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6 Luglio 2023

Ambito applicativo della clausola compromissoria statutaria

La clausola compromissoria contenuto nello statuto sociale di una società a responsabilità limitata, a norma della quale: “qualsiasi controversia che dovesse insorgere tra i soci , o tra i soci e la società, avente ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, oppure nei confronti di amministratori, sindaci e liquidatori o tra questi, o da essi promossa”, è applicabile anche al caso in cui il soggetto che abbia tenuto la condotta oggetto di censura, pur non rivestendo più la qualifica di amministratore al tempo in cui la causa sia stata radicata, abbia compiuto gli atti censurati nella qualità di amministratore, ciò comportando un’estensione della vigenza temporale della disposizione statutaria, che appare idonea a radicare la competenza anche per vicende pregresse, nonostante la cessazione della carica di amministratore.

23 Dicembre 2022

Ambito di applicazione della clausola compromissoria contenuta nello statuto di s.r.l.

La clausola compromissoria, contenuta nello statuto sociale di una società a responsabilità limitata, che devolve alla cognizione degli arbitri tutte le controversie promosse da soci nei confronti della società, dei liquidatori o sindaci, che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, si applica alla controversia introdotta da uno dei soci al fine di accertare che gli eredi di un altro socio già defunto non hanno legittimamente acquisito la qualità di soci della società.

30 Giugno 2022

Compromettibilità in arbitrato di controversie in materia societaria e operatività del divieto di mutatio libelli nel giudizio riassunto

Le controversie in materia societaria possono formare oggetto di compromesso, fatta eccezione soltanto per quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi.

L’atto di riassunzione del giudizio ex art. 50 c.p.c. può legittimamente contenere una domanda nuova in aggiunta a quella originaria, poiché la particolare funzione dell’istituto della riassunzione, ovvero la conservazione degli effetti sostanziali della litispendenza, non è di ostacolo a che esso cumuli in sé quella introduttiva di un nuovo giudizio, purché sia rispettato il contraddittorio tra le parti, tanto più che, ove la nuova domanda fosse ritenuta inammissibile, la necessità di introdurre, per quest’ultima, un nuovo giudizio, da riunire al precedente, si tradurrebbe in un inutile dispendio di attività processuale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo.

Tuttavia, va precisato che il processo riassunto continua davanti al nuovo giudice mantenendo una struttura unitaria e, perciò, conservando tutti gli effetti sostanziali e processuali di quello davanti al giudice a quo, poiché la riassunzione non comporta l’instaurazione di un nuovo processo, bensì costituisce la prosecuzione di quello originario. Di conseguenza, sono inammissibili i motivi di giudizio intempestivamente e irritualmente introdotti nel giudizio originario, ossia quelli introdotti per la prima volta con la memoria ex art. 183, co. 6, n. 1, c.p.c., in quanto integrano la fattispecie di mutatio libelli, determinando un inammissibile ampliamento del tema di indagine.

Esorbita dai limiti di una consentita emendatio libelli il mutamento della causa petendi che consista in una vera e propria modifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo perché fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio, così da porre in essere una pretesa diversa da quella precedente. Si ha, perciò, mutatio libelli quando la parte modifichi l’oggetto della pretesa ovvero quando introduca nel processo, attraverso la modificazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell’azione, un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio.

1 Dicembre 2021

Validità della clausola compromissoria contenuta nello statuto di società cooperativa

È invalida la clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società cooperativa, che non individua con sufficiente chiarezza e precisione quale sia l’organismo cui è affidata la nomina degli arbitri. Infatti, una clausola di uno statuto caratterizzata da eccessiva genericità, tale da richiedere una lettura integrativa, risulta incompatibile con la natura propria delle clausole statutarie di società, le quali sono destinate a dettare regole cogenti per coloro che fanno parte della compagine sociale e non sono perciò passibili di interpretazioni integrative qualora il loro oggetto non risulti sufficientemente determinato. Questi principi sono, a maggior ragione, validi in tema di clausole compromissorie, le quali prevedono una deroga alla generale azionabilità delle posizioni di diritto soggettive davanti alla giurisdizione statuale.

21 Settembre 2021

Decreto ingiuntivo emesso in presenza di clausola compromissoria

È nullo, e quindi deve essere revocato, il decreto ingiuntivo emesso dall’Autorità Giudiziaria in presenza di clausola compromissoria contenuta in un contratto preliminare di acquisto di partecipazioni sociali.

