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20 Marzo 2023

Esclusione del socio di s.r.l. per giusta causa e abuso di potere in assemblea

È legittima l’introduzione a maggioranza assembleare di una clausola di esclusione del socio ai sensi dell’art. 2473 bis c.c. Pertanto, qualora la clausola rispetti i requisiti di sufficiente specificità e sia sorretta da giusta causa, la stessa può essere introdotta durante societate anche a maggioranza. È inammissibile una clausola generica di esclusione, in quanto è necessario determinare specificatamente nell’atto costitutivo le fattispecie che, incidendo sulla permanenza del vincolo societario, consentono di estromettere il socio dalla società, da cui la ritenuta illegittimità di tutte quelle clausole che, nei presupposti, evidenzino generiche “gravi inadempienze del socio” senza indicare specificatamente determinate tipologie di comportamento, dal momento che l’organo competente alla valutazione dei requisiti legittimanti l’esclusione del socio, sia esso amministrativo o assembleare, si vedrebbe assegnato un potere privo di adeguato controllo. Così come è illegittima una clausola che non concretizzi in maniera prevedibile e aprioristicamente valutabile quella giusta causa che il legislatore richiede come requisito fondamentale dell’esclusione. Infatti, quando il legislatore della riforma consente che lo statuto possa “prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio” non costringe all’elencazione di eventi che, se giudicati a posteriori, sarebbero qualificabili come casi di giusta causa, ma consente di introdurre nello statuto la previsione di eventi che da quella società sono a priori considerati, al fine dell’ordinato sviluppo della propria attività, elementi di grave turbativa, legittimanti per ciò l’allontanamento di uno dei membri di quella collettività, e quindi fattispecie di giusta causa. In sostanza, la giusta causa verificabile a posteriori non può non essere che un concetto valevole per l’ordinamento nel suo complesso e quindi per tutti i consociati che di quell’ordinamento sono parte; mentre la giusta causa specificata a priori è la giusta causa propria di quella data collettività che la definisce per sé, e che quindi potrebbe essere non generalizzabile al di fuori di quella collettività ove è stata definita e ove essa vige. È legittimo individuare una giusta causa di esclusione ex art. 2473 bis c.c. nel fallimento del socio; con l’ovvia precisazione, tuttavia, che il compendio della liquidazione dovrà essere versato alla procedura e che, comunque, in tal caso occorrerà applicare il disposto dell’ultimo comma dell’art. 2471 c.c., che estende al fallimento la procedura di vendita prevista per il caso del pignoramento della quota di società a responsabilità limitata. Costituisce una legittima causa di esclusione ex art. 2473 bis c.c. quella in forza della quale un socio può essere escluso dalla società qualora il medesimo sia a sua volta una società e, senza il consenso dei restanti soci della partecipata, muti per qualsiasi causa la propria compagine sociale, anche in esito a operazioni di scissione o fusione (c.d. changing control). Tale clausola può essere introdotta in statuto a maggioranza e ben può ritenersi legittima in quanto riferita ad evento capace di incidere sulla figura dei soci sì da minare alle radici il fondamento dell’unità di quella compagine sociale. Costituisce una legittima causa di esclusione ex art. 2473 bis c.c. quella in forza della quale un socio può essere escluso dalla società qualora non adempia agli obblighi assunti nei confronti della società o di altri soci, quali obblighi funzionali al perseguimento dell’oggetto sociale in quanto necessari in vista del perseguimento delle competenze e dei mezzi, anche economici necessari all’attività della società, come previsti nell’atto costitutivo, in scrittura privata autenticata o non disconosciuta. Posta l’astratta configurabilità della vicenda dell’abuso di potere anche rispetto ai voti espressi dai soci in seno all’assemblea, va precisato che, perché possa dirsi integrato un vizio della delibera, è necessario allegare e dimostrare che la stessa sia il portato di un esercizio fraudolento ovvero ingiustificato del potere di voto; e ciò in quanto l’abuso non può consistere nella mera