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Art. 2293 c.c.
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Recesso del socio di s.a.s. e liquidazione della partecipazione

Nel caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, perfezionatosi prima del verificarsi di una causa di scioglimento della società, al socio uscente spetta la liquidazione della sua quota, ai sensi dell’art. 2289 c.c., e non la quota di liquidazione risultante all’esito del riparto fra tutti i soci, in quanto il presupposto per l’assorbimento del procedimento di liquidazione della quota del socio in quello di liquidazione della società è costituito dalla coincidenza sostanziale tra i due, la quale sussiste solo ove il primo attenga ad un diritto non ancora definitivamente acquisito, quando si verifichino i presupposti per l’apertura del secondo.

Il recesso del socio di una s.a.s. è atto unilaterale recettizio, la cui efficacia si produce non appena portato a conoscenza della società e gli effetti della pubblicità legale nel registro delle imprese sono quelli della pubblicità dichiarativa, ex art. 2193 c.c., nei confronti dei terzi e non invece nei confronti della società, che è parte del rapporto sociale. Inoltre, l’iscrizione dell’intervenuto recesso nel registro delle imprese compete all’amministratore nel termine di trenta giorni, ai sensi dell’art. 2300 c.c.

Per quanto concerne la natura dell’obbligazione di liquidare la quota al socio uscente, avendo ad oggetto, sin dalla sua origine, una somma di denaro, la stessa ha natura di debito non già di valore, bensì di valuta, soggetto, pertanto, al principio nominalistico di cui all’art. 1277 c.c., potendo la svalutazione monetaria assumere rilievo solo in mancanza di tempestivo adempimento (da compiersi entro il termine di sei mesi previsto dall’ultimo comma dell’art. 2289 c.c.), con conseguente applicabilità dei principi sul risarcimento del danno da mora debendi. Nel caso in cui il creditore rivesta la qualità di imprenditore commerciale, pur potendosi presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, che la somma dovuta, se tempestivamente pagata, sarebbe stata reimpiegata e così sottratta al deprezzamento della moneta, il creditore ha l’onere di allegare la circostanza che il tasso di svalutazione annuo fosse superiore ed il maggior danno non sia stato assorbito dalla liquidazione degli interessi.

2 Agosto 2022

Applicazione dell’art. 146 l. fall. alle società di persone e dies a quo della prescrizione dell’azione di responsabilità

L’art. 146 l. fall. va interpretato nel senso che il curatore può esperire tutte le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di qualsiasi società, anche di persone, dovendosi così ritenere ammissibili le domande promosse dalla curatela nei confronti di amministratori di s.n.c., individuando quale norma di riferimento l’art. 2260 c.c. in tema di responsabilità degli amministratori di società di persone per i danni dai medesimi arrecati alla società, espressamente richiamato dall’art. 2293 c.c.

In tema di prescrizione dell’azione di responsabilità, il termine di prescrizione quinquennale non può che iniziare a decorrere dalla cessazione della carica in virtù di quanto disposto dall’art. 2941, n. 7, c.c., a nulla rilevando che gli illeciti denunciati possano risalire anche ad epoca antecedente. Circa la sicura applicazione di detta disposizione alle società di persone, giova ricordare che la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità del predetto articolo nella parte in cui non prevede l’equiparazione tra tutte le società commerciali ai fini della sospensione della prescrizione per le azioni di responsabilità da parte della società nei confronti degli amministratori finché sono in carica.

