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Trust in violazione del divieto di patto commissorio e della par condicio creditorum

Al fine di verificare se un trust violi o meno il divieto di patto commissorio occorre esaminarne l’atto istitutivo onde desumerne gli scopi e le modalità di funzionamento. Trattandosi di un’operazione ermeneutica volta a verificare la validità di un negozio, essa deve essere condotta su un piano oggettivo/funzionale, mentre viceversa non è congruente con l’indagine effettuata con un criterio soggettivo.

La funzione illecita del trust si verifica quando il trust sia stato di fatto utilizzato per eludere la disciplina concorsuale e sussiste illiceità della causa anche qualora lo strumento segregativo del patrimonio sia stato utilizzato al fine di impedire la realizzazione coattiva individuale del credito da parte del creditore sociale, il quale non potrebbe soddisfarsi sui beni conferiti in trust se non previo esperimento di azione revocatoria o di apposito accertamento giurisdizionale della nullità del negozio istitutivo del trust. Un trust liquidatorio che si ponga come dichiarato scopo quello di tutelare i creditori ricorrendo alla segregazione patrimoniale di tutto il patrimonio aziendale, quando l’impresa si trova già in stato di insolvenza (ed avrebbe pertanto dovuto accedere agli istituti concorsuali), è incompatibile con la clausola di salvaguardia di cui all’art. 15, lettera e) della convenzione dell’Aja 1 luglio 1985.

1 Ottobre 2021

La liquidazione coatta provoca la perdita della capacità processuale degli organi societari e l’improcedibilità delle domande giudiziarie di condanna e accertamento del credito svolte in sede ordinaria

La sottoposizione di una società a liquidazione coatta amministrativa determina, per un verso, la perdita della capacità processuale dei suoi organi societari e, per altro verso, la temporanea improcedibilità, fino alla conclusione della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo davanti agli organi della procedura ai sensi degli artt. 201 e ss. L.F., della domanda, sia di condanna che quella di mero accertamento del credito, azionata in sede ordinaria prima dell’inizio della procedura concorsuale da chi si afferma essere creditore della società. Tale improcedibilità, rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di Cassazione, è conseguente all’applicazione di norme inderogabilmente poste a tutela del principio della par condicio creditorum e all’operare del principio secondo il quale tutti i crediti vantati nei confronti dell’imprenditore insolvente devono essere accertati secondo le norme che ne disciplinano il concorso.

28 Settembre 2021

Sulla natura aquiliana della responsabilità del liquidatore verso i creditori sociali ex art. 2495 c.c. e sul relativo riparto dell’onere probatorio

In aderenza con Cass. 521/2020, in tema di liquidazione di società di capitali, la responsabilità verso i creditori sociali prevista dall’art. 2495 c.c. ha natura aquiliana, gravando sul creditore rimasto insoddisfatto di dedurre ed allegare che la fase di pagamento dei debiti sociali non si è svolta nel rispetto del principio della “par condicio creditorum”. In particolare, quanto alla dimostrazione della lesione patita, il medesimo creditore, qualora faccia valere la responsabilità “illimitata” del liquidatore, affermando di essere stato pretermesso nella detta fase a vantaggio di altri creditori, deve dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito, provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell’apertura della fase di liquidazione, e il conseguente danno determinato dall’inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni, astrattamente idoneo a provocarne la lesione, con riferimento alla natura del credito e al suo grado di priorità rispetto ad altri andati soddisfatti; grava, invece, sul liquidatore l’onere di dimostrare l’adempimento dell’obbligo di procedere a una corretta e fedele ricognizione dei debiti sociali e di averli pagati nel rispetto della “par condicio creditorum”, secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti all’epoca esistenti.

14 Settembre 2021

Obblighi degli amministratori di società in crisi: conflitto tra tutela della par condicio creditorum e gestione conservativa

Quando la società versa in stato di insufficienza patrimoniale irreversibile, il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione – quindi in violazione della par condicio creditorum – costituisce un fatto generativo di responsabilità degli amministratori verso i creditori, salvo che sia giustificato dal compimento di operazioni conservative dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, a garanzia dei creditori medesimi. A fronte della crisi ed a maggior ragione dell’insolvenza sub specie di dissesto, il parametro gestorio deve cambiare, essendo da orientare non più a realizzare un lucro ma: (i) al fine esclusivo di conservare il valore e l’integrità del patrimonio sociale (art. 2486 c.c.; cfr. anche OIC 5, OIC 11 par. 23, 24), cioè in base a criteri diversi da quelli tipici della società in bonis e di salvaguardia della garanzia dei creditori (art. 2740 c.c.); (ii) all’adozione di uno degli strumenti previsti per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale: piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo (artt. 67 let. d, 160, 182 bis, l.f.). E con l’obbligo di chiedere il fallimento in proprio ove si profili un rischio di incremento del dissesto (art1. 217 n. 4, 224 n. 1 l.f.).

In caso di insufficienza patrimoniale della società, l’obbligo di rispetto della par condicio creditorum deve essere coniugato con gli altri obblighi gestori concorrenti che sorgono in capo agli amministratori, in particolare l’obbligo di gestire in modo conservativo; pertanto, nel conflitto tra obbligo di gestione conservativa e obbligo di rispettare la par condicio creditorum (obblighi che possono convergere o divergere sul piano degli effetti economici), dovrà, secondo criterio generale di proporzionalità ed adeguatezza, prevalere il primo quando si possa ritenere che i relativi debiti sono contratti nell’interesse di tutti i creditori.

