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Art. 2393 c.c.
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12 Dicembre 2022

Responsabilità dell’amministratore di s.r.l. e dell’amministratore di fatto

Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, ovvero per non aver osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, essi possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

L’individuazione della figura del c.d. amministratore di fatto presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni; l’influenza dell’amministratore di fatto si deve tradurre, per essere rilevante, nell’ingerenza concreta nella gestione sociale che abbia il carattere della sistematicità.

7 Dicembre 2022

Sulla prova dell’assunzione del ruolo di amministratore di fatto

L’espletamento in via di fatto del ruolo di amministratore della società deve essere provato mediante fonti atte a dimostrare che il terzo abbia assunto decisioni per la gestione della società, senza rivestire alcun ruolo che lo legittimasse a tanto. Rientrano in tale ambito le decisioni attinenti alla gestione dei rapporti con i dipendenti, con i terzi fornitori, con i fruitori dell’attività svolta dalla società, con le banche o comunque con soggetti in relazione con la società per i suoi fini istituzionali.

7 Dicembre 2022

Responsabilità dell’amministratore per mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili e dei libri sociali

Per potere affermare la responsabilità dell’amministratore occorre la prova che la società abbia subito un danno quale diretta conseguenza della sua azione o omissione posta in essere nell’esercizio delle sue funzioni. Il comportamento dell’amministratore non può invece essere sindacato, anche se contrario ai suoi doveri, se non ha determinato alcun danno. La tenuta irregolare dei libri e delle scritture contabili, sebbene accertata, non è quindi causa di responsabilità risarcitoria dell’amministratore ove non sia dimostrato che dette irregolarità abbiano comportato il depauperamento del patrimonio sociale.

Il debito risarcitorio ex art. 2393 c.c. ha natura di debito di valore – come tale sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria sino al momento della sua liquidazione – ancorché il danno consista nella perdita di una somma di danaro, costituendo questo solo un elemento per la commisurazione dell’ammontare del danno, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo.

7 Dicembre 2022

Responsabilità degli amministratori derivante dall’illegittima prosecuzione dell’attività di impresa

Il criterio che quantifica il danno da illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa è quello della differenza tra il patrimonio netto calcolato alla data del fallimento e alla data in cui l’attività avrebbe dovuto cessare. Poiché il patrimonio dell’impresa costituisce la misura del soddisfacimento dei creditori fallimentari, infatti, la diminuzione di valore di detto patrimonio rappresenta un danno per i creditori, ma anche per la stessa società, privata della prospettiva del rientro in bonis, una volta pagati i creditori, quando residui un attivo; e ciò ferma restando la risarcibilità dei danni riconducibili a singole condotte, laddove non siano assorbiti dall’incremento del passivo altrimenti calcolato. Vanno comunque dedotti quei costi che sarebbero stati sostenuti anche nella fase di liquidazione, previa riclassificazione dei dati patrimoniali in prospettiva liquidatoria, ossia compiendo sui bilanci le operazioni necessarie a valorizzare il patrimonio non più come strumento funzionale alla produzione del reddito d’impresa, ma come insieme dei cespiti da liquidare per il soddisfacimento dei creditori.

Salvo prova contraria, i componenti del consiglio di amministrazione hanno i medesimi poteri decisori e pertanto, in assenza di un operoso dissenso di taluno di essi rispetto alla gestione sociale, va applicata la regola della solidale responsabilità dei componenti dell’organo amministrativo collegiale. In questo senso, la redazione o l’approvazione del bilancio sono indici esterni della consapevolezza della situazione patrimoniale della società in capo a tutti gli amministratori, i quali hanno il dovere di avere costante conoscenza della situazione economico-finanziaria e patrimoniale della società.