3 Dicembre 2021

Morte del socio e liquidazione della quota agli eredi: criteri di quantificazione

Nella disciplina legale dello scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio della società di persone, contenuta all’art. 2284 c.c. e applicabile alla società in nome collettivo in forza del richiamo dell’art. 2293 c.c., la morte di uno dei soci determina immediatamente lo scioglimento del vincolo del singolo socio al momento del decesso, ponendo i soci superstiti nell’alternativa tra: (i) continuare fra loro l’attività e liquidare la quota agli eredi del socio deceduto, titolari iure proprio verso la società del diritto di credito ad una somma di denaro corrispondente al valore della quota del socio defunto al momento del decesso, ai sensi dell’art. 2289 c.c.; (ii) sciogliere la società determinando la perdita del diritto degli eredi del socio defunto alla liquidazione della quota, con la conseguenza che essi saranno costretti a partecipare al procedimento di liquidazione della società; (iii) accordarsi con gli eredi del socio defunto per continuare con loro la società. La disciplina richiamata trova applicazione anche nell’ipotesi di società composta da due soli soci, così che il socio superstite, in mancanza dell’accordo per la continuazione della società con gli eredi del socio defunto, ha sempre l’alternativa tra l’offerta agli eredi della liquidazione del valore della quota appartenuta al socio deceduto e lo scioglimento anticipato della società.

Una volta che il socio superstite abbia optato per l’offerta agli eredi della liquidazione della quota appartenuta al defunto secondo le modalità previste dall’art. 2289 c.c., il diritto di credito degli eredi del socio deceduto è indifferente alle successive vicende della società, fossero anche lo scioglimento e lo stato di liquidazione derivanti dalla mancata ricostituzione della pluralità di soci.

L’art. 2289 c.c. prevede che nei casi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio la liquidazione in denaro della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento. La situazione patrimoniale a cui la norma richiamata si riferisce deve essere rapportata all’effettiva consistenza del patrimonio sociale nel giorno del decesso del socio. Non può, dunque, farsi semplice riferimento all’ultimo bilancio sociale ma deve essere redatta dall’amministratore, tenuto ai sensi dell’art. 2261 c.c. a rendere il conto della gestione, una situazione patrimoniale ad hoc, che rappresenti l’effettiva consistenza economica dell’azienda sociale all’epoca dello scioglimento del rapporto nei confronti del socio.

Nell’ipotesi di mancata redazione o di contestazione della situazione patrimoniale posta a fondamento della quantificazione della quota è onere del socio superstite, a prescindere dal fatto che il defunto fosse o meno socio amministratore, dimostrare quale fosse la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio mediante la produzione in giudizio delle scritture contabili della società. L’onere di provare il valore della quota del socio defunto di una società di persone, ai fini della liquidazione della stessa in favore degli eredi, incombe ai soci superstiti e non agli eredi del socio, in quanto solo i soci rimasti in società, e non certo gli eredi del defunto, sono in grado, con la produzione di scritture contabili della società, di dimostrare quale era la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio e quali sono gli utili e le perdite inerenti alle operazioni in corso in quel momento.

Dal mancato assolvimento da parte del socio superstite dell’onere di provare la situazione patrimoniale della società al momento del decesso del socio il giudice può trarre argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., nella soluzione delle specifiche contestazioni sollevate dall’erede del socio defunto in ordine alle singole poste patrimoniali.

La denuncia di vizi fondati sulla violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio effettivamente subito dal diritto di difesa in conseguenza della denunciata violazione, così che non può dar luogo a nullità dell’atto processuale la violazione che non abbia in concreto impedito la piena esplicazione del contraddittorio.

17 Maggio 2021

Esclusione del socio di s.n.c. e tolleranza delle inadempienze da parte degli altri soci

L’art. 2286 c.c. prevede che l’esclusione del socio di società semplice, norma applicabile anche alle società in nome collettivo in forza del rinvio contenuto nell’art. 2293 c.c., possa essere disposta facoltativamente per tre ordini di motivi: (i) per gravi inadempienze ascrivibili al socio; (ii) per mutamenti dello stato personale del socio; (iii) per impossibilità del socio di eseguire il conferimento promesso. A fondamento della delibera di esclusione del socio di s.n.c. per gravi inadempienze non può essere posto un fatto che gli altri soci hanno tollerato per fatti concludenti, non essendo sussistente in tali ipotesi il necessario presupposto del venir meno del rapporto fiduciario.

