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10 Luglio 2023

Il socio receduto non ancora liquidato è ancora titolare della partecipazione sociale

Il socio che ha esercitato il recesso può esser considerato come ancora titolare delle partecipazioni sociali e ciò fino a che non viene liquidato, essendo la fattispecie del recesso del socio a formazione progressiva. Invero, il socio receduto non ancora liquidato è ancora titolare della quota di partecipazione del capitale sociale e quindi deve ritenersi che possa esercitare le facoltà in essa incorporate; a prescindere dall’ampiezza del suo diritto di voto, se affievolito – esercitabile solo con riferimento a quelle decisioni assembleari che possono incidere sul patrimonio della società e quindi sul suo diritto di credito alla liquidazione del valore della partecipazione – o pieno – esercitabile con riferimento ad ogni delibera con il limite dell’abuso del diritto –, in ogni caso il socio receduto durante il procedimento di recesso si trova a poter legittimamente esercitare il diritto di voto in assemblea.

Non rappresenta un’ipotesi di rinuncia implicita alla clausola arbitrale la mancata eccezione di incompetenza nell’ambito di un giudizio di quantificazione del valore della quota sociale ex art. 2473, co. 3, c.c. Tale giudizio, invero, è di mera volontaria giurisdizione e non ha carattere contenzioso. Soltanto in caso di contestazione sul valore determinato dall’esperto si apre un vero e proprio giudizio contenzioso.

L’esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo, atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla[va] l’emissione di provvedimenti inaudita altera parte, ma impone a quest’ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull’esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia al giudizio degli arbitri.

22 Giugno 2023

Diritto di recesso nella s.r.l.: termine di decadenza e determinazione del valore della quota

La disciplina del diritto di recesso del socio di s.r.l. è dettata dall’art. 2473, co. 2, c.c., che non prevede termini di decadenza, essendo inopportuno, siccome contrario alla lettera del comma 1 della citata norma, nonché alla ratio legis e alla buona fede, assoggettare il socio dissenziente, in forza di estensione analogica, ai ridotti termini di esercizio del recesso fissati per le s.p.a. dall’art. 2437 bis c.c., stante la diversità di presupposti del recesso nei due tipi societari. Pertanto, il diritto di recesso del socio va esercitato nel termine previsto nello statuto della s.r.l. e, in mancanza di detto termine, secondo buona fede e correttezza, quali fonti di integrazione della regolamentazione contrattuale, dovendo il giudice del merito valutare di volta in volta le modalità concrete di esercizio del diritto di recesso e, in particolare, la congruità del termine entro il quale tale esercizio è avvenuto, tenuto conto della pluralità degli interessi coinvolti.

La dichiarazione di recesso non può essere sospensivamente condizionata dal socio al rimborso della propria partecipazione. Infatti, considerato che il diritto alla liquidazione e al pagamento della quota di partecipazione alla società costituisce una conseguenza ex lege del recesso, giammai l’esercizio di una siffatta ragione creditoria potrà essere riguardato alla stregua di condotta impositiva di una condizione allo scioglimento parziale del rapporto sociale. Inoltre, la prospettazione e la proposizione di un determinato controvalore monetario per la quota in prima battuta da parte del socio recedente non può essere ritenuta condotta anomala e contra legem, poiché, diversamente opinando, si giungerebbe a fornire un’inammissibile interpretatio abrogans al disposto del comma 3 dell’art. 2473 c.c., nella parte in cui legittima indistintamente “la parte più diligente”, sia essa il socio o la compagine, all’esperimento del procedimento di arbitraggio per la stima della quota, dacché una siffatta dicitura implicitamente presuppone la possibilità della provenienza della proposta iniziale di valutazione da parte del medesimo socio e del successivo esperimento dell’arbitraggio dalla società in disaccordo con tale liquidazione unilaterale.

La dichiarazione di recesso valida ed efficace determina, ipso iure, l’insorgenza in capo all’attrice del diritto di credito all’ottenimento del rimborso della partecipazione, da eseguirsi entro centottanta giorni dalla comunicazione del recesso, nella modalità di cui all’art. 2473, co. 4, c.c., e la liquidazione del cui ammontare deve essere effettuata, ai sensi del comma 3 della medesima disposizione, tenendo conto (ossia non con applicazione e riproduzione pedissequa) al valore di mercato del patrimonio sociale al momento della dichiarazione di recesso.