5 Dicembre 2022

Natura dell’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore e onere della prova

Quando ad agire in giudizio nei confronti dell’ex amministratore sia la liquidazione giudiziale della società già gestita dal convenuto, la curatela esercita in modo cumulativo sia l’azione sociale di responsabilità, ovvero l’azione che la stessa società in bonis avrebbe potuto proporre nei confronti dell’organo gestorio per il danno arrecato al suo patrimonio, sia l’azione dei creditori sociali. Nel caso di condotte di carattere distrattivo, l’onere della liquidazione giudiziale è quello di allegare esattamente l’inadempimento degli obblighi conservativi del patrimonio sociale, dovendo poi allegare e provare il danno ed il nesso causale, sostanziandosi detto onere nella allegazione e prova della sottrazione dal patrimonio sociale delle risorse da parte dell’amministratore. Di converso, l’amministratore convenuto dovrà dare prova che l’atto dispositivo del patrimonio della società sia espressione dell’adempimento dei suoi obblighi conservativi ovvero che esso atto sia coerente con gli interessi sociali e posto in essere in ragione del perseguimento degli stessi.

(nel caso di specie, i pagamenti ottenuti dallo stesso amministratore unico erano secondo la corte da reputarsi del tutto ingiustificati posto che il medesimo, lungi dall’aver ottenuto in tal modo il versamento di compensi gestori, non si vede a che titolo abbia prestato la sua attività di consulenza, quando l’attività in questione, ove effettivamente prestata, doveva necessariamente reputarsi ricompresa nei propri poteri amministrativi e non avendo fornito alcuna prova contraria che siano stati eseguiti in ragione di attività e prestazioni effettivamente ottenute dalla società corrispondenti a un effettivo interesse sociale).

1 Dicembre 2022

Azione sociale di responsabilità e azione dei creditori: natura delle azioni e unitarietà delle stesse quando esercitate dal curatore

L’azione contro amministratori, liquidatori e sindaci, esercitata dal curatore del fallimento ex art. 146 l.f. compendia in sé tanto l’azione sociale di responsabilità quanto il rimedio accordato ai creditori a fronte della inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società, visto unitariamente come garanzia sia dei soci che dei creditori sociali. Detta azione ha carattere unitario ed inscindibile, risultando frutto della confluenza in un unico rimedio delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. Pertanto, proprio in ragione della unitarietà ed inscindibilità dell’azione di responsabilità, il curatore può impostare la domanda di risarcimento contro gli amministratori e i sindaci avvalendosi del regime che, in relazione alla fattispecie concreta, si palesi più favorevole. Così, potrà giovarsi delle più favorevoli regole che governano il riparto dell’onere della prova nelle azioni di responsabilità contrattuale (quale è, indubbiamente, l’azione sociale di responsabilità) e, del pari, potrà avvalersi del regime della prescrizione che, in relazione alla fattispecie concreta, risulti più favorevole.

La maturazione del termine prescrizionale – in entrambi i casi di durata quinquennale – deve essere valutata in riferimento allo specifico dies a quo relativo a ciascuna delle due azioni. Quanto all’azione sociale di responsabilità, l’art. 2393, co. 4, c.c. prevede che la predetta azione “può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica”. Tuttavia, un’analoga disposizione non si rinviene nell’art. 2476 c.c., con la conseguenza che in riferimento all’azione sociale di responsabilità nei confronti di amministratori di s.r.l. rimane operante il termine prescrizionale breve di cinque anni previsto in via generale dall’art. 2949 c.c. per i diritti derivanti dai rapporti sociali. Sicché, in virtù del principio di cui all’art. 2935 c.c., detto termine decorre dal giorno in cui il diritto al risarcimento può essere fatto valere e, dunque, dal verificarsi dell’evento dannoso ovvero dalla data di commissione dell’illecito foriero di pregiudizi al patrimonio sociale o, se successivo, dal prodursi dei relativi effetti pregiudizievoli. Con riferimento, invece, all’azione di responsabilità di cui all’art. 2394 c.c., il dies a quo per il computo del termine di prescrizione – pur sempre quinquennale – va rinvenuto nel momento in cui sia divenuta manifesta ed oggettivamente percepibile all’esterno l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori. E tanto sempre in forza del disposto dell’art. 2935 c.c. e alla luce del dettato del secondo comma dell’art. 2394 c.c., il quale dispone che “l’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti”. Ne consegue che il termine di prescrizione quinquennale per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità ai sensi dell’art. 2393 c.c. e dell’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. decorre: (i) per l’azione sociale di responsabilità, dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società (termine il cui decorso rimane sospeso, ex art. 2941, n. 7, c.c. fino alla cessazione dell’amministratore dalla carica) e (ii) per l’azione di responsabilità dei creditori, dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori stessi, dell’insufficienza del patrimonio a soddisfare i crediti che risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto. Allorquando le due azioni vengano esercitate congiuntamente dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 146 l.f., sussiste in ogni caso una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.

