L’impatto della pandemia sul contratto preliminare di cessione di quote: l’integrazione del contratto, la presupposizione e l’eccessiva onerosità sopravvenuta
La pandemia può ritenersi costituire un evento imprevedibile e ingovernabile che, andando a cadere sulla esecuzione di contratti di durata o a esecuzione differita, anche quando non giunga a rendere in concreto definitivamente impossibile una prestazione ancora da eseguire, può comunque rovesciare il terreno fattuale e l’assetto giuridico-economico su cui si è eretta la pattuizione negoziale. Lo strumento risolutorio di cui all’art. 1467 c.c. risulta inadeguato a dare risposta alle esigenze delle parti e occorre, pertanto, indagare sulla possibilità di intervenire sul contenuto del contratto, che, salvi i casi previsti dalla legge o dalle parti stesse, le vincola irrevocabilmente (art. 1372 c.c.).
Va individuo nel disposto dell’art. 1374 c.c. lo strumento utile a permettere la conservazione del contratto, a condizioni mutate, rispettando il bilanciamento degli interessi delle parti in linea con i loro originari intenti, ma alla luce delle mutate condizioni. In particolare, poiché ex art. 1374 c.c. il contratto obbliga le parti, oltre che a quanto espressamente previsto nel contratto, anche alle prestazioni che sono dovute secondo buona fede, fra queste deve includersi anche il prestarsi, ove l’equilibrio del sinallagma originariamente trasfuso nel contratto sia aggredito e stravolto dalla pandemia o dalle sue conseguenze, ad una rinegoziazione effettiva delle clausole, la quale possa portare ad una congrua modificazione del contratto: sì che la parte che si sottragga ad una tale rinegoziazione deve dirsi inadempiente. Ciò non comporta comunque l’obbligo di perfezionare una modificazione del contratto, ma solo quello di tentare in buona fede di riequilibrarlo in una onesta trattativa. Il giudice, qualora gli venisse richiesto ex art. 2932 c.c., può intervenire a determinare il riequilibrio del contratto, ma solo in limiti ben determinati. Il giudice, infatti, non è mai chiamato ad esercitare una supervisione o correzione della volontà delle parti che hanno stipulato il contratto, ma può giungere alla ridefinizione del sinallagma solo ancorandosi al regolamento negoziale stesso e avendo come fondamento centrale della sua valutazione il contenuto della trattativa che le parti avevano condotto prima che il processo di rinegoziazione si interrompesse.
In materia di contratti, si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto – comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere certo e obiettivo – sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo tale da assurgere a fondamento, pur in mancanza di un espresso riferimento, dell’esistenza ed efficacia del contratto. La materia della presupposizione attiene dunque in primo luogo alla esistenza ed efficacia del contratto, anche se non è escluso che fatti presupposti comuni e obiettivi possano rilevare nella valutazione ex art. 1374 c.c. e, dunque, nella valutazione di inadempimento, quando il presupposto comune sia tale da chiarire l’ambito delle prestazioni dovute secondo il contratto.
Poiché il bene di cui si tratta è un bene il cui valore si stima non solo nel presente ma anche e soprattutto in prospettiva futura, la pretesa di ottenere la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta di un contratto preliminare di cessione di quote, che poggi sulla allegazione delle difficoltà incontrate dalla società bersaglio, richiede una allegazione che sia specifica e conduca alla prova che la società bersaglio versi, per effetti di fatti sopravvenuti e imprevedibili, non già in una situazione di contingente contrazione di fatturati, o altra difficoltà, ma in una situazione che prevedibilmente inibisca le proiezioni verso il futuro che erano formulabili quando l’accordo di acquisto fu concluso.
Risoluzione dell’accordo di coesistenza ed azione di contraffazione di un marchio utilizzato per prodotti di bellezza
La buona fede nella esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo tale da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte, nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico. Si ritiene, pertanto, che un compromesso negoziale fondato anche su particolari piccoli impone alle parti di uniformare i propri comportamenti a un livello molto elevato di correttezza, tale da evitare che anche in via indiretta si possano generare o anche solo avallare fraintendimenti ed equivoci. La violazione continuata e duratura delle disposizioni contrattuali, nonché del canone di lealtà costituisce inadempimento contrattuale di indubbia rilevanza e oggettiva gravità, tale, quindi, da giustificare l’accoglimento della domanda di risoluzione. Nei contratti a esecuzione continuata, in conformità della previsione di cui all’art. 1458 c.c., l’efficacia della pronuncia retroagisce al momento della litispendenza, con conseguente cessazione degli effetti contrattuali alla data della notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio.
