Art. 34 d.lgs. 5 2003
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Sanabilità della procura inefficace e arbitrabilità delle questioni relative al compenso degli amministratori
Il vizio inficiante la procura originariamente conferita al difensore da soggetto non abilitato a rappresentare la società in giudizio è suscettibile di ratifica e conseguente sanatoria, con effetto ex tunc, trattandosi di atto soltanto inefficace e non anche invalido per vizi formali o sostanziali.
Anche le questioni relative al compenso degli amministratori possono essere sottoposte alla decisione arbitrale, se lo statuto prevede la clausola compromissoria per risolvere le controversie insorgenti tra amministratori e società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.
In tema di arbitrato, la clausola compromissoria è riferibile a tutte le controversie civili o commerciali attinenti a diritti disponibili nascenti dal contratto cui essa accede, sicché la rinunzia ad avvalersene in occasione di una controversia insorta tra i contraenti non implica, di per sé, una definitiva e complessiva abdicazione alla stessa in relazione ad ogni altra controversia, a meno che le parti – con accordo la cui validità presuppone il rispetto delle condizioni di forma e di sostanza proprie di un patto risolutivo degli effetti del patto compromissorio – non abbiano rinunziato definitivamente alla clausola compromissoria nel suo complesso (Cass., 20 febbraio 2015, n. 3464).
Se è vero che il giudice ordinario è sempre competente ad emettere decreto ingiuntivo nonostante l’esistenza di una clausola compromissoria prevista nel contratto dal quale abbia origine il rapporto creditorio dedotto in giudizio, tuttavia, quando sia stata proposta opposizione al decreto ingiuntivo si instaura il normale procedimento di cognizione e, se il debitore eccepisce la competenza arbitrale, si verificano, a seguito della contestazione, i presupposti fissati nel compromesso e, conseguentemente, viene a cessare la competenza del giudice precedentemente adito, il quale deve revocare il decreto ingiuntivo e rinviare le parti davanti al collegio arbitrale ovvero all’arbitro unico, secondo i casi (Cass., 24 settembre 2021, n. 25939).
Arbitrabilità dell’azione di nullità di delibera assembleare per omessa convocazione del socio
Le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi: a tal fine, l’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte. Ad es., attengono a diritti indisponibili le controversie relative a delibere assembleari aventi oggetto illecito o impossibile, che danno luogo a nullità rilevabile anche d’ufficio, e quelle prese in assoluta mancanza di informazione. In tale ultimo ambito, tuttavia, non può esser sussunta la mancata convocazione di un socio, idonea, in tesi, a viziare la delibera, ma che, secondo la definizione data, non costituisce un diritto indisponibile, la cui area deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte. In particolare, deve ritenersi che la controversia riguardante la nullità delle delibere assembleari per omessa convocazione di soci sia compromettibile in arbitri attesa la non coincidenza tra l’ambito delle nullità e l’area più ristretta dell’indisponibilità del diritto, dovendosi ricomprendere in quest’ultima esclusivamente le nullità insanabili, per le sole quali residua il regime dell’assoluta inderogabilità e pertanto dell’indisponibilità e non compromettibilità ad arbitri del relativo diritto. Alla luce di tale impostazione è da ritenersi ammissibile la competenza arbitrale per le controversie aventi ad oggetto, ad es., la nullità dell’assemblea per mancata convocazione del socio, in quanto tale fattispecie è soggetta al regime della sanatoria delle nullità previsto all’art. 2379-bis, co. 1, c.c. (infatti, il diritto all’informazione del singolo socio in occasione della convocazione di assemblea è oggetto di una previsione posta a garanzia di un interesse individuale del socio stesso e non anche di soggetti terzi e, di conseguenza, da quest’ultimo disponibile e rinunciabile). Allo stesso modo, è da ritenersi compromettibile in arbitri una controversia avente ad oggetto la nullità dell’assemblea per aver deliberato su temi estranei all’ordine del giorno.
I criteri per la determinazione della competenza tra il Collegio arbitrale e il Tribunale per la risoluzione di controversie societarie
Per quanto attiene l’arbitrabilità delle controversie societarie, il discrimen tra diritto disponibile e diritto indisponibile guarda alla protezione accordata dall’ordinamento mediante la predisposizione di una norma dispositiva o imperativa: nel primo caso, prevale l’interesse del singolo ad affermare il suo diritto di autodeterminazione ex art. 2 Cost., potendo così derogare la norma dispositiva, posta a tutela di un interesse anche superindividuale, ma non indisponibile e, quindi, non prevalente; nel secondo caso, l’interesse del singolo soccombe dinanzi all’interesse di ordine pubblico, protetto dalla norma imperativa che rende indisponibile il diritto da essa tutelato. Alla luce di tale distinzione, per determinare l’arbitrabilità delle controversie insorte tra soci e società, occorre esaminare se gli interessi coinvolti riguardano i soci come singoli oppure si riferiscono unicamente alla società, tutelata dalla legge in quanto tale: nella prima ipotesi, la controversia è liberamente arbitrabile, sulla base del presupposto che ogni socio può disporre liberamente dei diritti oggetto della disputa, in quanto il ricorrente agisce uti singulus; nella seconda ipotesi, l’arbitrabilità è fermamente negata a causa dell’indisponibilità del diritto coinvolto. L’azione, in questo caso, è proposta dal socio uti socius, nell’interesse sociale che corrisponde non alla sommatoria, ma alla sintesi di tutti individuali connessi dal vincolo sociale identificabile nell’unicità dello scopo dal quale trae origine la compagine stessa.