L’azione sociale, anche se esercitata dal curatore fallimentare, ha natura contrattuale. Ne consegue che, mentre sull’attore (società o procedura fallimentare) grava esclusivamente l’onere di dedurre le violazioni agli obblighi gravanti sugli amministratori e provare il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, sugli amministratori l’onere di riscontrare la non ascrivibilità del fatto dannoso, fornendo l’evidenza, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. L’inadempimento si presumerà colposo e, quindi, non spetterà al fallimento attore fornire la prova della colpa degli amministratori, mentre spetterà al convenuto amministratore evidenziare di avere adempiuto il proprio “munus” con diligenza ed in assenza di conflitto di interessi con la società, ovvero che l’inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile ex art. 1218 c.c., ovvero, ancora, che il danno è dipeso dal caso fortuito o dal fatto di un terzo. Il soggetto che agisce con l’azione in argomento è, però, onerato della allegazione e della prova, sia pure mediante presunzioni, dell’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale, di cui chiede il risarcimento, e della riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico. In ciò, infatti, consiste il danno risarcibile, il quale è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente. In difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria difetterebbe, infatti, di oggetto.

Di contro, l’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e presuppone l’assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti e un comportamento dell’amministratore funzionale a una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica (art. 2740 c.c.), con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere. Condizione indefettibile per l’utile esercizio dell’azione di cui all’art. 2394 c.c. è che il patrimonio della società risulti insufficiente a soddisfare il credito. A tal proposito, l’insufficienza patrimoniale dovrà essere individuata nell’eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell’impresa, ovverosia in una situazione in cui l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, risulti insufficiente al soddisfacimento di questi ultimi. Essa va distinta, dunque, dall’eventualità della perdita integrale del capitale sociale, dal momento che quest’ultima evenienza può verificarsi anche quando vi sia un pareggio tra attivo e passivo perché tutti i beni sono assorbiti dall’importo dei debiti e, quindi, tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi nel patrimonio della società. L’insufficienza patrimoniale, del resto, è una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza, indicata dall’art. 5 l.f. come incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, potendosi una società trovare nell’impossibilità di far fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro, così come potrebbe accadere l’opposto, vale a dire che l’impresa presenti una eccedenza del passivo sull’attivo, pur permanendo nelle condizioni di liquidità e di credito richieste (per esempio ricorrendo ad ulteriore indebitamento). Quanto agli altri elementi costitutivi dell’azione sociale in esame, essi vanno individuati nell’ascrivibilità, agli amministratori, di una condotta illegittima e la sussistenza di un rapporto di causalità tra tale condotta ed il pregiudizio subito dal patrimonio della persona giuridica.

La responsabilità risarcitoria dell’amministratore va riconnessa non ad una qualunque condotta illecita od omissione delle cautele ed iniziative dovute per legge e per statuto, ma solo a quelle condotte di mala gestio che, oltre ad integrare violazione degli obblighi gravanti sull’amministratore in forza della carica rivestita, risultino, altresì, foriere di danni per il patrimonio sociale. In altri termini, la parte che agisca per far valere la responsabilità dell’amministratore ha l’onere di dedurre specifici inadempimenti o inosservanze, non potendo limitarsi ad una generica deduzione dell’illegittimità dell’intera condotta ovvero alla mera doglianza afferente “i risultati negativi” delle scelte gestorie.

