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Art. 2285 c.c.
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Recesso del socio di s.a.s. e liquidazione della partecipazione

Nel caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, perfezionatosi prima del verificarsi di una causa di scioglimento della società, al socio uscente spetta la liquidazione della sua quota, ai sensi dell’art. 2289 c.c., e non la quota di liquidazione risultante all’esito del riparto fra tutti i soci, in quanto il presupposto per l’assorbimento del procedimento di liquidazione della quota del socio in quello di liquidazione della società è costituito dalla coincidenza sostanziale tra i due, la quale sussiste solo ove il primo attenga ad un diritto non ancora definitivamente acquisito, quando si verifichino i presupposti per l’apertura del secondo.

Il recesso del socio di una s.a.s. è atto unilaterale recettizio, la cui efficacia si produce non appena portato a conoscenza della società e gli effetti della pubblicità legale nel registro delle imprese sono quelli della pubblicità dichiarativa, ex art. 2193 c.c., nei confronti dei terzi e non invece nei confronti della società, che è parte del rapporto sociale. Inoltre, l’iscrizione dell’intervenuto recesso nel registro delle imprese compete all’amministratore nel termine di trenta giorni, ai sensi dell’art. 2300 c.c.

Per quanto concerne la natura dell’obbligazione di liquidare la quota al socio uscente, avendo ad oggetto, sin dalla sua origine, una somma di denaro, la stessa ha natura di debito non già di valore, bensì di valuta, soggetto, pertanto, al principio nominalistico di cui all’art. 1277 c.c., potendo la svalutazione monetaria assumere rilievo solo in mancanza di tempestivo adempimento (da compiersi entro il termine di sei mesi previsto dall’ultimo comma dell’art. 2289 c.c.), con conseguente applicabilità dei principi sul risarcimento del danno da mora debendi. Nel caso in cui il creditore rivesta la qualità di imprenditore commerciale, pur potendosi presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, che la somma dovuta, se tempestivamente pagata, sarebbe stata reimpiegata e così sottratta al deprezzamento della moneta, il creditore ha l’onere di allegare la circostanza che il tasso di svalutazione annuo fosse superiore ed il maggior danno non sia stato assorbito dalla liquidazione degli interessi.

Accordo simulatorio della qualifica di socio accomandante ed esercizio del recesso in una s.a.s. con soci occulti

Un’eventuale accordo simulatorio volto ad occultare ai terzi la partecipazione sociale di un socio accomandante, conferendo al medesimo la qualifica di socio occulto, non può  giudicarsi illegittimo/nullo per violazione di norme imperative, in particolare per la violazione dell’art. 2316 c.c., secondo cui l’atto costitutivo deve indicare i soci accomandatari e i soci accomandanti, dal momento che è pacificamente ammessa la possibilità che alle società in accomandita partecipino anche soci occulti.

L’individuazione della causa simulandi, cioè del motivo concreto per il quale le parti abbiano posto in essere un contratto in realtà non voluto, dando vita ad una mera apparenza, è rilevante solo per fornire indizi rivelatori dell’accordo simulatorio, ma non è indispensabile ai fini della pronuncia di accertamento della medesima simulazione sicchè a nulla rileva la mancata prova del movente di un accordo simulatorio.

Una società di persone, in caso di indicazione di un termine che supera la normale vita dell’uomo, deve ritenersi contratta a tempo indeterminato.

Il recesso, essendo atto unilaterale e recettizio, per perfezionarsi e produrre effetto deve essere formalmente comunicato a tutti i soci, compresa, nel caso di specie, la socia occulta.

19 Maggio 2023

Durata della società di capitali e recesso ad nutum

E’ escluso il diritto di recesso ad nutum del socio di società per azioni nel caso in cui lo statuto preveda una prolungata durata della società , non potendo tale ipotesi essere assimilata a quella, prevista dall’art. 2437, comma 3, c.c., della società costituita per un tempo indeterminato, stante la necessaria interpretazione restrittiva delle cause che legittimano la fuoriuscita del socio dalla società. Si deve altresì escludere l’estensione della disciplina prevista dall’art. 2285 c.c. per le società di persone (nelle quali prevale l’intuitus personae), ostandovi le esigenze di certezza e di tutela dell’interesse dei creditori delle società per azioni al mantenimento dell’integrità del patrimonio sociale, potendo essi fare affidamento solo sulla garanzia generica da quest’ultimo offerta, a differenza dei creditori delle società di persone, che invece possono contare anche sui patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili.