25 Gennaio 2021

Responsabilità concorsuale nella violazione di diritti d’autore su forme del design industriale: il caso Moon Boot

Non potendo il giudice arrogarsi il compito di stabilire l’esistenza o meno in una determinata opera di un valore artistico – occorre rilevare nella maniera più oggettiva possibile la percezione che di una determinata opera del design possa essersi consolidata nella collettività ed in particolare negli ambienti culturali in senso lato, estranei cioè ai soggetti più immediatamente coinvolti nella produzione e commercializzazione per un verso e nell’acquisto di un bene economico dall’altro. In tale prospettiva può darsi rilievo – al fine di riconoscere una positiva significatività della qualità artistica di un’opera del design – al diffuso riconoscimento che più istituzioni culturali abbiano espresso in favore dell’appartenenza di essa ad un ambito di espressività che trae fondamento e che costituisce espressione di tendenze ed influenze di movimenti artistici o comunque della capacità dell’autore di interpretare lo spirito dell’epoca, anche al di là delle sue intenzioni e della sua stessa consapevolezza, posto che l’opera a contenuto artistico assume valore di per sé e per effetto delle capacità rappresentative e comunicative che essa possiede e che ad essa vengono riconosciute da un ambito di soggetti più ampio del solo consumatore di quello specifico oggetto. In tale contesto il giudice dunque non attribuisce all’opera del design un “valore artistico” ex post in quanto acquisito a distanza di tempo, bensì ne valuta la sussistenza con un procedimento che in qualche modo richiede un apprezzamento che contestualizzi l’opera nel momento storico e culturale in cui è stata creata, di cui assurge in qualche modo a valore iconico, che può richiedere (come per tutti i fenomeni artistici) una qualche sedimentazione critica e culturale (l’applicazione di tali criteri ha determinato il Tribunale a riconoscere nel modelli dei Moon Boots la qualità di opera del design industriale ai sensi del n. 10 del comma 1 dell’art. 2 l.d.a., evidenziando a tale fine tutti gli elementi e le circostanze che testimoniavano già all’epoca la considerazione che tale prodotto e le sue peculiari forme avevano assunto da parte di ambienti culturali ed artistici nonché del mondo del design).

La sostanziale identità delle forme non risulta in alcun modo compromessa dal fatto che i prodotti contestati presentino una colorazione particolare o marchi differenti.

In tema di diritto d’autore, l’elaborazione creativa si differenzia dalla contraffazione, in quanto mentre quest’ultima consiste nella sostanziale riproduzione dell’opera originale, con differenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo ma del mascheramento della contraffazione, la prima si caratterizza per un’elaborazione dell’opera originale con un riconoscibile apporto creativo. Ciò che rileva, pertanto, non è la possibilità di confusione tra due opere, alla stregua del giudizio d’impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell’impresa, ma la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra, ancorché camuffata in modo tale da non rendere immediatamente riconoscibile l’opera originaria

La fattispecie di plagio di un’opera altrui non è data soltanto dal “plagio semplice o mero plagio” o dalla “contraffazione” dell’opera tutelata, ma anche dal cosiddetto “plagio evolutivo”, il quale costituisce un’ipotesi più complessa di tale fenomeno, in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell’originaria, in conseguenza del tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento su di essa eseguito, si traduce non già in un’opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva, e non autorizzata, rielaborazione di quest’ultima, compiuta in violazione degli artt. 4 e 18 l.a. (nel caso di specie, ha ritenuto il Collegio che l’uso del glitter sia del tutto inessenziale a conferire l’autonomia ed originalità creativa necessaria per conferire al modello “glitterato” dignità di opera autonoma).

La ripresa pedissequa dei medesimi modelli per i quali era operativo l’impegno di astensione assunto in occasione di previo accordo transattivo consente di individuare la specifica violazione degli impegni medesimi, non aggirabili mediante la mera attribuzione ai modelli da ultimo contestati di un codice identificativo diverso da quelli indicati nell’accordo stesso anche in considerazione degli obblighi di buona fede connaturati all’ambito contrattuale di riferimento.

L’obbligo di non contestazione della tutela autorale spettante all’opera dell’ingegno assunto dalle parti contrattualmente è del tutto legittimo, risultando detta rinuncia pertinente a diritti disponibili delle parti.

Per dichiarare anche la sussistenza dell’ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. a titolo di concorrenza sleale dipendente dalla violazione di diritti di proprietà intellettuale occorre che sussistano spazi di effettiva autonomia rispetto alle condotte di plagio/contraffazione che ne consentono un’autonoma individuazione. Diversamente essa deve ritenersi assorbita.

Ogni soggetto che abbia partecipato alla filiera produttiva e distributiva del prodotto contraffatto deve risponderne in via solidale con gli altri appartenenti a tale filiera, avendo essi posto in essere un contributo causale comunque rilevante ai fini della consumazione dell’illecito (nel caso di specie – e fatte salve le domande di manleva interne svolte dalle convenute tra loro – sono state ritenute responsabili in concorso tra loro la società gerente il sito e-commerce e le attività di promozione, commercializzazione e logistica afferenti alla vendita dei prodotti in contraffazione; la società produttrice dei prodotti contestati e licenziataria del marchio su di essi apposti; la società licenziante dei marchi stessi e corresponsabile dell’ideazione, scelta ed approvazione dei prodotti contestati; la società venditrice dei prodotti)

L’esaurimento del diritto di distribuzione non si verifica ove il primo atto di trasferimento dell’opera originale o di sue copie sia avvenuto senza il consenso del titolare del diritto.

Quanto alla sussistenza di un pregiudizio in danno del titolare dell’opera oggetto di plagio/contraffazione, l’esistenza in sé di tale pregiudizio è connessa alla natura assoluta dei diritti spettanti all’autore ed ai suoi aventi causa sul piano delle facoltà di utilizzazione economica di essa.

Se è vero che il criterio della reversione degli utili non è stato esteso dal legislatore alla disciplina del diritto d’autore nei termini in cui esso è stato trasfuso nel terzo comma dell’art. 125 c.p.i., tuttavia il secondo comma dell’art. 158 l.d.a. prevede espressamente che il lucro cessante deve essere valutato dal giudice anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione dei diritti. Tale parametro, fondato sul beneficio tratto dall’attività vietata, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto assurge infatti ad utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando il danno sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo.

Per la natura contrattuale dell’arbitrato irrituale, l’eccezione di compromesso non dà luogo a una questione di competenza bensì di proponibilità della domanda, risultando la relativa eccezione di natura sostanziale, attinente al merito. Anche in esito alla novella del 2006, che ha inserito e disciplinato l’istituto dell’arbitrato irrituale all’interno del codice di rito all’art. 808 ter c.p.c., l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ritiene che la clausola di arbitrato irrituale non comporti l’incompetenza del giudice ordinario a conoscere della domanda, ma soltanto, qualora la controparte sollevi ritualmente la relativa eccezione, l’improponibilità della medesima.

6 Novembre 2020

Statuizione di incompetenza territoriale, difetto di giurisdizione e clausola arbitrale

La decisione in merito all’eccezione di difetto di giurisdizione è riservata al giudice competente, di talché il giudice che abbia valutato la propria incompetenza, omette ogni pronuncia al riguardo, limitandosi a declinare la propria competenza ed a rimettere ogni ulteriore valutazione, compresa, quindi, quella sulla giurisdizione, al giudice competente.

La clausola che rimette ad un Collegio arbitrale internazionale la cognizione delle controversie su diritti indisponibili ha come effetto la dichiarazione di improcedibilità delle domande attoree promosse avanti al giudice ordinario.

 

31 Luglio 2019

Liquidazione della quota sociale agli eredi del socio defunto di S.n.c. e risarcimento del danno. Nullità della clausola arbitrale.

Nelle S.n.c. a seguito del decesso di un socio non si verifica di per sé il subentro degli eredi del socio scomparso nella società ma l’evoluzione del rapporto è affidata all’iniziativa dei soci superstiti, i quali possono, alternativamente, liquidare la quota del socio defunto agli eredi ovvero sciogliere la società ovvero continuare la società con gli eredi ove questi acconsentano. Pertanto, laddove il socio superstite nulla abbia comunicato agli eredi del socio defunto riguardo ad una prosecuzione della società con i medesimi, questi ultimi non diventano soci della S.n.c. [ LEGGI TUTTO ]

12 Luglio 2019

Tutela cautelare suppletiva del tribunale nelle more della instaurazione del procedimento arbitrale

La sospensione cautelare dell’efficacia della deliberazione assembleare – rispetto alla quale il giudizio di merito in ordine alla illegittimità della stessa sia devoluto dallo statuto ad un organo arbitrale – può essere richiesta al tribunale secondo le norme ordinarie, con ruolo vicario e suppletivo, tutte le volte in cui, in concreto, gli arbitri non abbiano la possibilità di intervenire efficacemente con l’esercizio cautelare (ad esempio per la mancata instaurazione del procedimento arbitrale o a causa dei tempi tecnici di costituzione dell’organo), al fine di garantire agli interessati la piena e concreta fruizione del diritto di agire in giudizio ai sensi dell’art. 24 Cost. (norma di cui l’effettività della tutela cautelare costituisce componente essenziale ed immanente al fine di evitare che la durata del processo si risolva in un danno della parte che ha ragione).

Operatività della clausola arbitrale anche dopo il recesso del socio

In presenza di una clausola statutaria che non solo escluda l’applicabilità della giurisdizione ordinaria relativamente a ogni controversia tra il socio e la società, ma preveda espressamente il vincolo arbitrale in merito al recesso del socio, tale copertura si estende anche alle ipotesi in cui ad agire sia un socio già receduto dalla compagine sociale. [ LEGGI TUTTO ]