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27 Gennaio 2023

Clausola compromissoria contenuta nello statuto e disponibilità del diritto

L’art. 806 c.p.c. individua l’ambito dell’applicabilità della convenzione di arbitrato alle controversie su diritti disponibili e la disponibilità deve essere commisurata al diritto oggetto della controversia e non alle questioni che gli arbitri dovrebbero sciogliere in vista della decisione, suscettibili di essere affrontate con effetti incidenter tantum.

L’indisponibilità del diritto costituisce il limite al ricorso alla clausola compromissoria e non va confusa con l’inderogabilità della normativa applicabile al rapporto giuridico, la quale non impedisce la compromissione in arbitrato, con il quale si potrà accertare la violazione della norma imperativa senza determinare con il lodo effetti vietati dalla legge.

È sufficiente che la clausola dello statuto sociale preveda la devoluzione agli arbitri delle controversie tra i soci o tra la società e i soci relative all’attività sociale per determinare la competenza degli arbitri per le liti aventi ad oggetto l’annullamento delle delibere assembleari.

3 Gennaio 2023

Sull’abuso di maggioranza nella delibera di scioglimento della società per deliberazione dell’assemblea

All’infuori della ipotesi di un esercizio “ingiustificato” ovvero “fraudolento” del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della deliberazione di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze relative all’economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva. Pertanto, ai fini dell’annullamento della delibera di scioglimento anticipato della società ex art. 2484 n. 6 c.c. per conflitto di interessi o per abuso di potere è necessario che sussista o un contrasto tra l’interesse della maggioranza e l’interesse sociale o che il voto della maggioranza sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta diretta a provocare la lesione dei diritti spettanti ai soci di minoranza uti singuli (nel caso di specie il Tribunale annulla la delibera, rilevando l’abuso da parte del socio di maggioranza, che con il proprio voto ha deliberato lo scioglimento anticipato della società, dopo che era fallita una trattativa sulla cessione della quota del socio di minoranza e dopo che era stato disposto il trasferimento dell’azienda sociale a favore di altra società partecipata dal socio di maggioranza).

29 Dicembre 2022

Esclusione del socio di s.r.l. per giusta causa e abuso di potere in assemblea

È legittima l’introduzione a maggioranza assembleare di una clausola di esclusione del socio ai sensi dell’art. 2473 bis c.c. Pertanto, qualora la clausola rispetti i requisiti di sufficiente specificità e sia sorretta da giusta causa, la stessa può essere introdotta durante societate anche a maggioranza. È inammissibile una clausola generica di esclusione, in quanto è necessario determinare specificatamente nell’atto costitutivo le fattispecie che, incidendo sulla permanenza del vincolo societario, consentono di estromettere il socio dalla società, da cui la ritenuta illegittimità di tutte quelle clausole che, nei presupposti, evidenzino generiche “gravi inadempienze del socio” senza indicare specificatamente determinate tipologie di comportamento, dal momento che l’organo competente alla valutazione dei requisiti legittimanti l’esclusione del socio, sia esso amministrativo o assembleare, si vedrebbe assegnato un potere privo di adeguato controllo. Così come è illegittima una clausola che non concretizzi in maniera prevedibile e aprioristicamente valutabile quella giusta causa che il legislatore richiede come requisito fondamentale dell’esclusione. Infatti, quando il legislatore della riforma consente che lo statuto possa “prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio” non costringe all’elencazione di eventi che, se giudicati a posteriori, sarebbero qualificabili come casi di giusta causa, ma consente di introdurre nello statuto la previsione di eventi che da quella società sono a priori considerati, al fine dell’ordinato sviluppo della propria attività, elementi di grave turbativa, legittimanti per ciò l’allontanamento di uno dei membri di quella collettività, e quindi fattispecie di giusta causa. In sostanza, la giusta causa verificabile a posteriori non può non essere che un concetto valevole per l’ordinamento nel suo complesso e quindi per tutti i consociati che di quell’ordinamento sono parte; mentre la giusta causa specificata a priori è la giusta causa propria di quella data collettività che la definisce per sé, e che quindi potrebbe essere non generalizzabile al di fuori di quella collettività ove è stata definita e ove essa vige.

È legittimo individuare una giusta causa di esclusione ex art. 2473 bis c.c. nel fallimento del socio; con l’ovvia precisazione, tuttavia, che il compendio della liquidazione dovrà essere versato alla procedura e che, comunque, in tal caso occorrerà applicare il disposto dell’ultimo comma dell’art. 2471 c.c., che estende al fallimento la procedura di vendita prevista per il caso del pignoramento della quota di società a responsabilità limitata.