Gli artt. 34, co. 1, e 35, co. 5, D.Lgs. n. 5/2003, affermano, in materia di validità di delibere assembleari, la competenza degli arbitri a pronunciare provvedimenti cautelari interlocutori di sospensione delle delibere aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale nelle controversie tra i soci e la società. Ad ogni modo, la sospensione cautelare del provvedimento impugnato può essere richiesta al Tribunale secondo le norme ordinarie con ruolo vicario e suppletivo, tutte le volte in cui, in concreto, gli arbitri non abbiano la possibilità di intervenire efficacemente con l’esercizio del potere cautelare (ad es., per la mancata instaurazione del procedimento arbitrale o a causa dei tempi tecnici di costituzione dell’organo), al fine di garantire agli interessati la piena e concreta fruizione del diritto di agire in giudizio ex art. 24 Cost. (norma di cui l’effettività della tutela cautelare costituisce componente essenziale ed immanente al fine di evitare che la durata del processo si risolva in un danno della parte che ha ragione).
In tema di sospensione dell’esecuzione delle delibere assunte dall’assemblea di una società consortile a responsabilità limitata trova applicazione il disposto, di cui all’art. 2479-ter, co. 4, c.c. e 2378, co. 3, c.c. che prevede, quale rimedio tipico destinato ad ottenere un provvedimento cautelare, che l’istanza di sospensione di una deliberazione assembleare deve essere necessariamente proposta “in corso di causa” o, quanto meno, contestualmente alla proposizione della domanda di merito con la quale si chiede di dichiarare la nullità o annullare la deliberazione assunta. In questa prospettiva, l’esistenza di un rimedio tipico, previsto dall’art. 2378, co. 3 c.c., esclude in radice l’esperibilità del rimedio dell’art. 700 c.p.c.
Compromettibilità in arbitrato di controversie afferenti l’impugnazione di delibere assembleari
Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte le controversie in materia societaria possono formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi; peraltro, l’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio.
Nella specie, attengono a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806 c.p.c., soltanto le controversie relative all’impugnazione di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabili anche di ufficio dal giudice.
È pacifico che la controversia sulla nullità della delibera assembleare di una società a responsabilità limitata, in relazione all’omessa convocazione del socio, quale soggetta al regime di sanatoria previsto dall’art. 2379 bis cod. civ., è compromettibile in arbitri, atteso che l’area della non compromettibilità è ristretta all’assoluta indisponibilità del diritto e, quindi, alle sole nullità insanabili.
Sostituzione di delibera assembleare e cessazione della materia del contendere
La disponibilità del diritto rappresenta un limite alla compromettibilità in arbitri di controversie di qualsiasi natura. Con specifico riferimento alla materia societaria non può essere deferita alla decisione arbitrale l’impugnativa di delibera di approvazione del bilancio che verta sulla veridicità, completezza e chiarezza del bilancio stesso. Ciò in quanto le norme dirette a garantire tali principi non solo hanno natura imperativa, ma attengono pure a diritti indisponibili, essendo poste, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti terzi che con la società entrano in rapporto.
La delibera di approvazione del bilancio che sia revocata e sostituita da successiva delibera conforme alla legge con la quale sia approvato un nuovo progetto di bilancio per il medesimo esercizio, determina che non possa più pronunziarsi l’annullamento della delibera adottata anteriormente e che debba essere dichiarata la cessazione della materia del contendere. In ogni caso, la fondatezza delle doglianze mosse contro la delibera di approvazione del bilancio di cui si lamenta l’illegittimità, successivamente revocata e sostituita da altra delibera conforme alla legge, giustifica la condanna della convenuta al pagamento delle spese di lite.
Responsabilità dell’amministratore di snc per prelievi ed ammanchi di cassa e per utilizzo personale di beni sociali
E’ responsabile nei confronti della società l’amministratore di società in nome collettivo che abbia:
i. effettuato prelievi ingiustificati dai conti correnti;
ii. distratto corrispettivi relativi alla attività caratteristica non registrati o regolarizzati (e non scontrinati o fatturati);
iii. utilizzato beni sociali per fini personali. Tale condotta illegittima costituisce una forma di inadempimento ai propri obblighi ed ingenera una responsabilità in capo all’amministratore, il quale è tenuto a risarcire il danno cagionato.
