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Licenza d’uso: (necessaria) l’espressa pattuizione degli obblighi della licenziante nei confronti della licenziataria

Va disattesa e non accolta la “domanda di risoluzione per inadempimento … ove gli obblighi della licenziante [nella specie di messa a disposizione per la licenziataria di canali di vendita o di attività di supporto] non siano previsti contrattualmente e non emergano dal chiaro tenore letterale delle disposizioni pattizie”. Va disattesa e non accolta la “domanda di annullamento del contratto per dolo … ove la … prova dei fatti costitutivi della domanda azionata …. non comprovi il ricorrere di …. circostanze false, o l’omissione di elementi rilevanti e idonei a carpire, con artifici e raggiri, il consenso della controparte”. Se un “elemento” si rivela “di per sé particolarmente fragile” non è “idoneo, neppure a livello indiziario, a fondare il dolo richiesto dall’art. 1427 c.c., [posto che rifluisce su scelte imprenditoriali non sindacabili, in quanto non irragionevoli]”. [ Continua ]
20 Febbraio 2023

Ferrari vs Philipp Plein: uso illecito del marchio notorio da parte dell’influencer per finalità commerciali

L’uso dei marchi da parte dell’influencer dovrebbe ritenersi lecito: a) quando è stato autorizzato dal titolare del segno distintivo; b) nelle ipotesi in cui le immagini esposte possano comunicare – in capo al pubblico - un significato diverso da quello pubblicitario e commerciale, e cioè siano descrittive di scene di vita dell’influencer o di terze persone. Detta liceità discenderebbe dall’ovvia considerazione secondo cui la pubblicazione di scene di vita quotidiana implicano l’inevitabile l’esposizione dei segni distintivi dei prodotti normalmente usati dal soggetto rappresentato per compiere l’azione pubblicata. Diversamente, deve ritenersi abusivo l’uso del marchio quando le immagini riprodotte dall’influencer non possano trovare altro significato – in capo ai fruitori dei social media – che quello commerciale e pubblicitario. Ciò si verifica quando l’esposizione del marchio: a) venga accompagnata da inserzioni o didascalie espressamente pubblicitarie; b) venga pubblicato in un contesto (si pensi ad un sito o ad un profilo instagram o altri social media) che risulti prevalentemente indirizzato alla comunicazione pubblicitaria, e cioè contenga primariamente messaggi commerciali; c) compaia in immagini che – di per sè – non possano avere altro significato che l’esposizione di un prodotto a scopi commerciali, e non già scene di vita dell’influencer o di terzi. [Nel caso di specie, l’immagine di alcune calzature esposte sul cofano di un’autovettura non descrive un momento di vita quotidiana, pertanto è palese la volontà dello stilista/influencer di accostare abusivamente il proprio prodotto al brand dell’azienda automobilistica, nel tentativo di giovarsi dell’immagine prestigiosa di quest’ultima.] [ Continua ]
9 Febbraio 2023

Registrazione in malafede del patronimico noto per la produzione di vino Valpolicella

La Corte di Giustizia ha affermato che la registrazione di un marchio può dirsi in malafede quando, al momento del deposito della domanda di registrazione, il richiedente mira ad impedire la attività di impresa dei concorrenti, piuttosto che a proteggere la propria attività, ovvero intende trarre vantaggi ingiustificati, appropriandosi di segni attrattivi già presenti sul mercato. La conoscenza da parte del richiedente della esistenza di segni altrui nel mercato non è sufficiente, di per sé, ad integrare la prova della malafede, essendo necessario invece dimostrare che l’intenzione del richiedente la registrazione è specificamente fraudolenta, perché volta, ad esempio, ad impedire ad un terzo di commercializzare un prodotto con quel segno. Ovviamente della intenzione fraudolenta, elemento immateriale, intimo e soggettivo, non può fornirsi prova diretta, e la sua dimostrazione deve necessariamente trarsi da circostanze oggettive e note, che tramite un ragionamento presuntivo consentito dagli artt.2727 ss c.c. conducano a ricostruire le intenzioni di chi agisce. La Corte di Giustizia ha indicato, come esempi in cui le circostanze oggettive sono indizianti della malafede, il caso di chi registri un marchio, senza poi utilizzarlo, (il che evidenzia la intenzione impeditiva) ovvero ancora il caso di chi registri un marchio particolarmente noto ed attrattivo, (il che evidenzia la intenzione di appropriazione). [ Continua ]
19 Febbraio 2023

