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13 Gennaio 2022

Clausola compromissoria espunta dallo statuto. Sindacato sull’omissione di specifiche cautele nel giudizio sulla diligenza dell’amministratore

La clausola compromissoria ha natura processuale, cosicché trova applicazione l’art. 5 c.p.c., in forza del quale occorre aver riguardo, ai fini della determinazione della competenza, alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della proposizione della domanda. Ove una clausola compromissoria sia stata espunta dallo statuto sociale prima della proposizione della domanda giudiziale, deve essere affermata la competenza del giudice ordinario in ordine alle controversie che – in base alla suddetta clausola – sarebbero state devolute alla cognizione degli arbitri.

La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società (o il curatore, nel caso in cui l’azione sia proposta ex art. 146 L. Fall.,) deve allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri e provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestati, l’osservanza dei doveri di legge e statutari previsti dagli artt. 2392, 2476 c.c.

All’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, in quanto una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale; dunque, il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, fatta salva la possibilità di sindacare l’omissione di specifiche cautele normalmente richieste per scelte di quel tipo.

8 Gennaio 2021

Principi in tema di corretta gestione societaria e criteri per la valutazione della responsabilità degli amministratori

L’obbligazione degli amministratori verso la società è obbligazione di mezzi sicché essi, in difetto di elementi che mettano in dubbio la correttezza del procedimento seguito per pervenire alla decisione assunta, anche se questa ex post si è rivelata dannosa per la società, non saranno ritenuti responsabili del pregiudizio, salvo si dimostri l’assoluta ed evidente irrazionalità economica ex ante della scelta effettuata.

Al contrario, se la scelta è stata effettuata senza la preventiva corretta informazione, ovvero se essa deve ritenersi ex ante irrazionale od arbitraria, allora l’amministratore potrà essere ritenuto responsabile del risultato dannoso che ne è conseguito, poggiando il giudizio di responsabilità sulla colpa che ha caratterizzato la condotta nel pervenire alla scelta, ovvero sull’assoluta erroneità ex ante della scelta medesima.

La valutazione di responsabilità non può fondarsi su criteri di opportunità o convenienza della scelta gestoria perché se così si procedesse si sostituirebbe ex post un apprezzamento soggettivo a quello dell’amministratore che è l’organo competente a compiere le scelte gestorie.

L’insuccesso economico per la società della scelta dell’amministratore non è di per sé fonte di responsabilità per l’organo che si muove, se adotta la diligenza richiesta dall’art 2392 c.c., nell’ambito di un’area dove è titolare di un potere discrezionale vincolato dal fine di conseguire l’oggetto sociale. La valutazione che sta alla base del giudizio di responsabilità va condotta dunque sull’adeguatezza del procedimento decisionale seguito, la diligenza va rapportata alla condotta che ha portato l’amministratore ad un certo tipo di scelta e non al merito della scelta che costituisce, salvo il limite del conflitto di interesse o della assoluta irrazionalità manifesta, l’ambito di competenza proprio dell’amministratore nel conseguire l’oggetto sociale. Il merito della scelta e il risultato potranno costituire la base della valutazione rimessa agli azionisti sulla revoca o la conferma in carica dell’amministratore, valutazione quest’ultima che potrà essere condotta su presupposti del tutto autonomi da quelli che sostengono il giudizio di responsabilità civile dell’amministratore, considerando che i soci, al contrario degli amministratori che devono agire secondo discrezionalità tecnica per l’attuazione al meglio dell’oggetto sociale, possono liberamente e conformemente ai loro interessi anche personali esercitare i diritti sociali, in particolare il diritto di voto, salvo il limite dell’abuso.

La responsabilità solidale degli amministratori va imputata non a titolo oggettivo ma a titolo di colpa; la colpa dell’amministratore senza deleghe può consistere o nell’inadeguata conoscenza del fatto altrui, dovendo in ogni caso gli amministratori vigilare sull’andamento della gestione, o nel non essersi diligentemente e utilmente attivato al fine di evitare l’evento o eliminarne e attenuarne le conseguenze dannose, aspetti entrambi ricompresi nel concetto di essere “immuni da colpa” di cui all’art 2392 comma 3 c.c. (Cass n. 2038/2018). L’amministratore immune da colpa è tenuto ad annotare il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio dandone notizia immediata per iscritto al collegio sindacale. L’annotazione del dissenso si inserisce tra le condotte che l’amministratore deve compiere per escludere la sua responsabilità solidale. L’astensione alla decisione consiliare sull’operazione dannosa è tutt’altro dal dissenso e nel sistema è equiparata piuttosto al voto favorevole tanto che l’art 2388 comma 3 c.c. non legittima l’amministratore che si è astenuto alla impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione che sia stata presa non in conformità della legge o dello statuto, mentre sono legittimati gli amministratori dissenzienti ed assenti.