valutazione discrezionale dei propri interessi ad opera dei soci, ma deve concretarsi nella intenzionalità specificatamente dannosa del voto, ovvero nella compressione degli altrui diritti in assenza di apprezzabile interesse del votante. L’abuso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari quando la deliberazione: a) non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società; deve pertanto trattarsi di una deviazione dell’atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento, da parte dei soci di maggioranza, di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale; b) sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza, diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli poiché rivolta al conseguimento di interessi extrasociali. I due requisiti testé evidenziati non sono richiesti congiuntamente, ma in alternativa. Ne deriva, in adesione ai principi ora enunciati, che l’esame del merito della delibera è ammesso solo in presenza di indici oggettivi da cui sia dato inferire la violazione di vincoli imposti dall'ordinamento alla maggioranza e desunti nei modi succitati. Della sussistenza e della prova di tali indizi è naturalmente onerata la parte che assume l’illegittimità della deliberazione; grava, cioè, sul socio di minoranza l’onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto. È, poi, chiaro che la presenza del fine fraudolento – la cui prova può essere data anche induttivamente, dimostrando che lo scopo apparentemente perseguito dalla società è in realtà inesistente – costituisce non solo un sintomo del vizio della decisione impugnata, ma anche il limite alla tutela della minoranza. L’abuso di potere, infatti, è pur sempre un vizio di legittimità della delibera, riscontrabile solo nella misura in cui non comporti un controllo giudiziario sulle libere determinazioni dell’autonomia privata provenienti dagli organi della società, rispetto alle quali è preclusa qualsiasi valutazione di opportunità. L’esigenza di consentire a ciascun socio, non soltanto di partecipare ai lavori assembleari in modo consapevole e informato sulle questioni che ivi saranno trattate, ma anche di veder tutelata la sua buona fede per il caso in cui non intenda prendervi parte, viene perseguita mediante la previsione dell’obbligo di indicare, nell’avviso di convocazione, l’elenco delle materie che dovranno essere oggetto di trattazione e decisione (c.d. ordine del giorno), con la conseguenza che, sia nel caso in cui l’avviso di convocazione non contenga affatto l’enunciazione dell’ordine del giorno, sia nelle ipotesi in cui le materie da trattare in assemblea siano indicate in maniera generica o ambigua, le deliberazioni così adottate divengono annullabili. Segnatamente, la deliberazione adottata sulla base di un ordine del giorno dal contenuto indeterminato deve considerarsi annullabile e non nulla, in quanto le norme concernenti le formalità di convocazione dell’assemblea mirano a tutelare esclusivamente l’interesse dei soci al regolare svolgimento dell’attività interna della società e non incidono sui presupposti essenziali di formazione della volontà sociale. Tuttavia, affinché possa adeguatamente assolvere alle funzioni sue proprie, l’ordine del giorno inserito nell’avviso di convocazione non deve necessariamente sostanziarsi in una indicazione particolareggiata delle materie da trattare o, addirittura, in una anticipata comunicazione del contenuto della decisione da assumere, dimostrandosi sufficiente un’indicazione sintetica delle questioni, purché perspicua ed non equivoca. Anzi, non par superfluo evidenziare che, fuori dalle ipotesi in cui lo stesso legislatore prescrive che l’avviso di convocazione sia circostanziato e dettagliato (come nel caso dell’art. 2445 c.c.), nella formulazione dell’ordine del giorno da inserire nell’avviso di convocazione occorre contemperare l’esigenza di fornire indicazioni puntuali circa gli argomenti da trattare in assemblea, con la contrapposta esigenza di preservare l’elasticità e la flessibilità dei lavori assembleari; invero, un ordine del giorno eccessivamente puntuale e dettagliato, talvolta, potrebbe condizionare la libertà di determinazione dell’assemblea, sminuendo il rilievo che, a tal fine, assume il dibattito e la discussione dei soci. [ Continua ]
27 Maggio 2023

