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16 Maggio 2023

Il sequestro giudizio di una quota di società è compatibile con le azioni ex art. 2932 c.c.

Il sequestro giudiziario di una quota di società costituisce tipica misura cautelare prodromica ad una azione costituiva quale quella ex art. 2932 c.c., poiché la sua funzione è quella di garantire che il bene sequestrato non vada disperso, nel tempo occorrente per addivenire alla pronuncia definitiva. Infatti, una sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 2932 c.c. determina ex se il trasferimento del diritto in contestazione, ma la sua esecuzione comporta comunque la consegna del bene controverso.

L’iscrizione della domanda giudiziale al Registro delle Imprese è un rimedio sufficiente (e perciò alternativo al sequestro) se il rischio che si vuole evitare è quello che le quote contese siano alienate ad un terzo in buona fede, al quale non è opponibile una eventuale sentenza iscritta successivamente al suo acquisto (mentre lo sarebbe la trascrizione anteriore della domanda giudiziale con effetto prenotativo della sentenza). Ma l’effetto di una sentenza di trasferimento di quote di partecipazione ad una società può essere azzerato anche in altro modo, ad esempio svuotando quelle quote di un valore apprezzabile, tramite operazioni diverse dalla loro alienazione – basti pensare ad un aumento di capitale che riduca la partecipazione controversa ad una quota irrisoria, o ad una messa in liquidazione rapidamente seguita dalla cancellazione della società – tali da rendere sostanzialmente inutile una vittoria in giudizio, lasciando l’acquirente che pure ottenesse una sentenza a sé favorevole con niente in mano. Questo rischio non sarebbe scongiurato dall’iscrizione della domanda giudiziale, il cui effetto “prenotativo” non toglierebbe all’intestatario formale della quota il diritto di farla valere in sede assembleare; mentre lo avrebbe il sequestro giudiziario, tramite una separazione della quota controversa dalle altre e l’attribuzione al custode dei diritti di voto, assoggettati giudizialmente ad un esercizio massimamente conservativo del valore da essa rappresentato.

In un giudizio cautelare, l’avvenuto disconoscimento, da parte del resistente, di tutte le scritture private sul quale il ricorrente fondava il suo diritto impedisce di considerare quegli atti tra gli elementi di prova valutabili. Pertanto, tali documenti non possono essere in alcun modo utilizzati per fondare una decisione, essendo necessario procedere alla loro verificazione (valutazione che esula dal giudizio cautelare avente ad oggetto l’istanza di sequestro giudiziario).

18 Aprile 2023

Responsabilità dell’amministratore di diritto per condotte distrattive poste in essere dell’amministratore di fatto

Con l’accettazione del mandato gestorio, l’amministratore assume l’impegno di adempiere a tutti gli obblighi connessi alla carica e di svolgere le funzioni gestorie con la diligenza professionale richiesta dalla natura dell’incarico; pertanto, l’affermazione di aver assunto solo formalmente la carica di amministratore e di non aver, di fatto, gestito la società non vale ad escludere la responsabilità per mala gestio.

Ai sensi dell’art. 2392 c.c., l’accettazione dell’incarico di amministratore comporta l’assunzione di un generale dovere di vigilanza sull’andamento della società e di un dovere di attivarsi per impedire il compimento di atti pregiudizievoli o per attenuarne le conseguenze dannose; di conseguenza, l’inerzia dell’amministratore di diritto e la circostanza che lo stesso abbia omesso le attività, anche di controllo, dovute in ragione dell’assunzione del mandato gestorio, vale di per sè a fondare la responsabilità anche per eventuali sottrazioni o distrazioni di risorse sociali poste in essere da terzi senza l’opposizione del soggetto che, per legge, è gravato del dovere di preservare l’integrità del patrimonio sociale e la destinazione dello stesso all’attività d’impresa.

La figura dell’amministratore di fatto ricorre quando un soggetto, non formalmente investito della carica, si ingerisce ugualmente nell’amministrazione esercitando, di fatto, i poteri propri inerenti alla gestione della società. In particolare, può ritenersi sussistente la figura dell’amministratore di fatto qualora ricorrano le seguenti condizioni: (i) assenza di una efficace investitura assembleare; (ii) attività esercitata (non occasionalmente ma) continuativamente; (iii) esercizio di funzioni riservate alla competenza degli amministratori di diritto; (iv) autonomia decisionale (non necessariamente surrogatoria ma almeno cooperativa non subordinata) rispetto agli amministratori di diritto.