Competenza della sezione specializzata in materia di imprese con riferimento ad attività di concorrenza sleale confusoria

La fattispecie di concorrenza sleale interferente con diritti di proprietà industriale (ai sensi dell'art. 134 c.p.i.) non richiede il contemporaneo esercizio dell'azione risarcitoria del comportamento sleale con quello dell'accertamento di un diritto di privativa, ma soltanto che sussista un collegamento tra la condotta lesiva e l'esistenza di un segno distintivo del soggetto leso. Infatti, dalla disposizione di legge non si evince la necessità che oggetto principale della tutela giudiziaria sia una domanda volta a una pronuncia di un diritto di proprietà industriale o intellettuale; il legislatore invero richiede espressamente solo un rapporto di interferenza tra la tutela della proprietà industriale e intellettuale e le fattispecie di concorrenza sleale devolute alla competenza delle sezioni specializzate. [ Continua ]

Know how e concorrenza sleale da parte di un ex dipendente: perimetro applicativo degli istituti e risarcibilità del danno

La concorrenza può dirsi illecita quando la natura stessa dei mezzi utilizzati al fine di compiere i predetti atti sia contraria alla correttezza professionale, e dunque idonea a danneggiare le aziende altrui: in tal senso, costituisce concorrenza sleale il fatto di porre in essere un’attività lesiva, volta ad appropriarsi in maniera illegittima dello spazio di mercato o della clientela delle imprese concorrenti. L’ipotesi di cui al n. 3 dell’art. 2598 c.c. si discosta da quelle dei nn. 1 e 2, giacché questa è configurabile in maniera indipendente rispetto al riscontro della confondibilità, oggettiva e soggettiva, dei prodotti concorrenti: tale considerazione estende il campo applicativo della norma in questione ad ogni condotta che si riveli contraria ai principi di correttezza professionale, e dunque idonea a provocare, nel concreto, danni di rilievo al concorrente sul mercato. È dunque richiesto che vi sia prova, in concreto, dell’idoneità degli atti a comportare, per il concorrente, un determinato pregiudizio, tenuto conto che il n. 3 non prevede specifici atti di concorrenza sleale, ma si estende a qualsiasi condotta volta a minare i principi della concorrenza professionale e dunque idonea a danneggiare l’altrui azienda. A ciò consegue che la norma deve essere intesa in senso ampio, giacché il legislatore non ha voluto configurare in maniera restrittiva il concetto di correttezza professionale, laddove il comportamento illecito a cui si fa riferimento è dato dall’insieme di azioni, e, in generale, dalla “manovra” operata per danneggiare il concorrente.   [ Continua ]

Responsabilità dell’amministratore per concorso nella condotta illecita anticoncorrenziale

Dell'illecito di concorrenza sleale può essere chiamato a rispondere anche l'amministratore di s.r.l. ai sensi dell'art. 2476, co. 6,  se risultano provati la addebitabilità agli amministratori di omissioni e condotte in violazione degli obblighi specifici e dei doveri connessi alla carica rivestita, i pregiudizi patrimoniali diretti asseritamente subiti e il nesso eziologico tra gli addebiti formulati e i danni prospettati. [ Continua ]
8 Ottobre 2021

Paternità esclusiva di opera letteraria. Accertamento: della titolarità; del plagio camuffato; (del limite e del contenuto) della creatività