Costituisce una legittima causa di esclusione ex art. 2473 bis c.c. quella in forza della quale un socio può essere escluso dalla società qualora il medesimo sia a sua volta una società e, senza il consenso dei restanti soci della partecipata, muti per qualsiasi causa la propria compagine sociale, anche in esito a operazioni di scissione o fusione (c.d. changing control). Tale clausola può essere introdotta in statuto a maggioranza e ben può ritenersi legittima in quanto riferita ad evento capace di incidere sulla figura dei soci sì da minare alle radici il fondamento dell’unità di quella compagine sociale.

Costituisce una legittima causa di esclusione ex art. 2473 bis c.c. quella in forza della quale un socio può essere escluso dalla società qualora non adempia agli obblighi assunti nei confronti della società o di altri soci, quali obblighi funzionali al perseguimento dell’oggetto sociale in quanto necessari in vista del perseguimento delle competenze e dei mezzi, anche economici necessari all’attività della società, come previsti nell’atto costitutivo, in scrittura privata autenticata o non disconosciuta.

Posta l’astratta configurabilità della vicenda dell’abuso di potere anche rispetto ai voti espressi dai soci in seno all’assemblea, va precisato che, perché possa dirsi integrato un vizio della delibera, è necessario allegare e dimostrare che la stessa sia il portato di un esercizio fraudolento ovvero ingiustificato del potere di voto; e ciò in quanto l’abuso non può consistere nella mera valutazione discrezionale dei propri interessi ad opera dei soci, ma deve concretarsi nella intenzionalità specificatamente dannosa del voto, ovvero nella compressione degli altrui diritti in assenza di apprezzabile interesse del votante. L’abuso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari quando la deliberazione: a) non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società; deve pertanto trattarsi di una deviazione dell’atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento, da parte dei soci di maggioranza, di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale; b) sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza, diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli poiché rivolta al conseguimento di interessi extrasociali. I due requisiti testé evidenziati non sono richiesti congiuntamente, ma in alternativa. Ne deriva, in adesione ai principi ora enunciati, che l’esame del merito della delibera è ammesso solo in presenza di indici oggettivi da cui sia dato inferire la violazione di vincoli imposti dall’ordinamento alla maggioranza e desunti nei modi succitati. Della sussistenza e della prova di tali indizi è naturalmente onerata la parte che assume l’illegittimità della deliberazione; grava, cioè, sul socio di minoranza l’onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto. È, poi, chiaro che la presenza del fine fraudolento – la cui prova può essere data anche induttivamente, dimostrando che lo scopo apparentemente perseguito dalla società è in realtà inesistente – costituisce non solo un sintomo del vizio della decisione impugnata, ma anche il limite alla tutela della minoranza. L’abuso di potere, infatti, è pur sempre un vizio di legittimità della delibera, riscontrabile solo nella misura in cui non comporti un controllo giudiziario sulle libere determinazioni dell’autonomia privata provenienti dagli organi della società, rispetto alle quali è preclusa qualsiasi valutazione di opportunità.

L’esigenza di consentire a ciascun socio, non soltanto di partecipare ai lavori assembleari in modo consapevole e informato sulle questioni che ivi saranno trattate, ma anche di veder tutelata la sua buona fede per il caso in cui non intenda prendervi parte, viene perseguita mediante la previsione dell’obbligo di indicare, nell’avviso di convocazione, l’elenco delle materie che dovranno essere oggetto di trattazione e decisione (c.d. ordine del giorno), con la conseguenza che, sia nel caso in cui l’avviso di convocazione non contenga affatto l’enunciazione dell’ordine del giorno, sia nelle ipotesi in cui le materie da trattare in assemblea siano indicate in maniera generica o ambigua, le deliberazioni così adottate divengono annullabili. Segnatamente, la deliberazione adottata sulla base di un ordine del giorno dal contenuto indeterminato deve considerarsi annullabile e non nulla, in quanto le norme concernenti le formalità di convocazione dell’assemblea mirano a tutelare esclusivamente l’interesse dei soci al regolare svolgimento dell’attività interna della società e non incidono sui presupposti essenziali di formazione della volontà sociale. Tuttavia, affinché possa adeguatamente assolvere alle funzioni sue proprie, l’ordine del giorno inserito nell’avviso di convocazione non deve necessariamente sostanziarsi in una indicazione particolareggiata delle materie da trattare o, addirittura, in una anticipata comunicazione del contenuto della decisione da assumere, dimostrandosi sufficiente un’indicazione sintetica delle questioni, purché perspicua ed non equivoca. Anzi, non par superfluo evidenziare che, fuori dalle ipotesi in cui lo stesso legislatore prescrive che l’avviso di convocazione sia circostanziato e dettagliato (come nel caso dell’art. 2445 c.c.), nella formulazione dell’ordine del giorno da inserire nell’avviso di convocazione occorre contemperare l’esigenza di fornire indicazioni puntuali circa gli argomenti da trattare in assemblea, con la contrapposta esigenza di preservare l’elasticità e la flessibilità dei lavori assembleari; invero, un ordine del giorno eccessivamente puntuale e dettagliato, talvolta, potrebbe condizionare la libertà di determinazione dell’assemblea, sminuendo il rilievo che, a tal fine, assume il dibattito e la discussione dei soci.

