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22 Giugno 2023

Azione sociale di responsabilità e business judgment rule

La responsabilità di amministratori e sindaci di società di capitali nei confronti della società ha natura contrattuale. Pertanto, l’attore deve provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti. Peraltro, trattandosi di responsabilità colposa, l’amministratore può andare esente da responsabilità fornendo la prova positiva di essere immune da colpa per aver improntato la propria condotta a diligenza.

L’attività di amministratore compendia non soltanto un incarico gestionale, ma altresì l’obbligo diretto di osservare le norme di legge e di statuto. Di tal che, la responsabilità connessa al ruolo di amministratore per violazione degli obblighi legislativi e statutari sorge per effetto della nomina da parte dell’organo competente e della successiva accettazione di detta nomina da parte del soggetto designato, il quale assume l’impegno di adempiere a tutti gli obblighi connessi alla carica e di svolgere le funzioni gestorie con la diligenza professionale richiesta dalla natura dell’incarico. Pertanto, non esclude la responsabilità per mala gestio l’aver assunto l’incarico in forza di un rapporto di lavoro stipulato con la socia di maggioranza.

Con riferimento alla valutazione dell’attività dell’organo amministrativo, sussiste un generale principio di insindacabilità del merito delle scelte di gestione, che nondimeno trova un limite nella ragionevolezza delle stesse da compiersi secondo una valutazione ex ante – dunque, al momento della assunzione della decisone – secondo i parametri della diligenza del mandatario.

I limiti all’insindacabilità del merito gestorio

In nessun caso è dato sindacare il merito gestorio, ossia le singole scelte amministrative e gestionali, purché rette da criteri di ragionevolezza. L’obbligazione contratta dall’amministratore, come pure del liquidatore, è di natura professionale, trattandosi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori o ai liquidatori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.

24 Gennaio 2023

Responsabilità dell’amministratore per aggravamento del dissesto in ragione dell’illecita prosecuzione dell’attività

L’azione promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. compendia in sé tanto l’azione sociale di responsabilità, volta a reintegrare il patrimonio della società, quanto l’azione dei creditori sociali, volta ad assicurare il soddisfacimento delle ragioni di credito di questi. La prima ha natura contrattuale, atteso che l’amministratore assume verso la società l’obbligo di svolgere il proprio compito con l’ordinaria diligenza, mentre la seconda ha natura aquiliana. Ne consegue che, riguardo all’azione contrattuale, sarà onere del convenuto provare l’adempimento agli obblighi sullo stesso gravanti in ragione del ruolo ricoperto e la non imputabilità a sé dei fatti dannosi; invece, con riguardo all’azione aquiliana, la curatela ha l’onere di dimostrare la condotta dolosa o colposa posta in essere dal convenuto, il danno arrecato ai creditori mediante tale condotta ed il nesso di causalità tra la prima ed il secondo.

In nessun caso è dato sindacare il merito gestorio, ossia le singole scelte amministrative e gestionali, purché sorrette da criteri di ragionevolezza. Infatti, l’obbligazione contratta dall’amministratore, come pure del liquidatore, è di natura professionale, trattandosi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori o ai liquidatori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purchè questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.

19 Settembre 2022

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall.

L’azione esperita dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. ha una duplice natura: l’azione di responsabilità nei confronti di amministratori, liquidatori, sindaci e revisori esercitata a tutela della società ha natura contrattuale, mentre l’azione a tutela dei creditori sociali ha natura extracontrattuale. Tale duplice natura si riflette sull’onere della prova: infatti, con riferimento all’azione sociale, è onere dell’amministratore provare l’adempimento degli obblighi sullo stesso gravanti in ragione del ruolo ricoperto e la non imputabilità a sé dei fatti dannosi; invece, con riguardo all’azione aquiliana, la curatela ha l’onere di dimostrare la condotta dolosa o colposa posta in essere dall’amministratore, il danno arrecato ai creditori mediante tale condotta ed il nesso di causalità tra la prima e il secondo.