Presunta ritardata messa in liquidazione della società e abusivo ricorso al concordato preventivo

La tendenza che caratterizza gli ultimi interventi legislativi è caratterizzata da una sempre maggiore attenzione alla continuità aziendale, essendo possibile riconoscervi un chiaro favor alle procedure concorsuali che garantiscono il mantenimento dell’assetto produttivo rispetto a quelle che si basano sulla sua atomizzazione e conseguente liquidazione. Pertanto, in astratto, il ricorso allo strumento del concordato preventivo in luogo di altre procedure concorsuali di natura liquidatoria non è certamente deprecabile. La scelta di ricorrere a procedure concorsuali alternative a quelle liquidatorie non può, di per sé, essere considerata fonte di responsabilità da ritardata dichiarazione di fallimento costituendo, invece, una legittima modalità di soluzione della crisi messa a disposizione dall’ordinamento.

All’amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.

Ricade su ciascun consigliere l’obbligo di agire informato, così come espressamente previsto anche per le s.r.l. a seguito della modifica dell’art. 2475 c.c. apportata dalla riforma del codice della crisi, che rimanda espressamente all’art. 2381 c.c., in base al quale gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società.

Competenza della sezione specializzata in materia di imprese e connessione “forte”

E’ competente la Sezione Specializzata in Materia di Imprese nel caso di controversia avente ad oggetto la responsabilità extracontrattuale di una società quando sussistano elementi di connessione c.d. forte, di natura oggettiva e soggettiva, con la causa di responsabilità dell’amministratore per atti di mala gestio, se la decisione in merito alla responsabilità extracontrattuale della società implica necessariamente il vaglio, quantomeno incidentale, della responsabilità dell’amministratore.

I presupposti della responsabilità concorrente degli amministratori privi di deleghe

Gli amministratori non operativi o delegati sono tenuti ad informarsi in ordine all’attività svolta dagli altri amministratori, secondo le modalità previste dallo statuto, ovvero ritenute adeguate in relazione all’assetto organizzativo dato alla società. La violazione di tale dovere deve essere pur tuttavia quantomeno colposa: nello specifico, la colpa concorrente dell’amministratore che non abbia direttamente posto in essere la condotta illecita – fattispecie omissiva colposa – può ravvisarsi: (i) nella mancata conoscenza dell’atto compiuto, purché si tratti di atto conoscibile secondo ordinaria diligenza; (ii) nella colposa ignoranza del fatto altrui, per non avere adeguatamente rilevato i segnali d’allarme dell’altrui illecita condotta, percepibili con la diligenza della carica; (iii) nell’inerzia colpevole, per non essersi utilmente attivato al fine di scongiurare l’evento evitabile con l’uso della diligenza predetta.

10 Febbraio 2023

Responsabilità dell’amministratore per condotte distrattive ed omesso versamento di imposte

Nel caso di responsabilità dell’amministratore per omesso versamento di imposte, il danno risarcibile non coincide con le imposte non versate (che, siccome dovute, rappresentano un debito titolato, che non diventa danno solo per il fatto di essere rimasto inadempiuto) ma è pari all’importo delle sanzioni, spese esecutive ed aggi, che non sarebbero stati applicati se l’amministratore avesse ottemperato tempestivamente all’obbligo di versamento delle imposte.

20 Settembre 2022

Il socio nella governance della s.r.l.

Nelle azioni di responsabilità promosse individualmente dal socio contro gli amministratori di s.r.l. sussiste litisconsorzio necessario con la società medesima, in quanto l’autonoma iniziativa del socio, riconosciuta dall’art. 2476, co. 3, c.c. senza vincolo di connessione con la quota di capitale dallo stesso posseduta, non toglie che si tratta pur sempre di un’azione sociale di responsabilità, rifluendo l’eventuale condanna dell’amministratore unicamente nel patrimonio sociale e potendo solo la società (non il socio) rinunciare all’azione e transigerla.

L’art. 2476 c.c. è norma cardine della disciplina della s.r.l., in quanto delinea il complessivo sistema di tutele riconosciute al socio di minoranza in tale compagine, attribuendo, in primo luogo, ai soci che non partecipano all’amministrazione ampi e inderogabili poteri di controllo, assegnando loro un ruolo chiave nei meccanismi di governance. Tale penetrante diritto di controllo sta alla base di tutti gli altri strumenti di tutela a disposizione del socio di s.r.l., in quanto propedeutico alla tutela giurisdizionale volta sia ad accertare la responsabilità degli amministratori, che a ottenere il risarcimento di un danno, sia quello subito dal patrimonio sociale, sia quello direttamente subito dal socio. Il diritto di controllo si esplicita in primo luogo nel diritto di ricevere informazioni e nel diritto di ispezione, che non subiscono alcuna restrizione di natura temporale, sicché ciascun socio che non partecipi all’amministrazione ha diritto di ispezionare tutta la documentazione contabile e amministrativa della società, anche risalente negli anni e anche quella relativa ad esercizi interessati da pregresse gestioni (con l’unico limite del divieto di abuso nel caso di richiesta di informazioni già note, ovvero nel caso di azioni di mero disturbo). In questa prospettiva si spiega altresì la scelta del legislatore di mantenere la legittimazione del singolo socio ad impugnare le delibere assembleari invalide ex art. 2479 ter c.c. All’iniziativa del singolo socio sono lasciati ampi poteri di reazione ai comportamenti illegittimi della maggioranza o degli amministratori e in tale assetto complessivo – che costituisce il nucleo tipizzante la s.r.l. – non trova alcuna giustificazione una interpretazione restrittiva della legittimazione del socio, volta a limitare l’esercizio dell’azione di responsabilità nei soli confronti degli amministratori in carica.

