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Invalidità della delibera di aumento di capitale per violazione del diritto di opzione

La delibera con la quale, a seguito di riduzione integrale del capitale sociale per perdite, si decida l’azzeramento e il contemporaneo aumento del capitale sociale, consentendone la sottoscrizione immediata e per intero a uno solo dei soci, presente all’assemblea, in tanto è valida in quanto venga contestualmente assegnato ai soci che ne abbiano diritto (soci assenti all’assemblea o soci presenti ma impossibilitati ad una sottoscrizione immediata) il termine di trenta giorni, pari al periodo minimo previsto dall’art. 2481 bis, co. 2, c.c., per l’esercizio del diritto di opzione, fungente da condizione risolutiva dell’acquisto delle partecipazioni sottoscritte dal socio in misura eccedente a quella di propria spettanza. Altrimenti, la delibera sociale così assunta si porrebbe in netto contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 2481 bis, co. 2, c.c. nella parte in cui prevede che la decisione di aumento di capitale debba assegnare un termine di almeno trenta giorni ai soci per esercitare il diritto di sottoscrizione, posto che l’esercizio postumo del diritto di opzione opera come condizione risolutiva e rimuove pro quota e retroattivamente gli effetti dell’originaria sottoscrizione immediata e per intero del socio presente.

Se è vero che la qualità di socio deve sussistere, pena la carenza di interesse, dall’inizio dell’impugnazione fino alla decisione della causa, è anche vero che, qualora dalla decisione dipenda la permanenza dell’attore nella società, l’interesse ad agire sussiste in ogni caso, proprio perché dalla decisione dipende la qualità di socio.

11 Novembre 2020

Irrilevanza dei motivi dei soci con riferimento ad approvazione di delibera assembleare

L’impugnazione proposta avverso delibera assembleare avente oggetto asseritamente illecito, potendo essere proposta da chiunque vi abbia interesse per espressa previsione dell’art. 2479 ter c.c., può essere proposta anche da colui che non sia socio. La nullità prevista da tale norma è, tuttavia, correlata alla illiceità e impossibilità dell’oggetto stesso della delibera, non rilevando, invece, i motivi che hanno condotto i soci a deliberare in tal senso. (Nel caso di specie l’attore sosteneva che la delibera di aumento di capitale avesse come fine ultimo quello di consentire, nel contesto di un appalto pubblico, l’ingresso nella società appaltatrice a soggetto riconducibile al committente, ciò in aperta violazione della normativa applicabile a tale specifica materia.)

18 Febbraio 2020

Illegittimità della delibera di aumento di capitale che obbliga il socio al conferimento in natura

È illegittima la delibera assembleare che, nel quadro di un’operazione di aumento di capitale scindibile, preveda in capo a un socio l’obbligo di sottoscrizione mediante conferimento in natura e, in mancanza di esercizio di tale diritto d’opzione, la possibilità per gli altri soci di esercitare la prelazione sull’inoptato. In tal caso, infatti, il socio verrebbe posto di fronte all’alternativa se perdere la proprietà del bene e mantenere intatta la propria partecipazione o perdere (o vedersi diluita) la propria partecipazione, mantenendo la proprietà del bene.

L’illegittimità della delibera che prevede una tale operazione non verrebbe inficiata da eventuali patti parasociali, dato che essi riguardano i rapporti tra soci e non possono, quindi, determinare il comportamento di questi ultimi verso la società.

8 Agosto 2019

Inammissibilità, per mancanza di sussidiarietà, di un ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. volto a ottenere la sospensione degli effetti di una delibera di s.r.l. di aumento di capitale

Nelle società di capitali, la sospensione degli effetti di deliberazioni degli organi sociali, quand’anche incidenti sul mantenimento della posizione sociale di uno o più soci, può essere richiesta, a norma dell’art. 2378, co. 4, c.c. (richiamato, per le s.r.l., dall’art. 2479-ter, c.c.), soltanto con ricorso depositato contestualmente alla proposizione di un’azione di annullamento o nullità della relativa deliberazione, con la conseguenza che risulta preclusa al socio la possibilità di ottenere la medesima tutela mediante l’esperimento del rimedio residuale e “atipico” di cui all’art. 700 c.p.c. [ LEGGI TUTTO ]