Ai fini della determinazione del valore della partecipazione del socio recedente ex art. 2743 c.c., per “valore di mercato” deve intendersi il valore che intrinsecamente il patrimonio sociale avrebbe qualora fosse oggetto di scambio e che deve, dunque, riflettere il valore corrente dei cespiti aziendali, oltreché l’eventuale valore di avviamento: al fine della relativa individuazione, soccorre l’applicazione del criterio liquidatorio denominato, nella letteratura aziendalistica, “metodo di valutazione patrimoniale” e che, nella sua applicazione più semplice, consente di pervenire all’individuazione del capitale economico aziendale mediante la valutazione di ogni singola componente attiva e passiva dello stato patrimoniale e la successiva rivalutazione dei valori, in aumento o in diminuzione, sulla base di diversi criteri predeterminati, variabili in funzione della natura delle singole poste.

Con riferimento alla determinazione del valore della partecipazione societaria oggetto di rimborso, la voluntas legis muove nel senso di una rimessione della liquidazione della quota a un accordo di natura negoziale tra socio recedente e società, ferma l’esperibilità, in caso di mancato raggiungimento di un accordo tra le parti sul quantum, dell’iter non contenzioso del ricorso all’arbitratore nominato all’esito di un procedimento di volontaria giurisdizione, ossia non già di una diretta determinazione giudiziale della quota, bensì di un’integrazione ab externo del contenuto del negozio ad opera di un terzo esperto e imparziale. Laddove, invece, il ricorso alla giurisdizione contenziosa sarà ammissibile nei limiti della successiva ed eventuale impugnazione della perizia giurata dell’esperto, ma per fare valere i soli vizi di manifesta erroneità o iniquità ai sensi dell’art. 1349, co. 1, c.c.

Nel caso in cui, in un momento in cui la volontà di recesso di uno dei soci non era ancora sorta o comunque manifestata, sia intervenuto un accordo in ordine al valore delle partecipazioni detenute dai soci ai fini ai fini della trasformazione della società in vista della relativa cessione, va escluso che tale accordo possa comportare adesione alla stessa stima anche al diverso fine di determinazione del valore della partecipazione societaria oggetto di rimborso in favore del socio recedente ai sensi dell’art. 2473 c.c. Infatti, mentre la stima del patrimonio della società personale trasformata in società di capitali – destinato a costituire una sorta di unico conferimento in natura al capitale della compagine risultante dalla trasformazione – mira invece a garantire un’effettività ufficiale alla stima a suo tempo effettuata unilateralmente dai soci, in un’ottica di massima trasparenza e chiarezza in ordine alla dotazione di capitale a disposizione per l’esercizio dell’attività della “nuova” società di capitali, e sarà, quindi, improntata non già a un’ottica liquidatoria, bensì a una diversa ottica di continuità aziendale, la stima della quota ai fini della liquidazione del recedente segue per legge criteri diversi (criteri rispettivamente improntati, ex art. 2473 c.c., alla considerazione del valore di mercato del patrimonio sociale al tempo del recesso, ed ex art. 2500-ter comma 2 c.c., sulla base dei valori attuali degli elementi dell’attivo e del passivo) e mira alla realizzazione di differenti rationes legis, perseguendo l’intento di garantire l’effettività del diritto del socio dissenziente a non rimanere vincolato a una decisione della maggioranza non condivisa (c.d. diritto di exit), assicurandogli la corrispondenza del corrispettivo del disinvestimento della partecipazione al valore effettivo della propria quota.

Con riferimento alla determinazione del valore della partecipazione societaria oggetto di rimborso in favore del socio recedente, la voluntas legis espressa dall’art. 2473, comma 3 c.c. muove nel senso di una rimessione della liquidazione della quota a un accordo di natura negoziale tra socio recedente e società, ferma l’esperibilità, in caso di mancato raggiungimento di un accordo tra le parti sul quantum, dell’iter non contenzioso del ricorso all’arbitratore nominato all’esito di un procedimento di volontaria giurisdizione, ossia non già di una diretta determinazione giudiziale della quota, bensì di un’integrazione ab externo del contenuto del negozio ad opera di un terzo esperto e imparziale; laddove, invece, il ricorso alla giurisdizione contenziosa sarà ammissibile nei limiti della successiva ed eventuale impugnazione della perizia giurata dell’esperto, ma per fare valere i soli vizi di manifesta erroneità o iniquità ai sensi dell’art. 1349, co. 1, c.c.

