hai cercato per tag: indebita-prosecuzione-attivita-sociale - 13 risultati
27 Febbraio 2023

Responsabilità degli amministratori per inadempimento delle obbligazioni fiscali

L’assenza di un provvedimento giudiziale di accertamento definitivo del debito tributario non esclude la necessità dell’appostamento di un fondo rischi: l’inadempimento delle obbligazioni fiscali verificatosi nel corso di più anni e la mancata impugnazione di alcun avviso bonario o cartella esattoriale rende opportuna la costituzione di un fondo per le sanzioni dovute ai sensi del principio OIC 31 e del terzo comma dell’art. 2424 bis c.c. che si riferisce a debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile.

23 Febbraio 2023

Azione di responsabilità esercitata dal curatore: natura, presupposti, onere probatorio e danno risarcibile

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale, in quanto trova la propria fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che questa ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori ed i sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. Più nello specifico, spetta all’attore l’onere dell’allegazione e della prova, sia pure mediante presunzioni, dell’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale e della riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico. In ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente; in difetto di tale allegazione e prova, la domanda risarcitoria mancherebbe, infatti, di oggetto.

In caso di erosione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, gli amministratori, ex art. 2486 c.c., conservano il potere di gestire la società ai fini del perseguimento delle sole finalità di conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale. Il divieto di intraprendere nuove operazioni sorge per il solo verificarsi della causa di scioglimento, anche prima ed indipendentemente dal fatto che l’assemblea ne prenda o ne abbia preso atto. A tale riguardo, vanno qualificate come nuove operazioni tutti quei rapporti giuridici che, svincolati dalle necessità inerenti alle liquidazioni delle attività sociali – in quanto il patrimonio sociale diviene finalizzato alla garanzia dei creditori – siano costituiti dagli amministratori per il conseguimento di un utile sociale e per finalità diverse da quelle di liquidazione della società.

Eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono certamente rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite, ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge; ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi si sono occultate o che, grazie a quei falsi, sono state consentite.

La distrazione consiste in una condotta di tipo commissivo volta ad utilizzare beni del patrimonio sociale per finalità diverse da quelle inerenti alla realizzazione dell’oggetto sociale o comunque al fine di avvantaggiare soggetti diversi dalla società. Quanto all’onere della prova, a fronte dello specifico addebito di distrazione da parte dell’attore, l’onere di dimostrare che le somme siano state destinate per fini sociali non può che ricadere sul convenuto, quale eccezione specifica ovvero prova dell’adempimento della propria obbligazione.

In caso di mancato assolvimento degli obblighi fiscali e previdenziali da parte dell’amministratore, il danno da questi risarcibile deve essere commisurato alle sanzioni e interessi connessi all’omesso o tardivo pagamento delle imposte e dei contributi e non anche all’ammontare di imposte e contributi stessi, in quanto il relativo obbligo di pagamento sorge non già in conseguenza del comportamento dell’amministratore, ma come diretta conseguenza dello svolgimento dell’attività sociale.

24 Gennaio 2023

Responsabilità dell’amministratore per aggravamento del dissesto in ragione dell’illecita prosecuzione dell’attività

L’azione promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. compendia in sé tanto l’azione sociale di responsabilità, volta a reintegrare il patrimonio della società, quanto l’azione dei creditori sociali, volta ad assicurare il soddisfacimento delle ragioni di credito di questi. La prima ha natura contrattuale, atteso che l’amministratore assume verso la società l’obbligo di svolgere il proprio compito con l’ordinaria diligenza, mentre la seconda ha natura aquiliana. Ne consegue che, riguardo all’azione contrattuale, sarà onere del convenuto provare l’adempimento agli obblighi sullo stesso gravanti in ragione del ruolo ricoperto e la non imputabilità a sé dei fatti dannosi; invece, con riguardo all’azione aquiliana, la curatela ha l’onere di dimostrare la condotta dolosa o colposa posta in essere dal convenuto, il danno arrecato ai creditori mediante tale condotta ed il nesso di causalità tra la prima ed il secondo.

In nessun caso è dato sindacare il merito gestorio, ossia le singole scelte amministrative e gestionali, purché sorrette da criteri di ragionevolezza. Infatti, l’obbligazione contratta dall’amministratore, come pure del liquidatore, è di natura professionale, trattandosi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori o ai liquidatori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purchè questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.

16 Dicembre 2022

Il criterio di liquidazione del danno della differenza dei netti patrimoniali

Il criterio della c.d. differenza dei netti patrimoniali è stato codificato nella più recente riforma dell’art. 2486 c.c. quale regola presuntiva, ma esso era già conosciuto e ritenuto adeguato in giurisprudenza per misurare il danno derivante dalla mancata conversione dell’attività a mera gestione conservativa, pur a seguito di perdite rilevanti del capitale sociale, in quelle situazioni in cui la prosecuzione dell’attività non sia avvenuta mediante singoli e bene individuabili atti, ma nella miriade delle operazioni caratteristiche della continuità aziendale, eventualmente anche di effetto utile e magari anche recuperatorie di valori. Il criterio permette di percepire e paragonare l’effetto complessivo della gestione indebita, in quanto non meramente conservativa, alla fine del periodo di osservazione, quando tale gestione indebita cessa, rispetto al momento in cui essa avrebbe dovuto cessare, tenendo conto anche dei costi che sarebbero comunque gravati sulla società durante un congruo periodo di liquidazione.