Presupposti dell’azione revocatoria

Nel caso di atto dispositivo eseguito a titolo oneroso, in ottica di tutela del terzo avente causa - il quale comunque ha versato un controvalore a fronte del negozio stipulato in suo favore - appare necessario che l’attore, oltre a provare la conoscenza in capo al debitore del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie con l’atto dispositivo, dimostri che anche il terzo ne fosse a conoscenza o, perlomeno, ne avesse la conoscibilità. Qualora la disposizione a titolo oneroso sia stata posta in essere prima dell’esistenza del credito, il creditore sarà chiamato a provare anche la c.d. partecipatio fraudis, ossia che il terzo, avente causa, fosse a conoscenza della dolosa preordinazione dell’alienazione, da parte del debitore, con riguardo al credito. La prova della participatio fraudis del terzo può essere ricavata anche da presunzioni semplici. [ Continua ]
20 Luglio 2023

Presupposti per il riconoscimento del TFM

Si deve rilevare come il TFM sia una componente della retribuzione aggiuntiva a quella ordinaria e in quanto tale concessa dallo Statuto o dalla assemblea ex art 2364 e 2389 c.c. Qualora lo statuto non preveda il TFM come dovuto, ma solo come possibile, è necessaria una delibera assembleare per far sorgere in capo all’ex amministratore il diritto all’indennità di fine mandato che reclama. Delibera che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa. [ Continua ]

Forma (libera) del contratto di cessione di partecipazioni e prova della sua stipulazione

Con riguardo alla prova della stipula di accordi involgenti società di capitali e pattuizioni assai complesse, volte al trasferimento di quote di una società straniera a mezzo di una società veicolo appositamente costituita in Italia, non rileva il difetto, di per sé, di un regolamento scritto, essendo il contratto di cessione di partecipazioni un negozio a forma libera, quanto piuttosto della formazione del consenso sulle rispettive obbligazioni. [ Continua ]
8 Giugno 2023

Notificazione eseguita dall’agente postale

Nella notificazione a mezzo del servizio postale, l'attività legittimamente delegata dall'ufficiale giudiziario all'agente postale, in forza del disposto dell'art. 1 della legge n. 890 del 1982, gode della stessa fede privilegiata dell'attività direttamente svolta dall'ufficiale giudiziario stesso ed ha il medesimo contenuto, essendo egli, ai fini della validità della notifica, tenuto a controllare il rispetto delle prescrizioni del codice di rito sulle persone a cui l'atto può essere legittimamente notificato, e ad attestare la dichiarazione resa dalla persona che riceve l'atto, indicativa delle propria qualità. Ne consegue che, anche nel caso di notificazione eseguita dall'agente postale, la relata di notificazione fa fede fino a querela di falso per le attestazioni che riguardano l'attività svolta, ivi compresa l'attestazione dell'identità del destinatario che ha rifiutato di ricevere il piego, trattandosi di circostanza frutto della diretta percezione del pubblico ufficiale nella sua attività di identificazione del soggetto cui è rivolta la notificazione dell'atto. [ Continua ]
7 Giugno 2023

Possibilità per i terzi di assistere alla riunione assembleare

Il legislatore riserva il diritto di intervento ai soci aventi diritto di voto (art. 2370, co. 1 c.c.), mentre nulla dice con riferimento alla partecipazione di terzi, essendo in tal senso stato chiarito da parte di autorevole dottrina che i riferimenti codicistici alla partecipazione, in particolare all’art. 2377, co. 5, n. 1 c.c. devono intendersi applicabili alla sola categoria dell’intervento ai fini del voto; l’art. 2370 c.c. deve quindi intendersi riferito solo a chi partecipa attivamente all’assemblea esprimendo il voto e non a chi semplicemente vi assista. La titolarità del diritto di voto è il presupposto del diritto di intervento in assemblea sicchè nessun altro soggetto diverso da coloro che sono titolari del diritto di voto può pretendere di partecipare all’assemblea, salvo diversa disposizione di legge (con riferimento agli organi sociali) e statutaria o autorizzazione concessa dal Presidente dell’Assemblea nell’ambito della sue prerogative ex art 2371 c.c. In assenza di un’espressa previsione legislativa circa la facoltà per soggetti terzi rispetto a chi sia titolare del diritto di voto di assistere alla riunione assembleare occorre fare riferimento allo statuto; la dottrina ammette che, in assenza di espressi divieti nello statuto, il Presidente dell’Assemblea possa autorizzare la partecipazione e l’assistenza di soggetti estranei alla compagine sociale nell’ambito delle sue ampie competenze riconosciutegli dall’art. 2371 c.c. [ Continua ]
5 Agosto 2023

