annullamento. L'annullamento della transazione su pretesa temeraria, ai sensi dell'art. 1971 c.c., presuppone la presenza di due elementi, uno obiettivo ed uno soggettivo: che la pretesa fatta valere dalla parte nei cui confronti si chiede l'annullamento sia totalmente infondata, e che la parte versi in mala fede, ovvero che, pur essendo consapevole della infondatezza della propria pretesa, l'abbia dolosamente sostenuta.

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4 Aprile 2024

Annullabilità del contratto concluso dall’amministratore unico di s.r.l. in conflitto di interessi

Gli elementi integranti la fattispecie di cui all’art. 2475 ter c.c. debbono essere interpretati nel senso che, affinché ricorra la situazione di conflitto di interessi, è necessario un rapporto di incompatibilità tra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante (o di un terzo che egli a sua volta rappresenti) e tale rapporto – da riscontrare non in termini astratti e ipotetici, ma con riferimento specifico al singolo atto, e che costituisce causa di annullabilità per vizio della volontà negoziale (sempre che detta situazione sia conosciuta o conoscibile dall’altro contraente) – è ravvisabile rispetto al contratto le cui intrinseche caratteristiche consentano l’utile di un soggetto solo passando attraverso il sacrificio dell’altro. L’art. 2475 ter c.c. presuppone che l’amministratore, portatore di un interesse in conflitto con la società, abbia avuto la possibilità di influire sul contenuto negoziale dell’atto. Al contrario, ove egli si sia per ipotesi limitato a recepire all’interno del contenuto negoziale la volontà dei soci cristallizzatasi in una decisione della società, verrebbe meno la ratio che giustifica l’applicazione della norma: tale soluzione appare coerente con la norma di ordine generale di cui all’art. 1395 c.c., che esclude l’annullabilità del contratto con sé stesso in caso di predeterminazione del contenuto del contratto da parte dello stesso rappresentato. L’esistenza di un conflitto d’interessi tra la società parte del contratto che si assume viziato e il suo amministratore non può farsi discendere genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle due società contraenti, ma deve essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori, rispettivamente, la società – che sostiene di aver stipulato il contratto contro la propria volontà – e il suo amministratore e della riconoscibilità della stessa da parte dell’altro contraente. [ Continua ]
4 Aprile 2024

Inefficacia della determinazione dei compensi degli amministratori di s.p.a. decisa dal CdA

Il rapporto dell'amministratore con la società è naturalmente oneroso, benché sia legittima la clausola statutaria che preveda la gratuità dell'incarico di amministratore. Quanto alla determinazione del compenso, se non vi provvede lo statuto, spetta all'assemblea dei soci. Nell'ipotesi di amministratore investiti di particolari cariche, peraltro, la retribuzione può essere stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale a pena di annullabilità della delibera. Il rapporto tra l'amministratore di una società di capitali e la società medesima va ricondotto nell'ambito di un rapporto professionale autonomo e, quindi, ad esso non si applica l'art. 36, co. 1, cost., che riguarda il diritto alla retribuzione in senso tecnico, poiché il diverso diritto al compenso professionale dell'amministratore, avendo natura disponibile, può essere oggetto di una dichiarazione unilaterale di disposizione da parte del suo titolare. Pertanto, agli amministratori, a differenza dei lavoratori subordinati, non è riconosciuto il trattamento di fine rapporto. La società, però, può, autonomamente, prevedere la formazione di un trattamento di fine mandato, avente caratteristiche similari. Si tratta di un vero e proprio compenso aggiuntivo che viene erogato all’amministratore all’atto della cessazione del rapporto. A differenza di quanto accade per i dipendenti, la definizione del trattamento di fine mandato non è vincolata, ma è soggetta alla libera contrattazione delle parti, non dovendo essere legata ad alcun parametro, purché sia stabilita nel rispetto del vincolo della ragionevolezza e della congruità, ovvero della sua commisurazione alla realtà economica della società, ai suoi volumi di reddito e all’attività svolta dall’amministratore. La quota di trattamento di fine mandato deve essere deliberata dall’assemblea dei soci o all’atto della costituzione iniziale della società o, successivamente, sotto forma di delibera assembleare. L’art. 2389 c.c. pone una competenza inderogabile in capo all’assemblea in relazione alla determinazione dei compensi spettanti agli amministratori di società di capitali: letta al contrario, la norma pone un limite esplicito, escludendo espressamente che detta determinazione possa avvenire da parte degli amministratori medesimi. Conseguentemente, traducendosi in una alterazione delle competenze esplicite determinate da norme imperative che regolano la distribuzione delle funzioni tra organi sociali, la deliberazione con la quale il consiglio di amministrazione procede alla determinazione e alla liquidazione dei compensi spettanti ai propri componenti risulta improduttiva di effetti nei confronti della società. [ Continua ]
29 Gennaio 2024

Sequestro conservativo ante causam nei confronti di amministratori e sindaci di s.p.a.

L’azione sociale, anche se esercitata dal curatore fallimentare, ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall'atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell'altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. La norma di cui all’art. 2392 c.c. struttura, quindi, una responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge chiaramente sia dal richiamo, contenuto nel primo comma della disposizione menzionata, alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione in termini oggettivi della responsabilità), sia dalla circostanza che il secondo comma consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa.

L’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere.

Per l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore di una società di capitali non è sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di mala gestio e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti nel corso del giudizio, atteso che per consentire alla controparte l'approntamento di adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio, la causa petendi deve sin dall'inizio sostanziarsi nell'indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale.