Il termine prescrizionale dell’azione sociale non decorre se non dalla cessazione del rapporto di amministrazione, ai sensi degli artt. 2941, n. 7, e 2393 c.c. L’azione di cui all’art. 2394 c.c. vede, invece, decorrere la prescrizione dalla data in cui si rende palese al ceto creditorio la insufficienza patrimoniale della società.

9 Novembre 2022

Responsabilità dei precedenti amministratori di una cooperativa edilizia in l.c.a. per indebita prosecuzione dell’attività

A fronte di una contabilità inattendibile non può utilizzarsi ai fini della quantificazione del danno il criterio prevalente della c.d. perdita incrementale, bensì va applicato quello residuale della differenza tra attivo e passivo fallimentare. Infatti, quando la mancanza di scritture contabili o l’inattendibilità delle stesse, addebitabile all’amministratore, impedisca di ricostruire con l’analiticità necessaria quale sia stato l’effettivo andamento dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento, il giudice può utilizzare il criterio fondato sulla differenza tra attivo e passivo patrimoniale a supporto della liquidazione equitativa del danno risarcibile.

7 Ottobre 2022

Assoggettamento a fallimento di ente associativo; responsabilità dell’ente associativo nazionale per i danni causati alla struttura regionale

Ai fini dell’assoggettamento alla procedura fallimentare, lo status di imprenditore commerciale deve essere attribuito anche agli enti di tipo associativo che in concreto svolgano, esclusivamente o prevalentemente, attività di impresa commerciale, a nulla rilevando in contrario l’art. 111 del t.u. delle imposte dirette, d.P.R. n. 917 del 1986, la cui portata è limitata alla previsione di esenzioni fiscali ed alla quale non può attribuirsi, avuto riguardo alla specificità delle ragioni di politica fiscale che la ispirano, una valenza generale nell’ambito civilistico. Dall’assoggettabilità delle associazioni alla procedura fallimentare non può che discendere in caso di fallimento l’applicazione dell’art. 43 l. fall., che legittima il curatore ad esperire o proseguire le azioni che trova nel patrimonio della fallita e, con esse, l’azione di responsabilità che, allorquando l’ente è in bonis, può essere esercitata ai sensi dell’art. 22 c.c. dai nuovi amministratori o dai liquidatori, previa delibera dell’assemblea.

1 Giugno 2022

Azione di responsabilità verso gli amministratori esercitata dal fallimento e riparto dell’onere della prova

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e, dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, colui che agisce in giudizio deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento. In applicazione di tale principio nelle azioni di responsabilità ex art. 146 l.fall. spetta al fallimento allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri degli amministratori e dei sindaci posti dalla legge o dallo statuto, e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dei convenuti contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.

In caso di azione di responsabilità fondata sul mancato versamento di oneri fiscali e contributivi obbligatori da parte dell’amministratore, il danno coincide con il maggior debito maturato a causa del ritardato o omesso pagamento di contributi, in termini di sanzioni, oneri di riscossione e interessi; non anche con l’ammontare dei contributi evasi. Sanzioni, oneri e interessi che non avrebbero gravato sulla società se l’amministratore avesse provveduto al tempestivo pagamento, ovvero, in caso di impossibilità per carenza di liquidità, avesse attivato i rimedi previsti dalla legge in caso di crisi o di insolvenza dell’impresa.

Il pagamento del credito postergato ex art. 2467 c.c. costituisce una violazione dei doveri inerenti alla carica di amministratore. Nondimeno, tale pagamento, risolvendosi in un pagamento di un credito inesigibile, da un lato, non perde il suo effetto estintivo del debito sociale e, dall’altro, finisce per porsi sullo stesso piano di un pagamento preferenziale, al quale del resto è accomunato: dall’essergli annesso un effetto estintivo del debito; dall’essere compiuto con lesione della garanzia di cui i creditori godono sul patrimonio della società debitrice e dunque, infine, della par condicio creditorum.

In applicazione dei principi del riparto dell’onere della prova nelle azioni di responsabilità, a fronte dell’allegazione da parte del fallimento dell’inadempimento dell’amministratore consistente negli atti distrattivi del patrimonio sociale, è preciso onere dell’amministratore convenuto fornire la prova del fatto estintivo dell’obbligazione, ovvero del proprio esatto adempimento, consistente nella allegazione delle ragioni, coerenti con gli scopi sociali, a supporto dei pagamenti specificatamente contestati.

30 Aprile 2022

Inadempimento degli obblighi conservativi ex art. 2486 c.c. e quantificazione del danno

Ai sensi dell’art. 2489 c.c., il liquidatore ha il potere/dovere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società e deve adempiere i suoi doveri con la professionalità e diligenza richieste dalla natura dell’incarico, rispondendo per gli eventuali danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri secondo le norme in tema di responsabilità degli amministratori.