8 Giugno 2023

OPA totalitaria: tra il diritto di acquisto dell’offerente ex art. 111 TUF e la tutela della minoranza dei soci. Valutazioni in punto di legittimità costituzionale dell’art. 111 TUF e sull’assenza di un correttivo sul prezzo di mercato nella disciplina del diritto all’acquisto

Il diritto di acquisto ex art 111 TUF si colloca al di fuori dell’art 42 comma 3 Cost perché il diritto di acquisto non è espressione dell’esercizio di un atto di imperio pubblico ma trova fondamento nella disciplina (legale) del contratto di società che conforma la “proprietà” delle azioni delle società quotate in funzione degli interessi generali del mercato, dell’efficienza dei medesimi e indirettamente dell’organizzazione stessa delle società ex art 42 co 2 Cost.

In punto di intrinseca iniquità del prezzo offerto in sede di squeeze-out in caso di crisi finanziarie idonee a deprimere irragionevolmente il prezzo del titolo, sebbene la riduzione del prezzo dei titoli quotati su mercati regolamentati in occasione di crisi finanziarie possa favorire manovre speculative non vietate degli operatori economici, tendenti a sfruttare la situazione favorevole in essere, tale evenienza è insita nel medesimo meccanismo di funzionamento dei mercati finanziari, nei quali il prezzo di uno strumento si forma, momento per momento, dall’incontro tra domanda e offerta sulla base di vari fattori interni alla società ma anche esterni e collegati al sistema economico del paese o internazionali.

L’assenza di un correttivo sul prezzo di mercato nella disciplina del diritto all’acquisto, non incide sulla legittimità costituzionale dell’istituto, rientrando nell’ambito delle scelte del legislatore stabilire l’equilibrio più corretto tra gli interessi in gioco, con il solo limite della ragionevolezza (art. 3, Cost.), che nel regolare i contrapposti interessi del socio di maggioranza quasi totalitaria e della residua minoranza manifestamente non risulta violato qualora il prezzo sia stabilito secondo i criteri dell’art 108 commi 2, 3 e 4 TUF e si tratti del medesimo prezzo garantito con l’Opa nell’interesse della minoranza che voglia esercitare la facoltà di disinvestimento.

29 Maggio 2023

Il procedimento ex art. 2473, co. 3, c.c. per la determinazione del valore della partecipazione del socio escluso

Il riferimento all’art. 1349, co. 1, c.c., contenuto nell’art. 2473 c.c. esplicita l’intendimento del legislatore di rimettere la determinazione del valore della partecipazione societaria – nel caso in cui le parti non riescano a raggiungere un accordo – non già alla decisione del giudice, ma al contratto tra socio e società, avente ad oggetto la liquidazione della quota il cui contenuto viene stimato da un terzo (l’arbitratore), il quale, quindi, concorre alla formazione e all’integrazione del contenuto del negozio.

L’esperto deve procedere con equo apprezzamento e la vincolatività delle determinazioni dallo stesso raggiunte può essere esclusa solo ove se ne accerti la manifesta iniquità o erroneità. Solo nel caso di impugnazione ex art. 1349 c.c. per manifesta iniquità o erroneità della determinazione dell’arbitratore vi potrà essere l’intervento sostitutivo del giudice, chiamato, da un lato, all’accertamento della lamentata manifesta iniquità o erroneità della stima del terzo, e dall’altro, alla nuova determinazione, sostitutiva di quella dell’esperto-arbitratore.

La procedura di cui all’art. 2473, co. 3, c.c. ha natura esclusiva e non è consentito al socio escluso o receduto adire direttamente l’autorità giudiziaria mediante l’instaurazione di un ordinario processo di cognizione piena per la determinazione del “giusto valore di liquidazione” senza il rispetto delle procedure di cui al citato art. 2473 c.c.

28 Giugno 2021

Sulla determinazione del valore di liquidazione delle azioni del socio receduto

Resta cristallizzato il valore di liquidazione delle azioni determinato dagli amministratori qualora il socio receduto non provveda ad adire il Tribunale, in sede di volontaria giurisdizione, richiedendo la nomina dell’esperto o quantomeno a chiedere nel corso del giudizio la sua rideterminazione mediante una consulenza tecnica.