8 Maggio 2019

Rinuncia al diritto di opzione relativo ad aumento di capitale e liquidazione della partecipazione sociale: interpretazione degli accordi tra soci

L’accordo fra soci che abbia ad oggetto la rinuncia al diritto di opzione contro il pagamento di un prezzo ha pacificamente natura negoziale e pertanto il giudice deve attenersi ai canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. nell’interpretare detto accordo al fine di stabilire se la causa del pagamento del prezzo sia da ravvisarsi nella rinuncia al diritto di opzione e non alla liquidazione della quota in esito all’esercizio del diritto di recesso (come l’intitolazione del contratto suggeriva).

17 Aprile 2019

Azione individuale del socio ex art. 2395 c.c. e relativo onere probatorio

L’azione individuale spettante ai soci o ai terzi per il risarcimento dei danni ad essi derivati per effetto di atti dolosi o colposi degli amministratori rientra nello schema della responsabilità aquiliana e presuppone che i danni stessi non siano solo il riflesso di quelli arrecati eventualmente al patrimonio sociale, ma siano stati direttamente cagionati ai soci o terzi, come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori medesimi; tale azione individuale, pertanto, è rimedio utilmente esperibile solo quando la violazione del diritto individuale del socio o del terzo sia in rapporto causale diretto con l’azione degli amministratori. La riconducibilità della responsabilità ex art. 2395 c.c. allo schema della responsabilità aquiliana comporta che è sul socio che agisce che grava l’onere di allegare in maniera specifica e di provare a) la addebitabilità, agli amministratori, di omissioni e condotte in violazione degli obblighi specifici e dei doveri connessi alla carica rivestita; b) i pregiudizi patrimoniali diretti asseritamente subiti e, non ultimo, c) il nesso eziologico tra gli addebiti formulati ed i danni prospettati.

12 Giugno 2017

Cessazione della materia del contendere e statuizione sulle spese processuali

La cessazione della materia del contendere costituisce una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale e contenuta in una pronuncia dichiarativa, cui il giudice può e deve addivenire, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, allorquando [ LEGGI TUTTO ]

23 Maggio 2017

Sottoscrizione dell’aumento di capitale di una società controllata da una società pubblica a seguito di gara e danno conseguente a carenze informative sulle reali condizioni della società emittente

Il giudice ordinario ha giurisdizione in relazione a un’azione promossa a titolo di responsabilità precontrattuale, o comunque aquiliana, dal socio privato che, dopo aver sottoscritto a seguito di regolare procedura ad evidenza pubblica [ LEGGI TUTTO ]

31 Marzo 2017

Termine di impugnazione delle delibere assembleari e abuso di maggioranza

Al termine di 90 giorni previsto dalla legge per l’impugnazione delle delibere assembleari si applicano la sospensione durante il periodo feriale, nonché le disposizioni di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 155 c.p.c.: tale termine assume natura (anche) processuale, dal momento che l’impugnazione dev’essere necessariamente proposta in via giudiziale.

Per la medesima ragione, al termine di impugnazione si applica altresì il principio di scissione degli effetti della notificazione (sancito da Cass., Sezioni Unite, n. 24822 del 9 dicembre 2015): ai fini dell’impedimento della decadenza, è dunque sufficiente che l’atto introduttivo del giudizio sia stato consegnato all’ufficiale giudiziario o all’ufficio postale entro il termine di 90 giorni, a nulla rilevando che la notificazione, nei confronti del destinatario, si sia perfezionata successivamente.

Il socio che deduce l’invalidità di una delibera assembleare per abuso di maggioranza deve provare che la delibera fosse stata fraudolentemente e arbitrariamente preordinata, da parte del socio di maggioranza, al perseguimento di un proprio interesse personale, antitetico rispetto a quello sociale ovvero, in alternativa, alla lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli.

La mera condizione di inoperatività della società non è di per sé sufficiente a far ritenere abusiva una delibera di aumento di capitale contestuale alla riduzione per perdite, ben potendo i soci decidere di “riattivare” la società, immettendo le risorse necessarie per il rilancio dell’attività imprenditoriale.