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, spetta al fallimento allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri degli amministratori (e dei sindaci) posti dalla legge o dallo statuto e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dei convenuti contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.

23 Novembre 2020

Azione del curatore fallimentare e obbligazione risarcitoria solidale: presupposti e onere della prova

L’irregolare gestione della società e l’alterazione dei dati di bilancio al fine di occultare le passività e la perdita del capitale sociale non ammettono limitazioni soggettive, anche in termini cronologici, in ordine alla responsabilità, essendo amministratori e sindaci chiamati a rispondere in solido del debito.

Il termine di prescrizione dell’azione esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. – cumulativa delle fattispecie dell’azione sociale e dei creditori – è in ogni caso quinquennale; esso decorre, quanto all’azione sociale di responsabilità, dal giorno in cui sono percepibili i fatti dannosi posti in essere dagli amministratori ed il danno conseguente (rimanendo, peraltro sospeso, a norma dell’art. 2941, n. 7, c.c., fino alla cessazione dell’amministratore dalla carica) e, quanto all’azione dei creditori sociali, dal giorno in cui si è manifestata, divenendo concretamente conoscibile, l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i loro crediti (cfr. Cass. n. 24715/2015). È stato altresì precisato che tale situazione di insufficienza patrimoniale è rappresentata dall’eccedenza delle passività sulle attività e non corrisponde allo stato di insolvenza (inteso quale sopravvenuta impossibilità, per il debitore, di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni), trattandosi di uno squilibrio patrimoniale più grave e definitivo, che, nelle varietà delle fattispecie concrete, ben può manifestarsi in data anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento. Tuttavia, in ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore e/o sul sindaco (che eccepisca la prescrizione dell’azione di responsabilità) la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di insufficienza patrimoniale, “con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza” (così, di recente, Cass. n. 16505/2019).

L’onere della prova risiede in capo all’attore. Il quale, anzitutto, non può imputare agli amministratori di non avere posto in liquidazione la società per una passività apparente, rivelatasi poi inesistente. In secondo luogo, in ordine al quantum risarcitorio, è necessario indicare specificamente la misura dei debiti conseguenti all’illecito dei convenuti, pena il rigetto della domanda; l’attore, peraltro, non può limitarsi a quantificare il danno in forza dell’applicazione di sole formule matematiche, le quali risultino sganciate da elementi obiettivi e da dati certi, anche quando questi siano verosimili.

13 Novembre 2020

Irregolarità nella tenuta delle scritture contabili da parte degli amministratori e criteri per la quantificazione del danno

Il termine di prescrizione quinquennale (art. 2949, co. 2, c.c.) – stante il disposto dell’art. 2935 c.c. che è norma di carattere generale, secondo la quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere – inizia a decorrere non già al momento in cui l’insufficienza patrimoniale si verifica, ma a quello in cui si manifesta, diventando oggettivamente conoscibile da parte dei creditori alla stregua di fatti sintomatici di assoluta evidenza come la chiusura della sede, la pubblicazione di bilanci fortemente passivi, l’assenza di cespiti suscettibili di espropriazione forzata.

L’irregolare o disordinata tenuta delle scritture contabili integra una violazione dei doveri dell’amministratore, idonea a fondare una responsabilità risarcitoria in capo agli amministratori, ma non necessariamente foriera di danno per la società, in quanto quest’ultimo è soltanto potenziale. Eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite, ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge, ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi si sono occultate o che grazie a quei falsi sono state consentite. Tali condotte dunque devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.

Con riferimento alla determinazione del danno, questo non deve intendersi come quello risultante dalla differenza tra attivo e passivo fallimentare, a meno che non si dimostri che il dissesto economico della società e il conseguente fallimento si siano verificati per fatto imputabile agli amministratori. Non è sufficiente, pertanto, ai fini della configurabilità della responsabilità degli amministratori, addurre che l’evento dannoso è pari al disavanzo fallimentare, bensì occorre dimostrare la specifica violazione dei doveri imposti dalla legge, nonché la correlazione tra tali violazioni e il pregiudizio arrecato alla società.

Il danno arrecato dagli amministratori responsabili di violazioni della legge e dello statuto deve essere debitamente provato e quantificato in relazione al concreto pregiudizio arrecato da ciascun atto di mala gestio. La sussistenza del danno può essere individuata in via presuntiva (ex art. 1226 c.c.) nella differenza fra attivo e passivo solo in caso di radicale impossibilità di ricostruire le vicende societarie per mancanza o assoluta inattendibilità delle scritture contabili, a condizione che sia allegato e dimostrato uno specifico inadempimento, imputabile all’amministratore, tale da determinare specifici effetti pregiudizievoli – c.d. “inadempimento qualificato” –, che non può consistere nell’omessa tenuta delle scritture contabili, se è vero che la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, non li determina.

L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c. – con conseguente possibilità per il curatore di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (artt. 2393, co. 4; 2941, n. 7; 2949; 2394, co. 2, c.c.) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c) ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.