In tema di azione esercitata ai sensi dell’art. 2392 c.c. la società attrice è onerata dell'allegazione e della prova, sia pure mediante presunzioni, dell’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale, di cui chiede il ristoro, e della riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente. In difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto. Infatti, all’amministratore che pure si sia reso responsabile di condotte illecite non può essere imputato ogni effetto patrimoniale dannoso che la società, cui esso è legato da un rapporto di mandato, sostenga di aver subito, ma solo quello che si ponga come conseguenza immediata e diretta della violazione degli obblighi incombenti sull'amministratore.

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29 Gennaio 2024

Cessazione della materia del contendere e nel giudizio d’impugnazione del bilancio di società cooperativa

La cessazione della materia del contendere, quale evento preclusivo della pronuncia giudiziale, può configurarsi solo quando, nel corso del processo, sopravvenga una situazione che elimini completamente e in tutti i suoi aspetti la posizione di contrasto tra le parti, facendo in tal modo venir meno del tutto la necessità di una decisione sulla domanda quale originariamente proposta in giudizio ed escludendo così sotto ogni profilo l’interesse delle parti ad ottenere l’accertamento, positivo o negativo, del diritto, o di alcuno dei diritti inizialmente dedotti in causa. La cessazione della materia del contendere non preclude la decisione sulle spese di lite, che deve avvenire facendo ricorso alla regola della soccombenza virtuale. 

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29 Gennaio 2024

Revoca cautelare dell’amministratore di s.r.l. su istanza del singolo socio e rapporto con la denuncia per gravi irregolarità

L’azione di responsabilità contro gli amministratori di s.r.l. è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. Si tratta di un’ipotesi di legittimazione straordinaria con la quale il socio in nome proprio fa valere il diritto della persona giuridica alla reintegrazione per equivalente pecuniario del pregiudizio al proprio patrimonio, con conseguente partecipazione necessaria (art. 102 c.p.c.) del soggetto titolare del diritto (la società), che deve stare in giudizio quale litisconsorte necessario con un curatore. Nel merito, presupposti per l’adozione del provvedimento cautelare tipico in discussione sono: (i) il permanere del rapporto gestorio fra la società e la persona fisica di cui è chiesta la revoca dall’incarico per gravi irregolarità nella gestione della società al momento della decisione sull’istanza; (ii) la prognosi giudiziale di probabile fondatezza dell’azione sociale esercitata dal socio (accertamento, in base a cognizione non piena, della violazione da parte dell’amministratore degli obblighi ad esso incombenti per legge e per statuto in dipendenza del rapporto gestorio con la società e del concreto pregiudizio al patrimonio della società derivato, in base a rapporto di causalità diretta, dall’inadempimento in questione); (iii) la qualificazione dei fatti imputati all’amministratore con tale azione in termini di gravi irregolarità nella gestione della società, da cui può derivare aggravamento del danno già cagionato al patrimonio sociale ovvero che siano suscettibili di determinare ulteriori danni. Le gravi irregolarità non rilevano in sé ma in quanto produttive di danno.

I presupposti dell’azione della denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c. con la quale il socio può chiedere l’ispezione o la revoca dell’amministratore e la nomina di un amministratore giudiziario sono “gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società”, invece la domanda cautelare di revoca dell’amministratore ex art. 2476 c.c., essendo strumentale ad una azione risarcitoria di responsabilità, richiede che sia allegato il danno cagionato dalla condotta violativa degli obblighi di diligente e professionale gestione del liquidatore/amministratore.

L’azione intrapresa dal singolo socio di s.r.l. di cui all'art. 2476, co. 3, c.c. è connotata dal nesso di strumentalità rispetto all’azione di responsabilità prevista dalla stessa norma, avendo la funzione di impedire l’aggravamento del danno di cui si intende richiedere il risarcimento nel giudizio di merito e non essendo ipotizzabile un nesso di strumentalità rispetto a un’azione di revoca nel merito, di cui l’azione cautelare anticiperebbe gli effetti.

Mentre l’istituto ex art. 2409 c.c. risulta funzionale alla eliminazione di gravi irregolarità gestorie potenzialmente dannose per la società anche mediante l’attività di un amministratore nominato dal tribunale per il tempo necessario alla eliminazione delle stesse, al contrario, la disposizione contenuta nel terzo comma dell’art. 2476 c.c. evidenzia il carattere sanzionatorio della revoca dell’amministratore che abbia cagionato un danno alla stessa società mediante azioni ovvero omissioni costituenti anche gravi irregolarità di gestione. Da ciò consegue che la sostituzione dell’amministratore di società a responsabilità limitata nel corso del procedimento cautelare impedisce al giudice ogni pronuncia sull’istanza di revoca e che la legge non attribuisce al giudice che revochi l’amministratore di società a responsabilità limitata nel caso previsto dall’art. 2476 c.c. alcun potere di sostituire la propria volontà a quella dei soci della società nella nomina di altro amministratore in luogo di quello revocato. Al contrario, una diversa interpretazione della norma di cui all’art. 2476 c.c. - secondo la quale, per pervenire alla revoca dell’amministratore, sarebbe sufficiente provare l’esistenza di gravi irregolarità nella gestione - implicherebbe una sostanziale sovrapposizione tra i due istituti, i quali verrebbero ad avere, nella sostanza, lo stesso oggetto e lo stesso ambito di operatività.

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23 Febbraio 2024

Responsabilità del liquidatore di s.r.l. nei confronti dei creditori sociali

La natura della responsabilità del liquidatore nei confronti del creditore rimasto insoddisfatto ex art. 2495 c.c. è di natura tipicamente extracontrattuale, con la conseguenza che il creditore che agisce in giudizio ha l’onere di provare: i) l’esistenza del credito; ii) l’inadempimento di esso da parte della società; iii) la condotta dolosa o colposa del liquidatore che si sostanzia nel mancato adempimento, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico, dei doveri legali e statutari; iv) il nesso di causalità tra tale condotta e il mancato soddisfacimento del credito.

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