30 Novembre 2022

Azione di responsabilità esercitata dal curatore e revoca di trust

Ai sensi dell’art. 2486 c.c., al verificarsi della causa di scioglimento, gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio e, in caso di violazioni, rispondono degli eventuali danni arrecati alla Società e ai creditori sociali per aggravamento del dissesto. L’inadempimento ai suddetti obblighi espone gli amministratori a responsabilità per mala gestio verso la società e i creditori sociali per i danni ad esso conseguenti. Determina, altresì, responsabilità gestoria la condotta degli amministratori che, dopo aver appostato fittiziamente, nelle scritture contabili, una posta debitoria nei confronti dei soci, abbiano permesso ai medesimi di ottenere il rimborso di tali somme, in quanto condotta distrattiva – dissipativa delle risorse sociali.

I presupposti sui quali si fonda l’azione revocatoria sono l’esistenza di un diritto di credito, inteso quale ragione di credito, verso il debitore; l’esistenza di un atto dispositivo del patrimonio posto in essere dal debitore; l’eventus damni; un certo atteggiamento soggettivo che si sostanzia nella consapevolezza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto di disposizione comportava alle ragioni del creditore, pregiudicandone la garanzia patrimoniale (scientia fraudis), mentre se l’atto di disposizione è a titolo oneroso la consapevolezza deve essere provata anche in capo al terzo (partecipatio fraudis). Affinchè si realizzi l’eventus damni non è necessaria la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, incombendo l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie disponibilità patrimoniali, sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell’eventus damni.

Il negozio istitutivo di un trust, per considerarsi a titolo oneroso, deve essere posto in adempimento di un obbligo e dietro pagamento di un corrispettivo. Al contrario, se il trust viene posto in essere in virtù di una spontanea determinazione volitiva del disponente e in mancanza di un vantaggio patrimoniale, l’atto costitutivo del trust deve essere considerato a titolo gratuito, come per l’appunto si verifica nel caso di trust familiare.

10 Novembre 2022

Dolo del concorrente nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione

In tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori.

10 Novembre 2022

Riparto dell’onere della prova nelle azioni sociali di responsabilità

L’azione sociale di responsabilità ha pacificamente natura contrattuale e dunque, quanto al riparto dell’onere della prova,  il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’inadempimento; spetta quindi all’attore allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto, e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dell’amministratore contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.

10 Novembre 2022

Il dies a quo della prescrizione della responsabilità dell’amministratore è quello delle dimissioni e non dell’iscrizione della delibera di sostituzione

L’iscrizione nel registro delle imprese della delibera con cui l’assemblea ha accettato le dimissioni dell’amministratore e nominato un nuovo organo amministrativo non ha efficacia costitutiva, ma solo dichiarativa. Pertanto, il dies a quo per il calcolo del termine di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità nei confronti del primo amministratore deve essere identificato nella data dell’assemblea e non dell’iscrizione della relativa delibera.

L’amministratore di una società con l’accettazione della carica acquisisce il diritto ad essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli. Con riferimento poi alla determinazione della misura del compenso, la norma di cui all’art. 2389, co. 1, c.c. prevede che qualora essa non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio. Laddove, invece, manchi una disposizione dell’atto costitutivo e l’assemblea si rifiuti od ometta di stabilirlo o lo determini in misura inadeguata, l’amministratore è abilitato a richiederne al giudice la determinazione, anche in via equitativa.

La determinazione giudiziaria del giusto compenso dell’amministratore di società di capitali, ove non pattuito dalle parti deve essere condotta alla stregua del criterio di equità, secondo la regola della proporzione con l’entità della prestazione in concreto svolta e con il risultato fatto conseguire alla società, potendo rilevare, al riguardo, una pluralità di elementi, quali l’impegno profuso dall’amministratore nell’attività prestata, la situazione economica della società, gli utili e i vantaggi conseguiti, la misura dei compensi come corrisposti nei precedenti esercizi, il compenso corrente nel mercato per analoghe prestazioni, in relazione a società di simili dimensioni e così via.

In tema di assemblea dei soci per la promozione dell’azione di responsabilità, non rileva la mancata sottoscrizione di tale verbale da parte del presidente e dal segretario, atteso che trattasi di vizi meramente formali e tali da non inficiarne in ogni caso la validità, soprattutto qualora l’assemblea si svolga in modalità totalitaria e qualora non vi siano state impugnazioni di tale delibera.