Il caso Mediaset-Vivendi: condotta volta ad impedire l’avveramento di una condizione sospensiva, cui è subordinata l’esecuzione di un contratto, e conseguenze risarcitorie
In presenza di un contratto di trasferimento di partecipazioni societarie, la cui esecuzione sia subordinata alla condizione sospensiva del rilascio da parte delle Autorità preposte delle autorizzazioni necessarie all’attuazione dell’operazione secondo le disposizioni normative nazionali e sovranazionali, specialmente di carattere antitrust, costituisce inadempimento contrattuale la condotta della parte che consapevolmente non attui le obbligazioni assunte per favorire il rilascio, da parte della Commissione Europea, della dichiarazione di compatibilità dell’accordo col mercato comune. Il mancato avveramento di tale condizione sospensiva per effetto di siffatte condotte obbliga la parte inadempiente al risarcimento del danno. [ LEGGI TUTTO ]
Abuso di posizione dominante: effetti sui contratti stipulati da operatori che svolgono attività’ di handling aeroportuale
Con riferimento alla materia delle tariffe aeroportuali, la giurisdizione del Giudice Amministrativo sussiste solo quando la causa ha ad oggetto la determinazione o rideterminazione di tali tariffe e non invece quando riguarda l’azione restitutoria e risarcitoria a seguito di abuso di posizione dominante.
Ai fini dell’applicazione delle tariffe regolamentate, ciò che rileva è la tipologia di attività svolta all’interno dello scalo di assistenza ai vettori ed alle merci, che deve rendere indispensabile la disponibilità di uffici operativi interni, a prescindere dalla circostanza che il soggetto sia o meno in possesso della certificazione emessa dall’ENAC.
Anche coloro che svolgono attività di spedizionieri in generale possono essere inclusi nell’ambito di applicazione del D. Lgs 18/99, se viene provato in giudizio che entro i confini dell’aeroporto l’unica attività svolta – fosse pure di importanza secondaria – rientra nel cd. handling.
Sotto il profilo probatorio nelle cause civili per danni successive agli accertamenti dell’Autorità (c.d. follow-on), la giurisprudenza di legittimità ha attribuito efficacia di prova “privilegiata” al provvedimento sanzionatorio emesso all’esito della tutela del public enforcement (v. Cass. n. 3640/09, seguita poi in senso conforme da Cass. n. 5941/11, Cass. n. 5942/11, Cass. n. 7039/12), con riguardo all’autorevolezza dell’organo da cui promanano e agli strumenti e alle modalità di indagine poste in atto dalla medesima Autorità. Tale peculiare efficacia probatoria (ora vincolante a seguito del recepimento della Direttiva n. 2014/104) è limitata ad alcuni aspetti della fattispecie sottoposta al sindacato dell’autorità giudiziaria, e in particolare all’accertamento della posizione rivestita sul mercato dalla società indagata ed alla sua posizione di dominanza, alla sussistenza del comportamento abusivo ed alla lesione “del mercato”. Tale valenza non si estende invece alla sussistenza dei danni, al nesso di causalità e alla quantificazione del risarcimento.
L’art. 1337 c.c. va interpretato quale clausola generale che impone ai contraenti di comportarsi in buona fede anche nella fase di formazione del contratto: la violazione di tale precetto è fonte di responsabilità, non solo nell’ipotesi di trattative interrotte ma, anche, quando il negozio sia stato concluso, ma con un assetto degli interessi in concreto pregiudizievoli per il contraente leale.
I soggetti che in virtù dell’illecito antitrust hanno subito prezzi abusivi hanno a disposizione mezzi di tutela di natura contrattuale oltre che quelli aquiliani.
L’imperatività della normativa antitrust – posta a presidio dei principi di rango costituzionale di cui ai già citati art. 41 e 2 della Costituzione – cagiona in caso di loro violazione la nullità delle clausole contrattuali illecite ex art. 1418 ovvero 1419 c.c.
Considerato che l’inefficacia della clausola abusiva non può andare a danno del soggetto che subisce l’abuso privandolo definitivamente dell’interesse a ricevere la prestazione, nel caso in cui il contraente in posizione dominante abusa della sua posizione di dominanza applicando canoni di sub-concessione molto più elevati rispetto a quelli imposti per legge soccorre in proposito il meccanismo della tecnica sostitutiva ex art. 1339 c.c., che consente la conservazione del contratto ed al contempo il suo riequilibrio a favore del contraente pregiudicato.