Al giudice non è consentito sindacare il merito gestorio; pertanto, non sono addebitabili agli amministratori o ai liquidatori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.

2 Agosto 2022

Sul sindacato delle scelte di gestione degli amministratori

L’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali di gestione non è assoluta. Sotto il profilo della relativa legittimità rileva, infatti, il modo con cui le scelte sono state assunte ed attuate, ossia il percorso decisionale che ha portato a preferire una determinata scelta, rispetto ad un’altra. Spetta al giudice ripercorrere il procedimento decisionale, onde verificare che la decisione degli amministratori sia stata coerente e congrua rispetto alle informazioni da questi raccolte e valutare l’eventuale violazione del dovere di diligenza in relazione ai normali criteri che dovrebbero ispirare l’operatore economico, ossia: liceità, razionalità, congruità, attenzione.

Sotto il profilo della ragionevolezza della scelta e della prevedibilità dei risultati, gli amministratori devono poi ritenersi responsabili nei confronti della società quando le decisioni assunte non siano in alcun modo idonee a realizzare l’interesse della società, in quanto avventate o irrazionali, tali da permettere agli amministratori di prevedere l’erroneità dell’operazione compiuta.

In conclusione, gli amministratori andranno esenti da responsabilità nel caso in cui provino di aver in buona fede raggiunto una decisione adeguatamente informata, ragionevole e in assenza di un interesse in conflitto con quello della società e di aver seguito le cautele e svolto le verifiche che si imponevano nel singolo caso.

Insindacabilità del merito gestorio e presupposti per la responsabilità degli amministratori

Alla luce del principio di insindacabilità del merito gestorio non ogni atto dannoso per il patrimonio sociale è idoneo a fondare la responsabilità dell’amministratore che lo abbia compiuto e, d’altra parte, non tutte le violazioni di obblighi derivanti dalla carica comportano necessariamente una lesione del patrimonio sociale. Di conseguenza, danno luogo a responsabilità risarcitoria solo i comportamenti illeciti che abbiano causato un danno al patrimonio sociale rendendolo incapiente, purché tale danno sia legato da un nesso eziologico ai suddetti illeciti.

11 Aprile 2022

Il limite alla sindacabilità delle scelte gestorie dell’amministratore di s.r.l.

L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità deve essere deliberato, anche nelle società a responsabilità limitata, dall’assemblea dei soci, ai sensi dell’art. 2487 c.c. in relazione all’art. 2393, co. 1, c.c. nel testo antecedente l’entrata in vigore del d. lgs., 17 gennaio 2003, n.3; la mancanza di tale presupposto, incidente sulla legittimazione processuale del rappresentante della società, può anche essere rilevata d’ufficio dal giudice. L’autorizzazione assembleare, dunque, si pone come requisito necessario per attribuire al legale rappresentante della società la legittimazione processuale e la volontà dei soci deve necessariamente essere espressa mediante una deliberazione da assumersi nell’assemblea in sede ordinaria (art. 2364, co. 1, n. 4, c.c.), non essendo ammesse forme equipollenti. Si ritiene che l’autorizzazione assembleare sia necessaria anche nelle società a responsabilità limitata in forza dell’applicabilità analogica dell’art. 2393 c.c. anche a questo tipo sociale.

La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società deve allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri e provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestatigli, l’osservanza dei doveri previsti dall’art. 2392 c.c. Per quanto riguarda il nesso di causalità, deve ritenersi che un evento sia da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non), nonché (in virtù del criterio della c.d. causalità adeguata) dando rilievo, all’interno della serie causale, solo a quegli eventi che non appaiono, ad una valutazione ex ante, del tutto inverosimili.

All’amministratore di una società di capitali non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che valutazioni di tal sorta ineriscono alla discrezionalità imprenditoriale e ricadono nell’ambito di applicazione della c.d. business judgment rule, potendo essere al più fatte valere come giusta causa della revoca dell’amministratore e non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.

Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, pur presentando queste profili di rilevante alea economica.