Responsabilità degli amministratori verso la società: diligenza e ripartizione dell’onere della prova

La diligenza cui l’art. 2392 c.c. si riferisce non attiene necessariamente a competenze tecniche economiche e/o finanziarie, bensì alla diligenza gestionale; il che comporta che le scelte degli amministratori devono essere informate, meditate, ragionevoli e basate sulle conoscenze tecniche richieste di volta in volta e non determinate da irresponsabile o negligente improvvisazione. La norma distingue anche il tipo di responsabilità tra gli amministratori per il caso che alcune funzioni siano attribuite in concreto soltanto ad alcuni di essi: in questo caso gli amministratori deleganti rispondono per non aver correttamente vigilato sull’operato dei primi e per non aver impedito la commissione del fatto. Essa, quindi, permette di “graduare” la responsabilità, disancorandola dal mero coefficiente oggettivo di produzione del danno e prediligendo l’aspetto (quanto meno) della colpa.

L’onere probatorio posto a carico dell’attore che si dolga della negligenza dell’amministratore ha ad oggetto l’inadempimento da parte di questi dei doveri ad esso imposti dalla legge o dallo statuto, il rapporto di causalità tra la condotta e il danno; incombe, invece, sul convenuto l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla propria condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti. Non è, dunque, sufficiente elencare chi fossero gli amministratori in carica nel periodo del fatto contestato ed allegare un pregiudizio pari al valore commerciale dell’operazione, incombendo sull’attore l’onere di dimostrare il comportamento negligente posto in essere da ciascuno degli amministratori convenuti e le conseguenze dannose che una tale condotta (dolosa o colposa) avrebbe provocato.

Va ricordato che il giudizio del tribunale sulla diligenza degli amministratori non può investire nel merito le scelte di gestione. In base alla c.d. business judgment rule o giudizio prognostico postumo, infatti, è escluso che possa essere effettuato ex post un vaglio del merito e della bontà dell’affare, salva ovviamente la verifica che l’operazione non risulti del tutto irrazionale ed aleatoria, ma l’indagine dovrà essere volta esclusivamente a verificare ed accertare la correttezza procedurale della decisione. Per sindacare la ragionevolezza o meno dell’operazione con il criterio della prognosi postuma, il giudice deve collocarsi nella medesima posizione del convenuto all’inizio dell’attività dannosa e valutare, in base alla diligenza tecnica e/o professionale richiesta all’amministratore di una società in relazione all’atto concretamente posto in essere, se questo potesse considerarsi ragionevole o viceversa dannoso per la società con certezza o alta probabilità.

Per l’esercizio dell’azione di responsabilità da parte dei creditori sociali la legge prevede un termine di prescrizione quinquennale (art. 2949, co. 2, c.c.), che inizia a decorrere da quando il diritto può essere fatto valere. Tale momento è individuabile non nella data di commissione dei fatti gestori lesivi, bensì nel momento della percepibilità del danno ad essi conseguente: in particolare, per i creditori sociali, dalla data in cui risulta l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i loro crediti, momento molto vicino – se non coincidente – con la dichiarazione di fallimento.

Nella fattispecie prevista dall’art. 2391 c.c. il conflitto di interessi deve manifestarsi al momento dell’esercizio deliberativo: ciò a differenza della situazione regolata dall’art. 1394 c.c., ove invece rileva il conflitto di interessi che si sia manifestato in sede di esercizio del potere rappresentativo.

Presupposto applicativo della norma di cui all’art. 1304 c.c. è che la transazione riguardi l’intero debito solidale e non la quota interna del singolo debitore; in quest’ultimo caso (c.d. “transazione parziale”, estranea al perimetro applicativo dell’art. 1304 c.c.), gli altri condebitori non possono avvalersi della transazione come causa di estinzione dell’obbligazione, pur verificandosi la riduzione dell’intero debito solidale per un importo corrispondente alla quota transatta e, conseguentemente, rimanendo in capo agli altri condebitori un’obbligazione non maggiore di quella loro complessivamente attribuibile. Da ciò consegue che, in ipotesi di accertata responsabilità dei convenuti non paciscenti, essi saranno sì condannati al risarcimento dell’obbligazione residua, ma con la precisazione che se le somme oggetto di transazione risultino inferiori rispetto alla quota ideale dei debitori che vi hanno aderito, allora la somma cui siano stati complessivamente condannati i condebitori in solido andrebbe ridotta di un importo pari alla suddetta quota ideale e non alla minor somma oggetto di transazione; viceversa, laddove gli importi oggetto di accordo transattivo dovessero risultare maggiori rispetto alle quote ideali, il complessivo debito dei responsabili in solido verrebbe ridotto per tale somma, dal momento che il creditore non può ottenere un risarcimento maggiore del danno patito.