Il curatore ha la legittimazione ad esercitare l’azione di responsabilità verso gli amministratori per il danno alla massa dei creditori derivante da pagamenti preferenziali anche in assenza di condotte penalmente rilevanti.

28 Aprile 2021

Ordinata liquidazione del patrimonio sociale e responsabilità del liquidatore

Un creditore può dedurre una responsabilità ex artt. 2489 (e 2495 co. 2) c.c. dell’organo liquidatorio nel caso in cui sia stato soddisfatto in percentuale inferiore a quella di altri creditori di pari grado, con conseguente danno equivalente (non all’ammontare stesso del credito, bensì) all’importo che egli avrebbe avuto diritto di ricevere ove il liquidatore avesse correttamente applicato i principi ai quali è tenuto, per legge, ad attenersi.

A questo proposito, il liquidatore di una società di capitali ha infatti l’inderogabile dovere di procedere ad un’ordinata liquidazione del patrimonio sociale (a) pagando i debiti secondo il principio della par condicio creditorum ma nel dovuto rispetto dei diritti di precedenza dei creditori aventi una causa di prelazione e, quindi, (b) graduando, dopo averli verificati, in base ai privilegi legali che li assistono, l’insieme dei debiti sociali, il cui pagamento deve avvenire dando precedenza a quelli garantiti da cause di prelazione.

10 Ottobre 2019

Fallimento di società appartenente a un gruppo: responsabilità dell’ente dominante, postergazione e ruolo del curatore fallimentare

La responsabilità dell’ente dominante ai sensi dell’art. 2497 c.c. può dipendere da comportamenti tenuti “nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui”; è dunque indifferente che i pagamenti, eseguiti in forza della etero-direzione asseritamente esercitata da una società del gruppo, siano andati a vantaggio di altra società del gruppo poi fallita. La configurabilità di un’ipotesi di controllo c.d. esterno (art. 2359 c.1 n.3 c.c., richiamato dall’art. 2497 sexies c.c.) “postula l’esistenza di determinati rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare rappresentino la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società controllata” (così Cass. civ. n. 12094 del 27.09.2001). A tal fine è necessario un rapporto derivante dai suddetti vincoli contrattuali di subordinazione tra le due società, tale da ridurre l’una ad una vera e propria società satellite dell’altra, anche per il tempo successivo alla scadenza dell’accordo, vuoi in virtù di accordi stabili nella loro durata, vuoi perché garantiti da una forte penale. Si è anche sostenuto che “i particolari vincoli contrattuali, idonei a configurare l’influenza dominante esterna, devono rappresentare non già la mera occasione, bensì una vera e propria condizione di esistenza e di sopravvivenza, a loro volta, non della società in sé, intesa come semplice dato di realtà, bensì della capacità di impresa, ovvero delle risorse economico-produttive strutturalmente orientate rispetto ai vincoli contrattuali che la legano alla controllante e da questi, pertanto, funzionalmente dipendenti” (così Trib. Monza 26.08.2004). Tale situazione non sussiste quando “la società che si assume controllata possa sciogliersi dai vincoli contrattuali che la legano alla controllante ed instaurare identici rapporti contrattuali con altre società” (così Corte App. Milano 28.04.1994). La possibilità di configurare l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento su base contrattuale implica invece la necessità di individuare clausole che attribuiscano ad uno dei contraenti la facoltà di imporre all’altro una determinata struttura finanziaria o una determinata politica di mercato, nonché il potere di interferire sulle decisioni rilevanti per l’esercizio dell’impresa dell’altro contraente.

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2 Ottobre 2019

Improcedibilità della domanda nei confronti del fallito

Nel sistema delineato dagli artt. 52 e 95 l. fall., ogni pretesa a contenuto patrimoniale svolta nei confronti di un soggetto fallito deve essere azionata attraverso lo speciale procedimento endofallimentare dell’accertamento del passivo, da attivarsi avanti al tribunale fallimentare, essendo improcedibile ogni diversa azione (l’improcedibilità è peraltro rilevabile d’ufficio, in quanto posta a tutela della par condicio creditorum).

Infatti, il primo comma dell’art. 52 l. fall., secondo cui “il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito”, esprime due principi. Il primo è quello per cui, una volta dichiarato il fallimento, l’unica forma di esecuzione possibile sul patrimonio del fallito è quella concorsuale, la quale si realizza attraverso la contemporanea partecipazione di tutti i creditori al fine di consentire agli stessi di soddisfarsi in percentuale, condividendo la stessa riduzione proporzionale. Il secondo principio evincibile dalla norma sancisce che il diritto alla prestazione di ciascun creditore può essere soddisfatto solo ed in quanto lo stesso creditore si sia, con esito positivo, sottoposto alla procedura di accertamento, ovvero alla verifica del proprio credito da parte degli organi fallimentari.

28 Luglio 2018

Il curatore fallimentare è legittimato a esperire azione di responsabilità per il pagamento preferenziale effettuato dall’amministratore

Tra gli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale la cui violazione rileva ai sensi dell’art. 2394 c.c. rientra l’obbligo di cui all’art. 2741 c.c. di rispetto della par condicio creditorum. [ LEGGI TUTTO ]

10 Gennaio 2018

La legittimazione del terzo all’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori successivamente al fallimento della società e la legittimazione del curatore fallimentare

In tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) ex art. 2395 c.c. per ottenere il risarcimento dei danni [ LEGGI TUTTO ]