Trasformazione societaria e domanda di risoluzione del preliminare

Qualora vi sia una trasformazione da Spa in Srl, non è più eseguibile il preliminare avente ad oggetto il trasferimento  di partecipazioni sociali nei termini concordati dalle parti, essendo variato l’oggetto anche con riferimento alla qualità del bene: da azione a quote di srl. Da ciò si ricava che dalla diffida ad adempiere di un simile contratto rimasta infruttuosa non possa scaturire la risoluzione del contratto ex art 1454 c.c. [ Continua ]
20 Luglio 2022

Legittimazione del curatore ad esercitare l’azione di responsabilità in caso di sequestro di partecipazioni societarie e di azienda

Ove il sequestro riguardi partecipazioni societarie, il curatore potrà esperire l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori volontari che erano in carica prima del sequestro ovvero in costanza di sequestro. Anche in caso di sequestro di azienda, il curatore, in virtù della legittimazione processuale generale a lui riconosciuta nell’esercizio di diritti afferenti la massa dei creditori, può esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli atti di mala gestio compiuti dagli amministratori volontari prima del sequestro penale. Più problematico appare, invece, l’esercizio dell’azione di responsabilità rispetto a condotte tenute dagli amministratori volontari in pendenza di sequestro. In questo caso, posto che l’amministratore giudiziario gestisce l’intera azienda con tutti i suoi beni mobili, immobili, conti correnti e disponibilità finanziarie e che non residuano beni nel patrimonio sociale, osta al riconoscimento della legittimazione, la necessaria inerenza del danno, eventualmente cagionato, ad un patrimonio. In tal caso, infatti, tutti i poteri di gestione appartengono all’amministratore giudiziario mentre l’organo di amministrazione volontaria, come avviene nel caso di fallimento, è in una posizione di sostanziale quiescenza per cui l’azione, astrattamente esperibile, risulterà difficilmente fondata. Il problema potrebbe porsi, in concreto, solo nel caso in cui l’amministratore volontario si ingerisca nella gestione dell’amministratore giudiziario, assumendo il contegno di un amministratore giudiziario “di fatto”. In quest’ultimo caso la legittimazione del curatore ad esperire l’azione di responsabilità va tuttavia esclusa potendo, detta condotta, essere rilevata solo dal giudice.

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7 Giugno 2023

Responsabilità ex art. 2395 c.c. per informazioni decettive nel bilancio: la riserva di rivalutazione a seguito di scissione

L’azione ex art 2395 c.c. non è azione della massa e al relativo esercizio sono legittimati i creditori anche se la società è stata dichiarata fallita. In tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione, di natura aquiliana, per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, dovendosi proporre, altrimenti, l’azione, contrattuale, di cui all’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 l. fall. Gli amministratori sono responsabili della formazione dei bilanci portati all’approvazione dell’assemblea, ma nell’ambito della responsabilità ex art 2395 c.c. per informazioni decettive trasmesse con i bilanci occorre valutare in concreto la portata ingannatoria delle informazioni non veritiere dei dati di bilancio in rapporto alla capacità di lettura dei medesimi da parte di chi si assume ingannato. In tema di obbligazioni derivanti da una pluralità di illeciti ascrivibili a differenti soggetti, qualora soltanto il fatto di un obbligato sia anche reato, mentre quelli degli altri costituiscano illeciti civili, la possibilità di invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall’art. 2947, co. 3, c.c. per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato è limitata all’obbligazione nascente dal reato, né, a tal fine, assume rilievo la citazione nel processo penale, quale responsabile civile, del soggetto obbligato civilmente per una condotta distinta ed autonoma da quella penalmente illecita. In tema di risarcimento del danno, l’impossibilità di far valere il diritto quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c. è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende, quando il danno sia percepibile all’esterno e conoscibile da parte del danneggiato, gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, tra i quali l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, o il dubbio soggettivo sulla esistenza di tale diritto od il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento. [ Continua ]