È necessario che il giudizio dell’organo giudicante si limiti alla sola diligenza mostrata nell’apprezzamento preventivo e prudenziale dei margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere. Ne deriva che rileveranno, ai fini del riconoscimento dell’inadempimento all’obbligo di diligenza ex art. 1176, co. 2, c.c. da cui discende responsabilità contrattuale, unicamente le condotte omissive delle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo operata in quelle circostanze e con quelle modalità.

Nella delimitazione del perimetro applicativo della c.d. business judgment rule occorre riferirsi ad alcune regole fondamentali riguardanti le facoltà decisionali degli stessi amministratori nella gestione della società. L’amministratore, difatti, è tenuto ad agire in modo informato e a operare con la cautela e la diligenza da lui esigibile ex art. 2392 c.c., deve decidere nei limiti di legge e operando non in conflitto di interessi.

Non può, tuttavia, affermarsi l’assoluta insindacabilità delle scelte di gestione dell’organo amministrativo, in quanto sussistono due ordini di limiti all’operatività della business judgment rule. Innanzitutto, la scelta di gestione è insindacabile ove legittimamente compiuta e, inoltre, essa non deve essere irrazionale. Per quanto concerne il primo limite all’applicazione del principio, è necessario operare un controllo sul processo decisionale che ha portato l’amministratore a compiere una determinata scelta. Relativamente al secondo limite, è necessario che la scelta sia definita come razionale e non irragionevole; ciò implica non solo che l’amministratore abbia posto in essere la diligenza esigibile in relazione al tipo di scelta e con le cautele, verifiche e informazioni necessarie, ma che sia ulteriormente necessario che queste abbiano condotto l’amministratore ad una scelta razionale e meditata.

7 Aprile 2022

Limiti del sindacato nell’impugnazione della delibera assembleare

Nel giudizio avente ad oggetto l’impugnazione della delibera con la quale l’assemblea straordinaria degli azionisti ha deciso un aumento di capitale sociale a pagamento, il sindacato del Tribunale non può, neppure in caso di paventato abuso, estendersi al merito gestorio.

13 Gennaio 2022

Clausola compromissoria espunta dallo statuto. Sindacato sull’omissione di specifiche cautele nel giudizio sulla diligenza dell’amministratore

La clausola compromissoria ha natura processuale, cosicché trova applicazione l’art. 5 c.p.c., in forza del quale occorre aver riguardo, ai fini della determinazione della competenza, alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della proposizione della domanda. Ove una clausola compromissoria sia stata espunta dallo statuto sociale prima della proposizione della domanda giudiziale, deve essere affermata la competenza del giudice ordinario in ordine alle controversie che – in base alla suddetta clausola – sarebbero state devolute alla cognizione degli arbitri.

La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società (o il curatore, nel caso in cui l’azione sia proposta ex art. 146 L. Fall.,) deve allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri e provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestati, l’osservanza dei doveri di legge e statutari previsti dagli artt. 2392, 2476 c.c.

All’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, in quanto una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale; dunque, il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, fatta salva la possibilità di sindacare l’omissione di specifiche cautele normalmente richieste per scelte di quel tipo.

28 Settembre 2021

Business Judgment Rule: ambito applicativo ed estensione

Nei giudizi aventi a oggetto l’accertamento della responsabilità degli amministratori verso la società ex art. 2392 c.c. l’onere probatorio e i limiti di intervento del potere giudiziario sono regolati dai seguenti principi.

Quanto all’onere probatorio, spetta a parte attrice allegare le condotte poste in essere dall’amministratore e produttive del danno quale espressione di violazione delle regole di diligenza e lealtà gravanti sul medesimo amministratore.

Quanto al limite di intervento del potere giudiziario, trova applicazione la business judgment rule secondo cui sono insindacabili le scelte gestorie degli amministratori, dovendo il giudice adito verificare e giudicare la sola diligenza adottata dall’amministratore nel valutare preventivamente i margini di rischio connessi alla scelta da intraprendere, sul presupposto necessario, quindi, che esista in capo all’amministratore una facoltà di scelta su almeno due opzioni lecite percorribili.