Azione di responsabilità nei confronti di amministratori di s.p.a. e responsabilità degli amministratori privi di deleghe

La presenza di amministratori con funzioni delegate non comporta che gli altri siano esonerati da responsabilità solidale per i comportamenti dei primi che costituiscono inadempimento degli specifici obblighi di condotta della carica rivestita nonché del generale obbligo di amministrazione diligente.

Gli amministratori privi di deleghe sono responsabili se colposamente non abbiano rilevato i segnali, percepibili con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, dell’altrui illecita gestione della società e sono tenuti ad agire sulla base delle informazioni ricevute dagli amministratori delegati o, in mancanza, a sollecitare tali informazioni.

28 Febbraio 2019

Sull’onere probatorio nell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare

Nell’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall., esercitata dal curatore nei confronti di amministratori e sindaci di S.p.A. fallita, l’inadempimento si presume colposo: se l’allegazione della violazione degli obblighi (che, nel caso della fattispecie dell’azione sociale riguarda doveri imposti dalla legge, dallo statuto o obblighi generali di vigilanza e intervento, mentre, nel caso dell’azione spettante ai creditori sociali, riguarda comportamenti lesivi dell’integrità patrimoniale) grava sul curatore, la prova della mancanza del nesso di causalità tra tali comportamenti e il fatto dannoso, e quindi la prova positiva  dell’osservanza di tali doveri, grava sugli amministratori. In questo contesto, il nesso di causalità non è solo presupposto necessario e sufficiente per affermare la responsabilità risarcitoria, ma anche parametro per l’entità del risarcimento. In particolare, gli obblighi che riguardano la riduzione del capitale per perdite al disotto del minimo legale – prevista come causa di scioglimento, la quale conferisce agli amministratori il potere di gestire la società ai fini della liquidazione – implicano responsabilità non solo per mancanza di accertamento della menzionata causa ma anche per il suo non tempestivo riconoscimento: chi agisce ex art. 2486 c.c. deve dunque fornire evidenza della prosecuzione dell’attività imprenditoriale, dell’avvenuta perdita di capitale e gli atti negoziali posti in essere successivamente – e nonostante – la conoscenza della predetta causa di scioglimento; spetta invece agli amministratori provare che la protrazione dell’attività è dovuta a finalità liquidatorie, connesse all’ordinaria attività di impresa e non comportanti nuovi rischi.

28 Febbraio 2018

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento contro l’amministratore di società a responsabilità limitata

In tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, che sia fallita, deve ritenersi pacifica la legittimazione attiva del curatore, previa autorizzazione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori, poiché, ai sensi dell’art. 146 L.F., così come riformulato dall’art. 130 del d.lgs. n. 5/2006, tale organo è abilitato all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro gli amministratori, organi di controllo, direttori generali e liquidatori della società. [ LEGGI TUTTO ]

27 Febbraio 2017

Responsabilità degli amministratori di s.r.l. e scelte gestionali imprudenti

La s.r.l. che agisce per far valere la responsabilità dell’amministratore, oltre ad allegare l’inadempimento dell’amministratore, deve provare, sia pure ricorrendo a presunzioni, l’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale di cui si chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto [ LEGGI TUTTO ]

21 Novembre 2016

Responsabilità degli organi amministrativi nei confronti dei creditori sociali e nei confronti della curatela fallimentare: onere della prova, natura e presupposti

Sussiste in capo al curatore delle S.r.l. fallite il diritto di esercitare nei confronti degli organi sociali, indistintamente e cumulativamente, sia l’azione di responsabilità che l’azione spettante ai creditori della società, atteso il carattere unitario ed inscindibile dell’azione di responsabilità ex art. 146 l.f.

Nell’adempimento delle proprie obbligazioni, agli amministratori di S.r.l., al pari di quelli delle S.p.A., è ora richiesta [ LEGGI TUTTO ]