La determinazione del valore delle azioni per le quali è stato esercitato il recesso viene effettuata dagli amministratori tenendo conto della consistenza patrimoniale della società e delle prospettive reddituali dell’impresa con la conseguenza che, per la corretta determinazione del valore, si deve aver riguardo al patrimonio sociale e non già al valore nominale delle azioni desumibile dalla mera operazione matematica di divisione del capitale sociale, che rappresenta un dato numerico non necessariamente rispondente al valore patrimoniale delle stesse.

Determinazione del valore della quota di liquidazione e potere decisorio del giudice

Con riguardo al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., che può ritenersi violato sia se il giudice ecceda in termini quantitativi il petitum di parte (ultrapetizione) sia se pronunci su qualcosa di diverso da quanto richiesto (extrapetizione), non si configura ultrapetizione nel caso in cui il giudice accerti un minus rispetto alla richiesta di parte, senza mutare il tipo di domanda formulata. (Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Milano, rigettando il motivo di impugnazione sollevato dall’appellante e relativo ad una possibile violazione dell’art. 112 c.p.c. dai giudici di primo grado, ha confermato la sentenza impugnata nella parte in cui è stato ritenuto opportuno quantificare il valore di una quota sociale in una misura inferiore a quella richiesta da una delle parti).

Effetti della sopravvenuta variazione del patrimonio sociale sul contratto di cessione di partecipazioni societarie

Le obbligazioni delle parti, discendenti da contratto di cessione delle quote o delle azioni di una società di capitali, non vengono meno in conseguenza di un fatto del tutto esterno e non direttamente collegato al concetto di valorizzazione delle partecipazioni societarie oggetto di trasferimento. (Nel caso di specie, la Corte d’appello, chiamata ad accertare l’intervenuta risoluzione di un contratto di cessione intercorso tra le parti per sopravvenuta variazione del patrimonio sociale della cedente, ha rigettato l’appello proposto, confermando la sentenza di primo grado. Nella sua motivazione, la Corte ha richiamato il principio espresso da Cass. civ. n. 22790/2019 secondo cui la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella del contratto di cessione di quote o azioni può determinare la risoluzione del contratto per mancanza delle qualità essenziali, se in tale contratto: – le parti abbiano fatto espresso riferimento ai beni compresi nel patrimonio della società con la previsione di specifiche garanzie contrattuali; ovvero, – l’affidamento della parte cessionaria sul patrimonio sociale debba ritenersi giustificato sulla base del principio di buona fede. Poiché, nel caso de quo nessuno dei predetti requisiti risultava sussistente, ogni variazione sopravvenuta del patrimonio sociale è risultata indifferente rispetto alle obbligazioni assunte dalle parti con il contratto).

14 Dicembre 2019

Incompatibilità del danno morale con la mancata tempestiva liquidazione della quota a seguito di recesso del socio

Non può trovare accoglimento una domanda di risarcimento per i danni morali, derivanti dalla mancata tempestiva liquidazione della quota a seguito dell’esercizio del diritto di recesso di un socio ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2285 e 2289 c.c., in quanto la mancata liquidazione non è idonea ex se a ledere diritti costituzionalmente garantiti, requisito richiesto dalla giurisprudenza di legittimità per il riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale [nel caso di specie, parte attrice aveva richiesto la condanna al risarcimento in suo favore del danno morale, in conseguenza del fatto che non era stato possibile determinare il valore della quota da liquidare in favore del socio receduto, non avendo controparte provveduto a depositare le scritture contabili della società].

3 Dicembre 2019

Compravendita di partecipazioni: può essere domandata l’esecuzione giudiziale anche se il prezzo non è stato ancora determinato

È ammissibile la domanda di esecuzione in via giudiziale ex art. 2932 c.c. dell’impegno contrattuale ad acquistare una partecipazione sociale, anche quando sia preceduta dal completamento per via di eterointegrazione dell’accordo. Tale è il caso in cui prima dell’esecuzione sia necessario determinare il prezzo mediante l’intervento di un terzo arbitratore ex art. 1349 c.c., come previsto dalle parti nel testo del contratto.

Per la determinazione del prezzo di cessione, qualora le parti si siano affidate all’equo apprezzamento di un soggetto senza individuarlo specificamente, il giudice ha un potere-dovere di sostituirsi all’arbitratore che gli deriva dal disposto dell’art. 1349, comma 1, c.c. Ciò dimostra la sostanziale fungibilità delle due figure, in ragione sia dell’obiettività e tendenziale invarianza dei criteri che il giudice – come l’arbitratore terzo – deve seguire.

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