Grava sulla società l’onere di dimostrare la sussistenza delle condotte illegittime, il nesso causale ed il danno cagionato (nel caso di specie i prelievi e l’indebito utilizzo di risorse sociali e di proventi e corrispettivi della attività non fatturati e contabilizzati); tuttavia, una volta allegati e/o dimostrati e non specificamente contestati i prelievi e gli ammanchi di cassa, spetta all’ex amministratore fornire la prova liberatoria di cui all’art. 1218 c.c., dimostrando con evidenza contabile (o con adeguata prova costituenda) che il denaro sociale oggetto di tali prelievi e pagamenti fosse stato reimpiegato per spesare costi o saldare debiti della società.
In assenza di contestazione e di prova di ciò, l’ex amministratore deve restituire alla società le somme non reimmesse nelle casse sociali.
La mancata impugnazione della decisione di rimozione delle funzioni gestorie da parte del socio-amministratore di snc rende la cessazione dalla carica definitiva e le eventuali irregolarità ed illegittimità inopponibili alla società.
In una società di persone l’utile di esercizio realizzato e risultante da rendiconto non opposto è automaticamente distribuibile tra i soci, vantando in tal caso il socio un vero e proprio diritto di credito liquido ed esigibile; diritto non conculcabile neppure (a differenza che nelle società di capitali) per delibera maggioritaria (salvo che non sia l’atto costitutivo a prendere una diversa disciplina).
E’ nulla la clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo di una società di persone che, in difformità rispetto al dettato normativo di cui all’art. 34, co. 2 del d.lgs. n. 5/2003 ed anche se anteriore allo stesso, non attribuisca il potere di nomina degli arbitri ad un soggetto terzo, demandandone l’individuazione alle parti stesse.
Incompetenza del Tribunale a giudicare sull’esclusione del socio di cooperativa in presenza di clausola compromissoria
In difetto di espressa circoscrizione del patto arbitrale ad alcune controversie specificamente predeterminate, clausole compromissorie come quella che ricomprende nel suo perimetro applicativo “qualsiasi controversia dovesse insorgere tra i soci ovvero tra i soci e la cooperativa che abbia ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale e mutualistico” deferiscono alla cognizione arbitrale tutte le controversie che trovino la loro matrice nel contratto. E quindi, tutte quelle relative non solo all’esistenza, alla validità e all’esecuzione, ma anche all’estinzione e alla risoluzione del rapporto sociale, ove pure insorte in un tempo successivo all’esaurimento fra le parti del rapporto stesso; purché relative a situazioni con questo costituite, ivi comprese quelle derivanti dall’intervenuta modificazione dei patti contrattuali.
Azione di risarcimento dei danni promossa dall’amministratore revocato senza giusta causa e clausola compromissoria
L’estensione oggettiva della clausola statutaria che devolve a un collegio arbitrale la decisione sulle «controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero quelle promosse nei loro confronti che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale», tenuto anche conto della regola ermeneutica di cui all’art.808-quater c.c., depone nel senso che tutte le controversie tra amministratore e società che riguardino le vicende sociali e attengano a diritti disponibili siano assoggettate ad arbitrato. In esse rientrano le domande che riguardano il diritto al risarcimento danni per revoca senza giusta causa dell’amministratore: l’amministratore pur revocato è dunque astretto dal vincolo compromissorio per quelle domande che trovano la loro genesi proprio nel rapporto sociale.
La nullità della clausola compromissoria ex art. 34 D.lgs. n.5 del 2003 ed il decorso del termine quinquennale di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità
La clausola compromissoria contenuta nello statuto societario che preveda la nomina dell’arbitro unico ad opera dei soci, e solo nel caso di disaccordo, ad opera del Presidente del Tribunale, su ricorso della parte più diligente, è affetta da nullità sopravvenuta, rilevabile ex officio. Ciò in ragione della prescrizione di cui al dettato normativo previsto ex art. 34 D.lgs. n.5 del 2003, il quale stabilisce che la clausola compromissoria debba prevedere il conferimento del potere di nomina di tutti gli arbitri ad un soggetto estraneo alla società, a pena di nullità.
Quanto al decorso del termine quinquennale di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità – esperita a norma dell’art. 2476 c.c. – esercitata direttamente dalla società asseritamente danneggiata, esso, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2949 c.1 e 2941 n.7 c.c., decorre dalla cessazione dalla carica dell’amministratore infedele e/o inadempiente, fatti sempre salvi eventuali atti interruttivi idonei ed intervenuti nel quinquennio posteriore alla cessazione dell’amministratore dalla carica ovvero di allegazioni di ulteriori cause di sospensione/interruzione.
Operatività della clausola compromissoria in relazione a delibere aventi ad oggetto diritti disponibili
In presenza di una clausola compromissoria nello statuto sociale, la controversia avente ad oggetto la richiesta di annullamento della delibera di nomina del Consiglio di Amministrazione, non riguardando diritti indisponibili, comporta l’applicazione della clausola compromissoria e la competenza arbitrale a decidere sulla controversia. [ LEGGI TUTTO ]