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Art. 2385 c.c.
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La rinuncia alla carica di amministratore nella s.r.l.

La disciplina delle s.r.l. nulla dispone in materia di cessazione dell’incarico degli amministratori, lasciando ampio spazio all’autonomia privata. Nell’ipotesi in cui lo statuto nulla prevede al riguardo, può allora trovare applicazione, in via analogica, l’art. 2385 c.c. dettato in tema di s.p.a., ai sensi del quale la rinunzia all’ufficio di amministratore ha effetto immediato se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione

La rinuncia all’ufficio di amministratore integra atto unilaterale recettizio, che produce il suo effetto nel momento in cui la comunicazione perviene al consiglio di amministrazione e dal quel momento essa diviene irrevocabile. L’atto unilaterale ricettizio non può, infatti, essere revocato o posto nel nulla dallo stesso soggetto che ha emesso la dichiarazione di volontà, dopo che la conoscenza da parte del destinatario lo abbia perfezionato.

29 Novembre 2022

Dimissioni della maggioranza dei membri del C.d.A. e principio della prorogatio

Le dimissioni della maggioranza dei membri di un consiglio di amministrazione non ha effetto prima della loro sostituzione ad opera dell’assemblea in base al principio della prorogatio, richiamato dall’art. 2385 c.c. in materia di società per azioni e da ritenersi principio di portata generale applicabile anche alle società a responsabilità limitata.

7 Novembre 2022

Dimissioni dell’amministratore di s.p.a. e accertamento della relativa giusta causa

In ambito societario, per quel che rileva rispetto al rapporto gestorio, il legislatore, da una parte, ha previsto la facoltà di revoca ad nutum dell’amministratore da parte dell’assemblea. Ove tale scelta intervenga senza giusta causa, all’amministratore spetta ex lege il risarcimento del danno. La giusta causa non incide, dunque, sulla validità della revoca; non è, cioè, fonte del potere estintivo del rapporto contrattuale – attribuito già ex lege ad nutum –, ma regola solo un aspetto della fattispecie estintiva, ossia il profilo risarcitorio. Dall’altra parte, il legislatore ha disciplinato la facoltà di recesso ad nutum dell’amministratore, senza alcun obbligo di indennizzare la società. L’interesse della società alla stabilità del rapporto gestorio non è, dunque, in tal caso tutelato: la società può infatti immediatamente sostituire il dimissionario mentre, medio tempore, opera il regime della prorogatio.

Non sono espressamente previste le conseguenze – indennitarie – delle dimissioni per giusta causa dell’amministratore, essendo facoltà delle parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, di eventualmente disciplinare tale effetto secondario ed accessorio rispetto al recesso ad nutum. Il diritto all’indennizzo per giusta causa negoziata dalle parti è in tal caso diretto a tutelare l’interesse e l’aspettativa dell’amministratore alla stabilità del rapporto gestorio per il tempo contrattualmente previsto e la sua eventuale cessazione per una ragione allo stesso non riferibile.

La giusta causa può ricomprendere sia ipotesi soggettive (avendo in tal caso riguardo a profili personali dei contraenti, come nel caso in cui venga meno il rapporto di fiducia tra gli altri membri del CdA e l’amministratore dimissionario), sia ipotesi oggettive (ossia circostanze, diverse dall’inadempimento, che rendano più gravose le condizioni inizialmente pattuite per fatti estranei alle persone dei contraenti). Sono incluse tutte le situazioni in cui l’amministratore non sia più in grado di svolgere i propri compiti per fatti allo stesso non imputabili e non rimuovibili che, incidendo sul rapporto di mandato tra società e amministratore, gli impediscono di svolgere i propri compiti.

Non costituiscono giusta causa di dimissioni le scelte gestorie, anche non proficue per la società, che l’ex amministratore non ha ritenuto di condividere con il resto del CdA, né i contrasti all’interno dello stesso, che siano espressione di una normale dialettica nell’ambito dell’organo gestorio. Integrano, al contrario, tale giusta causa le seguenti circostanze: (i) la continua mancanza di un flusso informativo necessario per espletare diligentemente la carica gestoria; (ii) l’invio di un flusso di informazioni sistematicamente non corrette; (iii) l’esclusione dalla partecipazione dei processi decisionali e delle scelte dell’organo gestorio.

Deve sussistere un rapporto di proporzionalità tra le circostanze denunciate e le dimissioni. Occorre, invero, valutare se le circostanze allegate, per la loro gravità, siano idonee a non consentire la prosecuzione del rapporto gestorio.

Le ragioni delle dimissioni, rilevanti ai fini dell’indennizzo, sono solo quelle cristallizzate contestualmente all’esercizio del diritto di recesso.

È onere dell’amministratore dimissionario che invochi la giusta causa provare le circostanze a supporto della propria pretesa indennitaria.