Pur in difetto di espressa previsione legislativa, il giudizio di opposizione alla delibera di esclusione, secondo il procedimento di cui all’art. 2287, co. 2, c.c., deve essere introdotto dal socio con atto di citazione. Ne consegue che il rispetto del termine decadenziale di trenta giorni per promuovere opposizione, decorrenti dalla data di comunicazione della decisione di esclusione, deve essere valutato avendo riguardo alla data di notifica della citazione.

10 Settembre 2019

Inapplicabilità dell’art. 2269 c.c. ai fini dell’azione di regresso del socio subentrante verso il socio uscente

L’art. 2269 c.c., applicabile anche alle s.a.s. in virtù del duplice richiamo di cui agli artt. 2293 e 2315 c.c., configura nelle società di persone la solidarietà tra i soci uscenti e quelli subentranti rispetto alle pretese dei terzi sorte anteriormente alla cessione della quota ma non opera nei rapporti tra il socio cedente ed il cessionario. Infatti, secondo il condivisibile orientamento di legittimità, in tema di società in nome collettivo, [ LEGGI TUTTO ]

27 Dicembre 2018

Impugnazione delibera di esclusione del socio accomandante di S.a.s.

Nel giudizio di opposizione avverso l’espulsione del socio di una società di persone, la legittimazione passiva compete esclusivamente alla società, in persona del legale rappresentante, anche se è consentita, come modalità equipollente d’instaurazione del contraddittorio, la citazione di tutti i soci, notificata nel termine di decadenza previsto dall’art. 2287 cod. civ.; conseguentemente, se la citazione è notificata al liquidatore nominato dal Tribunale e tuttora in carica secondo le risultanze del Registro delle Imprese, non risulta necessaria alcuna estensione del contraddittorio ex art. 106 c.p.c. ai singoli soci. [ LEGGI TUTTO ]

21 Maggio 2018

Revoca cautelare delle funzioni di amministratore in capo al socio accomandatario

Legittimati a chiedere la revoca per giusta causa dell’amministratore ai sensi dell’art. 2259 c.c. (applicabile anche ai soci accomandatari amministratori) sono solo i soci e non la società.

Esclusione del socio di s.n.c.: diritto alla liquidazione della quota e agli utili. Risarcimento del danno per ritardata liquidazione.

Il diritto del singolo socio a percepire gli utili è subordinato, ai sensi dell’art. 2262 cod. civ. (applicabile in forza del richiamo di cui all’art. 2293), alla approvazione del rendiconto, situazione contabile che equivale, quanto ai criteri fondamentali di valutazione, a quella di un bilancio, il quale è la sintesi contabile della consistenza patrimoniale della società al termine di un anno di attività (in applicazione di tale criterio è stata confermata l’irrilevanza, ai fini di ritenere la sussistenza di effettivi utili rivendicabili dai soci, del contenuto delle dichiarazioni fiscali della società e, quindi, anche delle “variazioni in aumento” apportate ai sensi della normativa fiscale in tali dichiarazioni).

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30 Gennaio 2018

La decisione di esclusione del socio che non contiene le ragioni poste a suo fondamento è invalida e improduttiva di effetti

Ogni qualvolta sia adottato nei confronti di un socio un provvedimento di carattere ablativo o sanzionatorio (sia esso la revoca dall’amministrazione ovvero la sanctio maxima dell’esclusione dalla società), la relativa decisione deve contenere in sé le ragioni [ LEGGI TUTTO ]

20 Dicembre 2017

Rapporto di lavoro subordinato e rapporto di natura societaria: non provata la simulazione

L’esistenza di una società in nome collettivo irregolare dissimulata sotto lo “schermo”  di un rapporto di lavoro subordinato è da negarsi, ove manchi una qualsiasi sia pur minima partecipazione del lavoratore all’investimento iniziale, al rischio d’impresa e agli utili.