Perché sia ravvisabile il plagio è necessario non solo che l’idea che sta alla base di un’opera sia la medesima dell’opera che si assume plagiata, ma anche che uguale sia il modo concreto di realizzazione dell’opera stessa e che vi sia appropriazione degli elementi creativi dell’opera altrui, tanto da potersi cogliere una vera e propria trasposizione, nell’opera letteraria successiva, del nucleo individualizzante che la caratterizza come originale. Infatti, il carattere creativo non implica la novità assoluta, ma è espressione del modo personale dell’autore di rappresentare personaggi, vicende e luoghi. La verifica della sussistenza del plagio richiede un’analisi sia qualitativa sia quantitativa. Non è pertanto sufficiente che una o più idee o frasi presenti in un testo trovino collocazione nell’altro, ma deve potersi cogliere una vera e propria trasposizione di quel «nucleo individualizzante» che caratterizza l’opera come originale, frutto dell’attività creativa dell’autore, pertanto [ndr ad esempio] non rileva […] il “conteggio” delle pagine identiche ovvero delle “varianti” ed “aggiunte”, ma la valutazione dell’impatto di queste ultime sull’economia complessiva dell’opera”. Ne consegue che il plagio non è ravvisabile se l’opera successiva si caratterizzi, rispetto alla creazione precedente, per la presenza di un “riconoscibile apporto creativo, pur minimo, che può individuarsi anche solo nella mera forma soggettiva di espressione di un’idea. La creatività, come si è detto, non è infatti costituita dall'idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende e che, in quanto tale, rileva ai fini della protezione. [ Continua ]
20 Febbraio 2023

Concorrenza sleale parassitaria e competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa

In tema di competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. 27 giugno 2003, n, 168, nel testo vigente alla luce delle modifiche apportate dall’art. 2 del Decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, conv. nella legge 24 marzo 2012, n. 27, va affermata la competenza della sezione ordinaria del Tribunale, e va esclusa quella delle sezioni specializzate in materia di impresa nel caso di proposizione di una domanda di accertamento di una ipotesi di concorrenza sleale nella quale la fattispecie lesiva sia commessa senza la ipotizzata sussistenza, in tutto o in parte, di privative oppure di altri diritti di proprietà intellettuale, direttamente o indirettamente risultanti quali elementi costitutivi o relativi all’accertamento dell’illecito concorrenziale. [ Continua ]
8 Maggio 2022

Rapporti tra Enti associativi senza scopo di lucro e tutela del nome, del marchio e da condotta anticoncorrenziale

Per costante giurisprudenza, ai fini della applicabilità della disciplina della concorrenza sleale, la nozione di imprenditore deve essere interpretata in modo estensivo, così da ricomprendere anche associazioni ed enti che operino per scopi ideali e svolgano, senza fine di lucro, mediante un’organizzazione stabile, un’attività continuativa di natura obiettivamente economica. Ai fini della configurazione del rapporto di concorrenzialità mentre l’assenza di scopo di lucro può essere irrilevante "l’identità del settore si deve desumere dal fatto che entrambe [le associazioni] offrono servizi alla platea delle piccole e medie imprese e che il supporto all’internazionalizzazione non costituisce che una species del genus dei servizi alle imprese". La sussistenza del rapporto di concorrenzialità "va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l'attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, l'offerta dei medesimi prodotti e servizi alla medesima clientela". La riproduzione illecita della denominazione sociale e del marchio denominativo di un Ente viola l'art. 2564 c.c. e l'art. 22 c.p.i. L’appropriazione dei segni distintivi può determinare confusione fra l’attività ed i servizi [delle due imprese] che ove accertata consente di “ravvisare la concorrenza sleale confusoria di cui all’art. 2598 c.c. n. 1”. [ Continua ]
9 Febbraio 2023

Disegni e modelli industriali: il carattere individuale

Il requisito del carattere individuale può, invero, consistere (anche) in un pregio estetico ma, più in generale, è dato da qualunque particolarità della forma o delle linee o della struttura del prodotto che abbia l'attitudine di attrarre o "captare" l'attenzione del consumatore; è tale attitudine attrattiva che attribuisce valore aggiunto al prodotto, rendendolo concorrenziale sui mercati. Ciò consente, ai prodotti che ne sono dotati, di divenire concorrenziali non in un'ottica di prezzo (come accade per i prodotti provenienti da mercati non europei, ed in particolare asiatici) ma nell'ottica del design. L'aspetto o forma innovativa che rileva è quindi necessariamente quella che si coglie con un "colpo d'occhio", e lascia una "impressione generale", capace di attrarre nel mercato. L’esame del carattere “individuale” e “originale” non può avere come parametro di confronto un insieme di elementi o parti tratti da plurimi modelli precedenti, ma deve confrontarsi con una singola anteriorità, che presenti tutti gli aspetti rilevanti, sul piano della impressione generale . [Nella fattispecie, la combinazione di elementi significativi, sul piano dell'impressione generale non è riscontrabile in alcuna delle anteriorità, pertanto sussiste il carattere individuale del modello].   [ Continua ]