1 Febbraio 2021

Dimissioni del componente del consiglio di amministrazione

L’art. 2385 c.c. prescrive che l’amministratore uscente debba comunicare per iscritto le proprie dimissioni al CdA e prevede che le dimissioni operino immediatamente solo se lasciano intatta la maggioranza del consiglio. La comunicazione scritta non è surrogabile, per la produzione dell’effetto, da notizia informale; è validamente sostituita solo da PEC, in ragione del regime speciale di questa. In seguito alle dimissioni, spetta agli amministratori adoperarsi perché vengano correttamente trasmesse le consegne; in particolare, è loro dovere segnalare affari pendenti e urgenze da coprire.

9 Dicembre 2020

Clausola “simul stabunt simul cadent”: ratio, impiego abusivo e onere della prova

La clausola simul stabunt simul cadent è finalizzata a mantenere costanti gli equilibri interni originariamente voluti e cristallizzati secondo una determinata configurazione nella delibera assembleare di nomina dell’organo gestorio. Essa funge da stimolo alla coesione dell’organo gestorio, essendo ciascun amministratore consapevole che le dimissioni proprie o altrui ne determinano l’integrale decadenza.

L’impiego abusivo della clausola simul stabunt simul cadent si configura ogniqualvolta le dimissioni idonee a innescarla mirino a eliminare amministratori sgraditi in assenza di giusta causa, eludendo così l’obbligo di corresponsione degli emolumenti residui (e, in genere, di risarcimento del danno) altrimenti loro spettante per effetto della revoca ex art. 2383, co. 3, c.c. (per le s.p.a.) ed ex artt. 1723, co. 2, e 1725 c.c. (per le s.r.l.).

La parte che prospetti l’impiego abusivo della clausola simul stabunt simul cadent è tenuta a provare che la stessa è stata invocata al solo fine di estrometterla dall’organo amministrativo per il conseguimento di interessi extrasociali o di un gruppo della compagine sociale, e quindi per ottenerne indirettamente la revoca in assenza di giusta causa.

24 Novembre 2020

Opponibilità ai terzi della cessazione dalla carica di amministratore e sindacato sull’operato dell’organo amministrativo

Considerato che ai sensi dell’art. 2385, ult. co., c.c. la cessazione degli amministratori dall’ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro trenta giorni nel registro delle imprese e considerato, inoltre, che l’art. 2193 c.c. dispone che i fatti di cui la legge prevede l’iscrizione, se non sono stati iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l’iscrizione a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza, l’eventuale cessazione dalla carica di amministratore per essere opponibile ai terzi creditori sociali deve necessariamente essere iscritta nel registro delle imprese

Se è vero che le determinazioni dell’imprenditore – ovvero del suo organo amministrativo – sono tradizionalmente considerate esenti da sindacato in sede giurisdizionale, ciò non significa che l’amministratore della società sia libero di adottare qualsivoglia decisione, essendo questi comunque tenuto ad espletare il proprio incarico con la diligenza professionale prescritta ex lege, la quale si estrinseca nella fase preliminare all’adozione della decisione e si fonda sull’acquisizione delle conoscenze tecniche e fattuali necessarie in relazione al caso di specie. Ne consegue, dunque, che il giudizio de quo possa investire unicamente l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostante e con quelle modalità.

 

21 Dicembre 2019

Azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare e liquidazione del danno su base equitativa

Fermo l’onere per il curatore che voglia esperire l’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 146 L.F. di provare la violazione da parte degli amministratori degli obblighi di gestione non lesiva dell’integrità del patrimonio, nell’impossibilità per quest’ultimo di avvalersi delle scritture contabili mancanti, il danno da risarcire sarà individuato e liquidato in misura corrispondente al deficit fallimentare, da liquidare in via equitativa.

Esclusione del socio cooperatore deliberata dall’organo amministrativo in regime di prorogatio

In materia di società cooperative l’art. 2533, co. 2, c.c. prevede, per l’adozione della deliberazione di esclusione del socio, la competenza degli amministratori, a meno che l’atto costitutivo non l’attribuisca all’assemblea. L’organo amministrativo può legittimamente deliberare l’esclusione del socio anche dopo essere decaduto per scadenza del termine, stante quanto disposto dall’art. 2385, co. 2, c.c., ai sensi del quale la cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito. L’istituto della prorogatio, contemplato per le s.p.a. dall’art. 2385, co. 2, c.c., è applicabile anche alle s.r.l., in ragione dell’esigenza del tutto analoga di salvaguardare la continuità dell’organo di amministrazione, che giustifica l’applicazione analogica della disciplina sulla proroga. [Nella specie, il Tribunale ha considerato legittima la deliberazione di esclusione del socio assunta dal CdA in regime di prorogatio di una società cooperativa il cui atto costitutivo prevedeva, ai sensi dell’art. 2519, co. 2, c.c. la sottoposizione della stessa alle norme in tema di s.r.l.].

23 Aprile 2018

Impugnazione di delibera del collegio sindacale e funzionamento della clausola simul stabunt simul cadent. Il caso Telecom.

L’innesco della clausola statutaria simul stabunt simul cadent comporta la necessità di integrale rinnovo del consiglio di amministrazione, senza la possibilità di procedere a sostituzioni parziali interinali. [ LEGGI TUTTO ]