Art. 1337 c.c.
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Qualificazione di una monografia quale opera derivata, collettiva, in comunione o indipendente
Per opera derivata s’intende quella in relazione alla quale autore è colui che provveda all’elaborazione creativa dell’opera preesistente. Il relativo onere probatorio è, ovviamente, posto a carico di chi intenda far valere i relativi diritti. Il risultato dell’elaborazione di un’opera esistente può essere oggetto di utilizzo (come la pubblicazione) da parte di terzi a condizione, però, che ricorra il preventivo consenso dell’autore dell’opera base. In altre parole, lo sfruttamento economico dell’opera derivata è sempre subordinato al veto dell’autore di quella di base.
Perchè sia integrata un’opera collettiva, occorre provare tra gli altri l’esistenza di un indice, uno schema editoriale, una precisa ripartizione dei lavori, un titolo.
L’opera in comunione ai sensi dell’art. 10 l.d.a. è tale se realizzata “insieme” da più autori (che non abbiano un ruolo di mera revisione di parti di testo da altri elaborate).
La realizzazione di un’opera indipendente richiede l’effettuazione di una serie di interventi così significativi e profondi da dare, conclusivamente, alla luce una vera e propria opera individuale. Tali non sono correzioni assolutamente minime, formali, stilistiche e, di certo, non sostanziali.
Trattative per la cessione di partecipazioni sociali e responsabilità precontrattuale
In tema di trattative finalizzate alla possibile cessione di partecipazioni sociali, affinché il recesso dalle trattative stesse sia considerato contrario al dovere di buona fede ex art. 1337 c.c. e, di conseguenza, idoneo a configurare un’ipotesi di responsabilità precontrattuale, occorre che le predette trattative siano pervenute ad uno stadio avanzato, vale a dire che si sia raggiunto un avvicinamento apprezzabile al buon esito delle medesime.
Orologi “Alviero Martini”: mancato rinnovo del contratto di licenza, responsabilità precontrattuale e risarcimento del danno parametrato alle royalties
In caso di mancato rinnovo del contratto di licenza, preceduto da trattative per la sua rinegoziazione, non è invocabile, da parte dell’ex licenziatario, la responsabilità precontrattuale del concedente; tale fattispecie sussiste infatti solo nel caso in cui l’affidamento sulla positiva conclusione del contratto sia ingenerato da una condotta contraria a correttezza e buona fede e non dalla mancata corrispondenza delle manifestate diverse condizioni contrattuali. Laddove l’ex licenziatario abbia commercializzato le giacenze dei prodotti nel periodo successivo alla vigenza del contratto a cavallo del sell off, senza il pagamento dei canoni di licenza, e non abbia rendicontato tali giacenze né abbia dimostrato la distruzione dei prodotti successivamente al periodo contrattuale di smaltimento, il parametro di riferimento per la liquidazione dei danni – che resta comunque equitativa – va commisurato alla percentuale delle royalties convenute dalle parti.
Azioni a tutela dell’amministratore delegato per la liquidazione del compenso
La domanda volta ad ottenere la liquidazione del compenso di amministratore delegato è soggetta al termine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 2949 c.c.; tale termine opera anche in relazione al diritto all’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento della società ex art. 2041 c.c., quando anch’esso inerisca e derivi da un rapporto societario.
Se è prevista un’azione tipica che il danneggiato avrebbe potuto esperire nei confronti dell’arricchito e che invece non ha tempestivamente esercitato, la domanda subordinata di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. è inammissibile ed improponibile, attesa la natura sussidiaria dell’azione ex art. 2042 c.c.
Mancata accettazione dell’oblato. Requisiti per la responsabilità precontrattuale
Quale espressione del principio di libertà negoziale, l’oblato è libero – purché non siano sorti obblighi nel corso della trattativa – di non accettare una proposta contrattuale, pur precedente nel tempo ed economicamente più vantaggiosa rispetto a quella diversa finalmente preferita, anche in base a considerazioni prescindenti da valutazioni di carattere economico.
Per configurarsi la responsabilità precontrattuale non è sufficiente che tra le parti siano in corso trattative, occorre altresì: che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte senza giustificato motivo dalla parte cui si addebita la responsabilità; che, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. Sono tutti elementi, questi, la cui verifica si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito.
Ambito della compressione del diritto di partecipazione agli utili nei confronti dell’acquirente di una S.r.l.
Deve essere esclusa qualsiasi malizia in relazione all’occultamento di fatturazioni e registrazioni concernente le vicende contrattuali della società le cui quote hanno formato oggetto di acquisizione, qualora l’acquirente abbia svolto attività di due diligence sull’intera contabilità della target.
In caso di attribuzione all’acquirente, all’interno di un accordo di cessione di quote di S.r.l., di ogni diritto di partecipazione agli utili della società target, la sottrazione di fondi (ancorché relativi all’esercizio successivo e dunque oggetto di fatturazione anticipata) di pertinenza della stessa ad opera del venditore non può essere considerata “appropriazione di utili” in danno del soggetto acquirente. Ciò nel caso in cui tale operazione consista in una vicenda gestoria – già contabilizzata in quanto antecedente alla compravendita e dunque conoscibile dall’acquirente – di destinazione di fondi sociali da parte del venditore per il pagamento di un debito sociale preesistente alla cessione. Tale vicenda non può infatti essere intesa quale compressione del diritto dell’acquirente all’utile prodotto dalla società target, dovendosi intendere per “utile” il risultato dell’esercizio e non già i flussi finanziari in entrata.
Abuso di posizione dominante: effetti sui contratti stipulati da operatori che svolgono attività’ di handling aeroportuale
Con riferimento alla materia delle tariffe aeroportuali, la giurisdizione del Giudice Amministrativo sussiste solo quando la causa ha ad oggetto la determinazione o rideterminazione di tali tariffe e non invece quando riguarda l’azione restitutoria e risarcitoria a seguito di abuso di posizione dominante.
Ai fini dell’applicazione delle tariffe regolamentate, ciò che rileva è la tipologia di attività svolta all’interno dello scalo di assistenza ai vettori ed alle merci, che deve rendere indispensabile la disponibilità di uffici operativi interni, a prescindere dalla circostanza che il soggetto sia o meno in possesso della certificazione emessa dall’ENAC.
Anche coloro che svolgono attività di spedizionieri in generale possono essere inclusi nell’ambito di applicazione del D. Lgs 18/99, se viene provato in giudizio che entro i confini dell’aeroporto l’unica attività svolta – fosse pure di importanza secondaria – rientra nel cd. handling.
Sotto il profilo probatorio nelle cause civili per danni successive agli accertamenti dell’Autorità (c.d. follow-on), la giurisprudenza di legittimità ha attribuito efficacia di prova “privilegiata” al provvedimento sanzionatorio emesso all’esito della tutela del public enforcement (v. Cass. n. 3640/09, seguita poi in senso conforme da Cass. n. 5941/11, Cass. n. 5942/11, Cass. n. 7039/12), con riguardo all’autorevolezza dell’organo da cui promanano e agli strumenti e alle modalità di indagine poste in atto dalla medesima Autorità. Tale peculiare efficacia probatoria (ora vincolante a seguito del recepimento della Direttiva n. 2014/104) è limitata ad alcuni aspetti della fattispecie sottoposta al sindacato dell’autorità giudiziaria, e in particolare all’accertamento della posizione rivestita sul mercato dalla società indagata ed alla sua posizione di dominanza, alla sussistenza del comportamento abusivo ed alla lesione “del mercato”. Tale valenza non si estende invece alla sussistenza dei danni, al nesso di causalità e alla quantificazione del risarcimento.
L’art. 1337 c.c. va interpretato quale clausola generale che impone ai contraenti di comportarsi in buona fede anche nella fase di formazione del contratto: la violazione di tale precetto è fonte di responsabilità, non solo nell’ipotesi di trattative interrotte ma, anche, quando il negozio sia stato concluso, ma con un assetto degli interessi in concreto pregiudizievoli per il contraente leale.
I soggetti che in virtù dell’illecito antitrust hanno subito prezzi abusivi hanno a disposizione mezzi di tutela di natura contrattuale oltre che quelli aquiliani.
L’imperatività della normativa antitrust – posta a presidio dei principi di rango costituzionale di cui ai già citati art. 41 e 2 della Costituzione – cagiona in caso di loro violazione la nullità delle clausole contrattuali illecite ex art. 1418 ovvero 1419 c.c.
Considerato che l’inefficacia della clausola abusiva non può andare a danno del soggetto che subisce l’abuso privandolo definitivamente dell’interesse a ricevere la prestazione, nel caso in cui il contraente in posizione dominante abusa della sua posizione di dominanza applicando canoni di sub-concessione molto più elevati rispetto a quelli imposti per legge soccorre in proposito il meccanismo della tecnica sostitutiva ex art. 1339 c.c., che consente la conservazione del contratto ed al contempo il suo riequilibrio a favore del contraente pregiudicato.
Carenza dei presupposti per la risoluzione e annullamento del contratto di cessione di quote in caso di violazione delle clausole cd. di “Representations & Warranties”
E’ improponibile la domanda di risoluzione del preliminare (e di conseguenza del contratto definitivo) fondata sul grave inadempimento identificato nella violazione delle clausole di “dichiarazione e garanzia” per falsa dichiarazione-sopravvenienza di debito e falsa dichiarazione in ordine alla situazione di insolvenza della società, nel caso in cui il contratto preliminare preveda il rimedio indennitario in luogo della risoluzione del medesimo. [ LEGGI TUTTO ]
Divergenza di clausole tra fase di trattativa e conclusione del contratto: il limite del principio di buona fede
Il principio di buona fede contrattuale non opera con riferimento a profili pregressi – su cui le parti si siano concentrate in fase di trattative – che non siano stati poi riprodotti nell’accordo raggiunto o che siano stati disciplinati diversamente all’esito delle trattative stesse. La più recente lettura “espansiva” di detto principio ammette l’applicazione di cui all’art 1337 c.c. anche nel caso di avvenuta conclusione del contratto ed eleva a clausola generale dell’ordinamento il principio di buona fede quale espressione del principio solidaristico di cui all’art. 2 Costituzione. Tuttavia, nonostante tale apertura, l’ordinamento non ammette che la buona fede apporti deroghe al consenso delle parti, introducendo nel contratto elementi estranei che non sono stati espressamente disciplinati.
Responsabilità precontrattuale per ingiustificato recesso da trattative per la compravendita di quota sociale
Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto (Cass. n. 7545/2016). [ LEGGI TUTTO ]