Cessione di quote e mancanza di qualità essenziali
In tema di vendita di azioni (e quote) di società di capitali, la differenza tra l’effettiva consistenza del patrimonio sociale rispetto a quella considerata al momento della sottoscrizione del contratto di cessione, si traduce in una mancanza di qualità essenziali, qualora il prezzo era stato parametrato sul valore del patrimonio netto risultante dalle scritture contabili contenenti informazioni gravemente inesatte. In tali casi non assume rilievo il fatto che nel contratto di cessione non fosse stata prestata garanzia in ordine al valore del patrimonio sociale, in quanto a ricomprendere i beni sociali nell’oggetto del contratto è sufficiente che l’affidamento del cessionario nella sussistenza di una certa consistenza patrimoniale sia giustificato alla stregua del principio di buona fede per aver confidato nella veridicità delle scritture contabili messe a disposizione dal cedente.
Ai fini dell’accertamento del dolo contrattuale, si deve escludere che la falsità del bilancio rilevi ex se come prova del dolo e che le dichiarazioni menzognere integrano l’ipotesi del raggiro, qualora rese da una parte con la deliberata finalità di offrire una rappresentazione alterata della veridicità dei presupposti di fatto rilevanti per la determinazione del prezzo di cessione delle quote sociali.
Abuso di posizione dominante nella sub-concessione di spazi operativi per servizi di handling doganale
In materia di tariffe aeroportuali la giurisdizione del Giudice Amministrativo sussiste solo quando la causa ha ad oggetto la determinazione o rideterminazione di tali tariffe e non invece quando riguarda l’azione restitutoria e risarcitoria a seguito di abuso di posizione dominante.
Ai fini dell’applicazione delle tariffe regolamentate, ciò che rileva è la tipologia di attività svolta [ LEGGI TUTTO ]
É illecito lo sfruttamento del rapporto creatosi con i clienti di un partner commerciale per sottrarli al medesimo
Costituisce violazione della buona fede contrattuale ed una condotta concorrenziale illecita ex art. 2598 3°c.c. la condotta di chi, mentre viene pagato dal proprio partner commerciale per lavorare presso alcuni clienti di quest’ultimo, si serva del contatto venutosi, necessariamente, a creare con costoro e della possibilità di continuare a frequentarli, per sottrarre quei clienti al predetto suo partner onde generare un avviamento (acquisendo quei clienti al proprio portafoglio) la cui creazione secondo una condotta corretta avrebbe necessitato di assai più tempo.
I canoni ermeneutici nell’interpretazione delle clausole contrattuali
Per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato, la sussistenza di elementi letterali tra loro non coerenti contenuti addirittura nella stessa clausola contrattuale determina la necessità di ricostruire la volontà delle contraenti non solo sulla base del dato testuale ma anche per mezzo dei vari canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.
Procedimenti cautelari, rapporto di garanzia e regolazione delle spese processuali
Nel caso in cui, nel contesto di un contratto di cessione di quote di S.r.l., la società venditrice si obblighi a garantire la società c.d. “target” ovvero l’acquirente ovvero per eventuali sanzioni comminate all’esito di una ispezione fiscale, l’adesione alla “rottamazione” da parte della società garantita non costituisce concorso colposo del creditore ai sensi dell’art. 1227 c.c., tranne nel caso in cui venga accertata la negligenza o la volontà di recare danno alle ragioni della controparte contrattuale. Se così non fosse vi sarebbe una eccessiva compressione della capacità decisoria della garantita, incompatibile con il canone della buona fede contrattuale [nel caso di specie il Tribunale ha rilevato l’insussistenza del concorso colposo della garantita perché, pur in pendenza di un giudizio di accertamento della legittimità delle contestazioni davanti alla Corte di Cassazione, vi era motivo di ritenere che l’Amministrazione potesse dar avvio alle procedure di recupero del credito, visto il rigetto dell’istanza di sospensione dell’esecutorietà della decisione di secondo grado].
La misura cautelare del sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c. ben può essere emessa anche a tutela di crediti non immediatamente esigibili.
In caso di arbitrato, le spese del procedimento cautelare vanno regolate all’esito dello stesso procedimento – ancorché si esuli dall’ipotesi espressamente prevista ex art.669-septies c.p.c. di rigetto ante causam dell’istanza cautelare – perché la scissione tra la cognizione cautelare (propria del Tribunale) e quella di merito (propria degli arbitri) rende l’ordinanza cautelare il provvedimento conclusivo del procedimento di cui è stato investito il Tribunale.
Inadempimento del contratto di cessione di ramo d’azienda: onere della prova
In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione [ LEGGI TUTTO ]