23 Dicembre 2022

Socio moroso e nullità della delibera di bilancio

E’ legittimato ad impugnare per vizi di nullità la delibera di approvazione di bilancio anche il socio moroso, titolare di un legittimo interesse a contestare il bilancio sociale ritenuto in violazione dei principi contabili, mantenendo il diritto di controllo sugli affari sociali, ai sensi dell’art. 2476, comma 2, c.c., sino a che resti parte della compagine societaria.

Il principio di chiarezza, quale canone di redazione del bilancio dotato di autonoma valenza e non subordinato al principio di verità, ha l’autonomo scopo di consentire la più ampia trasparenza dei dati di bilancio, agevolando l’esercizio il diritto di controllo con riguardo a tutte le informazioni necessarie per le singole voci. La società che ha ingiustificatamente modificato il titolo del finanziamento apposto a bilancio, così mutando non solo l’appostazione contabile ma anche il relativo regime, senza un’adeguata motivazione in nota integrativa, in ordine alla scelta di un diverso criterio, in discontinuità nell’appostazione di tale posta di debito rispetto ai bilanci precedenti, compie una violazione del suddetto principio.

16 Dicembre 2022

Sostituzione della delibera impugnata e annullabilità della delibera assunta con il voto determinante del falsus procurator

L’art. 2384 c.c. – ove prevede che le limitazioni del generale potere di rappresentanza degli amministratori sono irrilevanti verso l’esterno, anche se pubblicate, salvo che i terzi abbiano intenzionalmente agito a danno della società – si applica anche alla c.d. rappresentanza processuale.

In tema di annullabilità delle deliberazioni assembleari, la fattispecie di cui all’art. 2377, co. 8, c.c. presuppone, affinché l’annullamento della delibera impugnata non abbia luogo, la sostituzione della delibera impugnata con altra presa in conformità della legge e dello statuto; la sostituzione preclude, cioè, la pronuncia di invalidità della delibera sostituita solo nel caso in cui la delibera sostitutiva sia valida. Pertanto, la sostituzione della delibera impugnata con una successiva delibera, a sua volta oggetto di impugnazione, impedisce l’applicazione dell’art. 2377, co. 8, c.c., essendo impedita, in pendenza di impugnazione, la valutazione di legittimità della delibera sostitutiva da parte del tribunale.

La deliberazione assembleare, assunta con il voto di una società partecipante rappresentata da un falsus procurator, è viziata da annullabilità. Il voto così espresso, invalido per vizio di rappresentanza, è peraltro suscettibile di ratifica, proveniente dalla medesima società legittimamente rappresentata, ai sensi dell’art. 1399 c.c.

Le delibere modificative non iscritte nel registro delle imprese ex art. 2436 c.c. – espressamente richiamato, in tema di s.r.l., dall’art. 2480 – costituiscono un’ipotesi tipica di delibera inefficace; l’inefficacia può, come tale, essere fatta valere anche oltre il termine di decadenza posto dall’art. 2377 c.c. da chiunque vi abbia interesse.

18 Novembre 2022

Mancata convocazione del socio la cui partecipazione è sottoposta a sequestro preventivo penale

La deliberazione assembleare di aumento del capitale sociale di una società per azioni, che sia stata assunta con violazione del diritto di opzione, non è nulla, ma meramente annullabile, in quanto tale diritto è tutelato dalla legge solo in funzione dell’interesse individuale dei soci ed il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela di tale interesse determina un’ipotesi di mera annullabilità.

Il sequestro preventivo penale, ex art. 321 c.p.p., di quote o azioni di una società di capitali, in difetto di contraria indicazione contenuta nel provvedimento che lo dispone, priva i soci dei diritti relativi alle quote o azioni sequestrate, sicché il diritto di intervento e di voto nelle assemblee spetta al custode designato in sede penale. L’attribuzione al custode del diritto di voto implica che soltanto a costui sia altresì riservata la legittimazione ad impugnare le deliberazioni assembleari al fine di ottenerne l’annullamento ai sensi dell’art. 2377 c.c., stante la strumentalità del diritto di impugnazione rispetto a quello di voto, quale esplicazione del medesimo inscindibile potere che si esprime nel concorrere alla formazione della volontà assembleare e nel reagire alle eventuali manifestazioni illegittime di detta volontà.