La condizione di inesigibilità del credito ex art. 2467 c.c. presuppone che, da una parte, il finanziamento sia stato disposto e, dall’altra, il rimborso sia stato richiesto in presenza di una situazione di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, ossia di una situazione di crisi qualificata, sostanzialmente equiparabile all’insolvenza, la quale unicamente giustifica la considerazione di un concorso virtuale tra i creditori.

8 Agosto 2022

L’azione di responsabilità del curatore per gli illeciti gestori degli amministratori estesa anche agli amministratori di fatto

Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione. Nel novero delle operazioni dannose meritano senz’altro di essere comprese le distrazioni del patrimonio sociale, intendendosi per tali tutte quelle azioni, in qualsiasi modo realizzate, che non perseguono altro fine se non quello di sottrarre beni e risorse finanziarie alla società, destinandoli al soddisfacimento di interessi ad essa estranei e, anzi, contrari al suo scopo.

Nell’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. intentata dal curatore nei confronti degli ex amministratori di una società fallita viene esercitata cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori ai sensi dell’art. 2393 c.c. (o 2476 c.c. per le s.r.l.), sia l’azione che, ai sensi del successivo art. 2394 c.c., sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza del patrimonio della società debitrice (2476, sesto comma, c.c. per le s.r.l.). L’azione sociale di responsabilità ha pacificamente natura contrattuale e dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’inadempimento.

Il mancato deposito delle scritture contabili, il mancato deposito del bilancio annuale di esercizio e la dispersione dell’attivo indicato nell’ultimo bilancio depositato, nonché la quasi integrale assenza di attivo rinvenuto dal curatore sono circostanze di fatto che legittimano la quantificazione del danno ricorrendo al criterio equitativo dello sbilancio non permettendo l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli concretamente riconducibili alla condotta del amministratore.

L’individuazione della figura del c.d. “amministratore di fatto” presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non anche meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni; l’influenza dell’amministratore di fatto si deve tradurre, per essere rilevante, nell’ingerenza concreta nella gestione sociale che abbia il carattere della sistematicità.

8 Luglio 2022

Non sussiste responsabilità degli amministratori per il deposito di una domanda di ammissione al concordato preventivo in presenza dei presupposti fissati dalla legge

Gli amministratori e gli organi sociali possono essere ritenuti responsabili con riguardo al pagamento di professionisti incaricati di verificare le condizioni di una richiesta concordataria nonché di redigere le relative relazioni tecniche soltanto laddove l’istanza di concordato risulti essere stata proposta abusivamente, cioè ex ante irrazionale e arbitraria, e dunque del tutto infondata, posto che la richiesta di una procedura concorsuale o di una procedura alternativa da parte di una società in crisi o insolvente è prevista dall’ordinamento, in astratto del tutto legittima ed anzi doverosa. L’arbitrarietà della domanda di concordato dev’essere misurata non sulla semplice declaratoria di inammissibilità ovvero sull’intervenuto rigetto da parte del Tribunale, occorrendo invero un quid pluris, in specie rappresentato dalla conoscenza ex ante dell’insussistenza dei presupposti per adire la procedura. In sintesi, la mala gestio e la negligenza poste in essere dall’organo gestorio sussistono in quanto la domanda sia appunto qualificabile in termini di abuso del diritto.

La domanda di concordato preventivo presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede, nonché dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti.

Azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di s.r.l. esercitata dal curatore

L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c., con conseguente possibilità per il curatore medesimo di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (art. 2393, co. 4; 2941, n. 7; 2949; 2394, co. 2, c.c.) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c.) ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.

In caso di fallimento, il danno deve essere determinato avuto riguardo agli specifici atti di mala gestio addebitati all’amministratore e non parametrato alla differenza tra passivo ed attivo fallimentare. Infatti, nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento. La mancanza di scritture contabili della società, pur se addebitabile all’amministratore, di per sè sola non giustifica che il danno da risarcire sta individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo accertati in ambito fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto.