Benché una relazione di controllo consenta di presumere l’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento, non è comunque automatica la ricorrenza di questa al cospetto di quella, presentando la fattispecie di cui agli artt. 2497, ss. c.c. un quid pluris rispetto al controllo, in quanto manifestazione di un potere di ingerenza più intenso e pregnante, consistente in una pluralità sistematica di atti di indirizzo secondo un progetto unitario di gruppo e in un flusso costante di istruzioni impartite dalla società controllante e trasposte all’interno delle decisioni assunte dagli organi della controllata, involgenti momenti significativi della vita della società, quali le scelte imprenditoriali, il reperimento dei mezzi finanziari, le politiche di bilancio, la conclusione di importanti contratti. L’eventuale influenza esercitata da una società sull’altra in virtù di un contratto che non conferisca alla prima alcun potere di determinare le scelte gestorie della seconda non rileva, di per sé, ai fini dell’applicazione dell’art. 2497 c.c., né con riferimento al controllo esterno di cui all’art. 2359, comma 1, n. 3 c.c., né con riferimento alle ipotesi richiamate dagli artt. 2497-sexies c.c.
La possibilità di configurare l’esercizio del controllo su base contrattuale implica la necessità di individuare clausole che attribuiscano a uno dei contraenti la facoltà di imporre all’altro una determinata struttura finanziaria o una determinata politica di mercato, nonché il potere di interferire sulle decisioni rilevanti per l’esercizio dell’impresa dell’altro contraente; non sufficienti essendo, per contro, né la sola sostanziale imposizione di corrispettivi o di altre condizioni contrattuali (di per sé rilevante ai soli fini della configurabilità di una dipendenza economica del contraente debole dal contraente forte), né la mera ripetizione, seppure connotata da una certa stabilità nel tempo, di ordini o commesse, ma occorrendo, vieppiù, la ricorrenza di ben più circoscritte situazioni nelle quali, proprio in ragione di peculiari vincoli contrattuali, l’influenza dominante si traduca in un’eterodirezione gestionale e strategica della complessiva attività della società dominata. Il quid plurisecolare richiesto, invero, dalla norma, nel momento in cui impone che i vincoli contrattuali, oltreché rilevabili in maniera oggettiva, siano “particolari”, consiste nel fatto che, sulla scorta di detti vincoli, la controllata non possa autonomamente determinare le proprie scelte strategiche di gestione in merito allo svolgimento della propria attività imprenditoriale e che, pertanto, l’atteggiarsi dei rapporti negoziali determini una radicale e stabile traslazione all’esterno della società del potere di direzione dell’attività sociale, tale da trasformare l’una società in una sorta di mera succursale dell’altra contraente. Diversamente opinando, si perverrebbe a un’assoluta dilatazione del concetto di controllo esterno, finendo, così con l’associarlo automaticamente a qualsivoglia ipotesi di rapporto negoziale stabile coinvolgente un operatore del c.d. indotto generato da altra impresa.
L’eterodirezione, onde dare luogo a responsabilità ex art. 2497 c.c., deve essere illecita e abusiva, ossia superare i limiti entro cui costituisce fenomeno consentito dall’ordinamento e che la novella del 2003 ha individuato nell’osservanza dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società controllate, nel senso che l’unitarietà della direzione può giustificare l’impiego della gestione delle imprese controllate non a esclusivo beneficio dell’interesse delle società controllanti, o comunque di interessi di soggetti terzi estranei alla controllata, bensì per il coordinamento degli interessi di tutte le società del gruppo.
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