2 Settembre 2022

Abuso di maggioranza ed esercizio dei diritti sociali relativi a una partecipazione conferita in trust

L’abuso del diritto della maggioranza dei soci si sostanzia in una lesione del diritto del socio di minoranza, in violazione del canone di correttezza e buona fede, che impone la salvaguardia nell’interesse comune della società. In particolare, l’abuso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari quando la deliberazione: (i) non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società; deve pertanto trattarsi di una deviazione dell’atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale; (ii) sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli poiché è rivolta al conseguimento di interesse extrasociali. Della prova della sussistenza dell’eccesso di potere è onerata, ex art. 2697 c.c., la parte che, deducendo tale vizio, assume l’illegittimità della deliberazione. L’annullabilità della delibera assembleare per abuso di maggioranza costituisce l’unica ipotesi in cui il giudice può procedere ad un esame nel merito della deliberazione assembleare e non di mera legalità formale.

L’invalidità della delega conferita da un socio a un proprio rappresentante per il voto in un’assemblea di s.r.l. si risolve in un motivo di annullamento della deliberazione qualora il voto espresso dal non legittimato sia stato determinante.

Nell’eventualità di impugnazione di delibera assembleare, incombe sulla società l’onere di provare che tutti i soci siano stati tempestivamente avvisati della convocazione; tale prova può essere fornita anche tramite presunzioni.

Il trust non è un ente dotato di personalità giuridica, ma un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, nell’interesse di uno o più beneficiari, e formalmente intestati al trustee, il quale, pertanto, disponendo in via esclusiva dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato, è l’unico soggetto legittimato a farli valere nei rapporti con i terzi, anche in giudizio. Ne consegue che, nell’ipotesi di partecipazione sociale conferita in trust, il suo trustee è l’unico soggetto legittimato all’esercizio dei relativi diritti sociali.

13 Luglio 2022

Nullità della delibera assembleare emessa in violazione di lodo arbitrale passato in giudicato

Attiene a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806 c.p.c., la natura pubblicistica della cosa giudicata sostanziale, in quanto prevista da norme imperative di ordine pubblico, che la sottraggono a ogni derogabilità pattizia, precludendo qualsiasi possibilità di adottare una determinazione contraria al giudicato formatosi in favore di una delle parti.

Il giudicato formatosi su una pronuncia di annullamento (o nullità) di una delibera sociale ha effetto rispetto a tutti i soggetti coinvolti dall’azione sociale; infatti, poiché la deliberazione dell’assemblea è un atto riconducibile a un contratto associativo, come nel momento fisiologico ha effetto per tutta la struttura societaria (e quindi per tutta la compagine sociale, anche per l’eventuale minoranza che avesse votato contro quella specifica delibera), allo stesso modo, nel momento patologico, l’accertamento della sua eventuale invalidità produce effetti nei confronti di tutta la società e a tali effetti non può derogarsi se non sulla base di un accordo tra tutte le parti direttamente o indirettamente coinvolte. È quindi nulla la delibera che si proponga di rimuovere gli effetti del giudicato adottata in danno di una parte della compagine sociale, essendo il giudicato posto a tutela non soltanto del o dei singoli soci coinvolti nel contenzioso, ma di tutta la società e anche dei terzi.

Il giudice non può entrare nel merito di scelte che competono solo agli organi sociali, in quanto le concrete modalità di esecuzione del giudicato sono rimesse alla discrezionalità dell’organo amministrativo e all’assemblea dei soci; tuttavia, la parte vittoriosa del giudizio ha diritto a che si provveda in modo legittimo e conforme alle regole che presiedono all’azione dell’organizzazione (nel caso di specie, il Tribunale, in accoglimento della domanda attorea, ha condannato la società convenuta a iscrivere correttamente il dispositivo del lodo passato in giudicato presso il registro delle imprese).

14 Giugno 2022

Delibera assembleare di revoca dell’amministratore: presupposti e requisiti per l’accoglimento della sospensione in via cautelare

Le doglianze relative ad asserite lacune informative circa il contenuto dell’ordine del giorno, quale forma di insufficienza dell’avviso di convocazione, non soddisfano il requisito del fumus boni iuris necessario per la richiesta cautelare di sospensione di una delibera assembleare (nel caso di specie adunanza con la quale viene revocato l’amministratore). E invero, non sussiste alcuna previsione che imponga nell’avviso di convocazione un contenuto di dettaglio, o addirittura una proposta di delibera assembleare atteso che il legislatore con la disposizione normativa di cui all’art. 2479 bis cod.civ. tutela “la tempestiva informazione sugli argomenti”.

Per le medesime finalità di impugnazione, altresì, non può ritenersi soddisfatto il requisito del humus boni iuris in presenza di un asserito abuso di maggioranza laddove la revoca avvenga in presenza di una lacuna degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili coerenti con la natura e le dimensioni dell’impresa ex art. 2086, cod.civ.