Diritto di recesso del socio di s.a.s. e sua revoca espressa per fatti concludenti

In caso di società in accomandita semplice contratta a tempo determinato, ove non ricorra nessuna delle ipotesi di recesso previste dalla legge o dal contratto sociale, incidendo l’uscita di uno dei soci dalla compagine sociale sul contratto di società modificandolo, per l’efficacia del recesso di un socio è necessario che vi sia il consenso degli altri; consenso che, al pari degli altri casi di modifiche del contratto secondo quanto stabilito dall’art. 2252 c.c., può desumersi anche da fatti concludenti.

Nelle società di persone la dichiarazione di recesso è pacificamente ritenuta revocabile, in forza del carattere personalistico di tale tipo societario. Infatti, la non revocabilità del recesso del socio è limitata alle società di capitali e non estensibile alle società di persone, ove la prevalenza del rapporto volontaristico-collaborativo fra i soci comporta che una diversa comune volontà possa essere espressa, nel senso di intendere rinnovata la partecipazione del socio, con revoca della precedente volontà di scioglimento del singolo rapporto sociale, sempre che sussista la concorde volontà di tutti i soci in tal senso, e ciò quantomeno fino a che non si sia proceduto alla liquidazione della quota del socio uscente.

La volontà di sciogliersi dal vincolo associativo che non sia seguita da un comportamento conseguente ma che, anzi, veda la prosecuzione del rapporto caratterizzata da una continuità dell’esercizio dei diritti connessi alla partecipazione sociale, perde la sua efficacia per fatti concludenti.

16 Maggio 2022

Non sussiste recesso ad nutum in caso di s.p.a. contratta a tempo determinato, sia pure lontano nel tempo

In tema di recesso dei soci di s.p.a. a tempo indeterminato non quotate in un mercato regolamentato, l’art. 2437 co. 3, c.c. prevede – con disposizione inderogabile – il diritto di recesso ad nutum del socio con preavviso di almeno centottanta giorni, termine che può essere ampliato per Statuto fino ad un anno. La ratio sottostante a tale strumento con efficacia estintiva del vincolo negoziale – quale espressione di un principio più generale nella materia contrattuale in presenza di un vincolo perpetuo – risiede nell’esigenza di tutelare la minoranza e di temperare la potenziale durata perpetua del vincolo sociale, attraverso il disinvestimento del socio. Dunque, il socio di società avente durata indeterminata può esercitare il suo diritto di exit con il solo onere di trasmetterne comunicazione, con un preavviso di almeno centottanta giorni, alla società. Nel caso invece di società a tempo determinato, il recesso è subordinato invece al ricorrere di una delle cause previste nel catalogo di cui all’art. 2437 c.c.

Seppure vi siano orientamenti interpretativi diretti a equiparare, rispetto al regime del recesso, a una società di durata indeterminata quella costituita con durata, sì, determinata, ma con un termine significativamente remoto, tale equiparazione non è corretta, neppure quanto il termine sia talmente lontano da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo. Ciò in quanto, in primo luogo, non si ricava dalla lettera dell’art. 2437 c.c. un’assimilazione tra durata indeterminata e determinata, anche ove particolarmente lunga; tale equiparazione, poi, non è giustificata neppure dall’interpretazione del contratto sociale secondo la volontà delle parti. Inoltre, la ratio della disciplina del recesso, costituendo un rimedio idoneo a determinare un depauperamento della società, è meritevole di interpretazione restrittiva. Infine, è escluso il carattere elusivo della durata secondo statuto eccessivamente lunga, attesa l’assenza di un parametro oggettivo e predefinito per esprimere un giudizio certo rispetto a tale elemento contrattuale, che non può essere identificato né nella durata della vita umana – posta la mancata assimilazione a quanto previsto dall’art. 2285 c.c. – né nella tipologia dell’oggetto sociale – di norma riferito ad attività imprenditoriali di per sé suscettibili di sviluppo per un tempo indeterminabile. In ogni caso, sono salve le ipotesi in cui il termine sia in assoluto elusivo, apparente o insignificante, ossia quando esso esorbiti qualsiasi ragionevole previsione di durata della società stessa come persona giuridica, risultando in sé stesso del tutto arbitrario e irrazionale (come, ad esempio, nel caso di un termine di durata da oggi sino all’ anno 2324). In tale ipotesi, è giustificata l’applicazione della disciplina della società a tempo determinato in tema di recesso.

13 Gennaio 2022

Alcune questioni in tema di recesso ed esclusione del socio di società di persone. Modalità di formazione della volontà dei soci nelle società di persone e trasformazione in società di capitali

La tempestiva opposizione presentata dal socio escluso ai sensi dell’art. 2287, co. 2 c.c. non determina la sospensione dell’efficacia della delibera di esclusione, essendo al riguardo necessario uno specifico provvedimento del tribunale.

Il recesso del socio, come può perfezionarsi per fatti concludenti, così può perdere efficacia, essendo del resto ammissibile nelle società di persone la revoca del recesso, data la prevalenza del rapporto volontaristico-collaborativo tra i soci, che consente di manifestare una diversa volontà comune, tale da intendere rinnovata la partecipazione del socio receduto [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che l’attrice non avesse perso la qualità di socio, essendosi gli altri soci e la società sempre comportati come se il recesso non fosse mai intervenuto, dal momento che non si era proceduto alla stima e alla liquidazione della quota, erano stati riconosciuti e liquidati gli utili di esercizio e la stessa attrice era stata convocata alle assemblee nonché inserita nelle dichiarazioni dei redditi della società].

Nelle società di persone, anche ai fini dell’adozione della delibera di trasformazione in società di capitali, non è necessario ricorrere al metodo assembleare né che la minoranza sia informata, consultata e convocata per assumere la deliberazione, essendo invece sufficiente che una decisione sia comunque assunta, in modo informale, tramite il raggiungimento di una maggioranza, dovuto all’espressione di più consensi, ancorché manifestati in tempi e in luoghi diversi.

L’art. 2500, comma 2 c.c. non esige che la delibera di trasformazione di una società di persone venga adottata in assemblea – come è invece richiesto per le modifiche statutarie delle società di capitali – dal momento che la disposizione richiama il contenuto, la forma e la pubblicità, non anche le modalità di assunzione della decisione di trasformazione.

La forma dell’atto pubblico implica al più l’adunanza dei soci, non l’osservanza del metodo assembleare [peraltro, nel caso di specie, avente ad oggetto l’impugnazione della delibera di trasformazione, il Tribunale ha rilevato che, anche a voler ritenere necessario il metodo collegiale, la delibera avrebbe dovuto considerarsi ugualmente valida, poiché i soci che avevano deciso la trasformazione rappresentavano la maggioranza sufficiente ad adottare la delibera, ai sensi dell’art. 2500-ter c.c.].

Una volta eseguiti gli adempimenti pubblicitari di cui all’art. 2500 c.c., l’eventuale invalidità dell’atto di trasformazione non può più essere pronunciata e il provvedimento che statuisca positivamente sull’invalidità della delibera non può produrre alcun effetto caducatorio dell’atto di trasformazione.

14 Luglio 2020

Recesso ad nutum da società di capitali e tutela dei terzi creditori

L’art. 2437, co. 3, cod. civ., che attribuisce al socio la facoltà di recesso ad nutum dalla società di capitali a tempo indeterminato è una disposizione che richiede di contemperare l’interesse del socio al disinvestimento con l’interesse dei terzi creditori alla conservazione della loro garanzia patrimoniale ed alla prevedibilità delle cause che possono intaccarne la consistenza.

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14 Dicembre 2019

Incompatibilità del danno morale con la mancata tempestiva liquidazione della quota a seguito di recesso del socio

Non può trovare accoglimento una domanda di risarcimento per i danni morali, derivanti dalla mancata tempestiva liquidazione della quota a seguito dell’esercizio del diritto di recesso di un socio ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2285 e 2289 c.c., in quanto la mancata liquidazione non è idonea ex se a ledere diritti costituzionalmente garantiti, requisito richiesto dalla giurisprudenza di legittimità per il riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale [nel caso di specie, parte attrice aveva richiesto la condanna al risarcimento in suo favore del danno morale, in conseguenza del fatto che non era stato possibile determinare il valore della quota da liquidare in favore del socio receduto, non avendo controparte provveduto a depositare le scritture contabili della società].

17 Giugno 2019

Il recesso validamente esercitato non risente della successiva trasformazione della società

La comunicazione di recesso del socio è atto ricettizio che si perfeziona con la ricezione della dichiarazione da parte del destinatario, divenendo poi efficace alla scadenza del termine di preavviso ex art. 2285 c.c. Ne deriva che, se dopo l’invio di tale comunicazione [ LEGGI TUTTO ]

6 Settembre 2018

Principio di tipicità delle ipotesi di recesso del socio da società cooperativa

La norma dell’art. 2516 c.c., che prescrive che nella costituzione e nell’esecuzione dei rapporti mutualistici deve essere rispettato il principio della parità di trattamento, è volta ad evitare discriminazioni nell’attuazione del rapporto mutualistico e trova applicazione anche nella fase di cessazione del rapporto.

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