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Art. 24 cost.
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11 Luglio 2024

Decorrenza del termine prescrizionale delle azioni verso i revisori e le società di revisione: questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, D.Lgs. n. 39/2010

L’art. 15, co. 3, del D.Lgs. n. 39/2010 differenzia irragionevolmente la disciplina di decorrenza del termine di prescrizione delle azioni risarcitorie proponibili ex contractu o ex delicto nei confronti dei revisori rispetto a quella prevista con riferimento alla prescrizione delle stesse azioni proponibili nei confronti degli amministratori e dei sindaci, determinando altresì, con ciò, un ostacolo irragionevole all’esercizio dei diritti risarcitori della società, dei soci e dei terzi, compresi i creditori. La differenza sta nel fatto che nel secondo caso – azioni verso amministratori e sindaci – in conformità ai principi generali, il termine decorre dal momento in cui i danneggiati hanno conoscenza del danno subito, momento da valutare secondo criteri obiettivi. Nel primo, invece, il termine decorre dalla data della relazione di revisione, cioè da un termine fisso, identificabile in un comportamento bensì generativo del danno ma in modo per nulla affatto immediato e privo di alcun rapporto con il manifestarsi del danno medesimo. Quest’ultimo regime di decorrenza della prescrizione pone un ostacolo effettivo alla tutela dei diritti risarcitori della società, dei soci e dei terzi, poiché determina la rilevanza a fini prescrizionali di un periodo di tempo – quello tra la data della relazione di revisione ed il momento (da valutarsi secondo criteri oggettivi) di conoscenza del danno da parte del danneggiato – in cui al danneggiato stesso non è imputabile alcuna inerzia nell’esercizio del suo diritto.

Si pongono allora con particolare evidenza un aspetto di irragionevole discriminazione rispetto alla disciplina del decorso del termine prescrizionale previsto per le azioni verso amministratori e sindaci ed un profilo di irragionevolezza intrinseca della previsione normativa qui censurata; sicché va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, co. 1, e 24, co. 1, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, co. 3, D.Lgs. n. 39/2010, nella parte in cui prevede che il termine di prescrizione delle azioni nei confronti di revisori e società di revisione decorre dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento.

 

6 Novembre 2023

Responsabilità per falso da prospetto, false informazioni finanziarie e di bilancio

In tema di risarcimento del danno da perdita di chance occorre tenere distinta la dimensione della causalità da quella dell’evento di danno e si deve adeguatamente valutare il grado di incertezza dell’una e dell’altra, muovendo, prima, dalla necessaria indagine sul nesso causale tra la condotta e l’evento, secondo il criterio civilistico del più probabile che non, l’accertamento del nesso di causalità tra il fatto illecito e l’evento di danno (rappresentato, in questo caso, dalla perdita non del bene della vita in sé ma della mera possibilità di conseguirlo) non è sottoposto a un regime diverso da quello ordinario, sicché sullo stesso non influisce, in linea di principio, la misura percentuale della suddetta possibilità, della quale, invece, dev’essere provata la serietà e apprezzabilità ai fini della risarcibilità del conseguente pregiudizio e  procedendo, poi, all’identificazione dell’evento di danno, la cui riconducibilità al concetto di chance postula una incertezza del risultato sperato in quanto la perdita di chance consiste nella perdita non del bene della vita in sé, ma della mera possibilità di conseguirlo; ne consegue che, provato il nesso causale rispetto a un evento di danno accertato nella sua esistenza e nelle sue conseguenze dannose risarcibili, il risarcimento di quel danno sarà dovuto integralmente.

Il bilancio e le relazioni periodiche contengono le informazioni contabili costituenti lo strumento principale utilizzato dai terzi, dai soci e dagli investitori per compiere consapevolmente le proprie scelte di investimento e disinvestimento. Secondo un criterio di regolarità causale, ex art. 1223 c.c., si deve ritenere che gli investitori compiono scelte di acquisto o disinvestimento di strumenti finanziari in base a tali informazioni contabili ovvero dai prospetti informativi in caso di sollecitazione all’investimento. Cosicché, se le informazioni sono state fuorvianti e dall’investimento o mancato disinvestimento ne è conseguito un pregiudizio patrimoniale, il pregiudizio si presume causalmente ricollegabile, secondo un alto grado di probabilità logica e di razionalità, alle false informazioni contenute nei documenti informativi diffusi dalla società del danno deve ritenersi responsabile la società. Sussiste, quindi, una presunzione di nesso di causalità tra la scelta di investimento/disinvestimento e l’informazione data al pubblico dall’emittente. La presunzione è suscettibile però di prova contraria se si dimostra e risulta dagli atti del processo, anche alla luce delle condotte tenute dall’investitore successivamente al disvelamento della informazione decettiva, l’irrilevanza delle informazioni date al mercato in rapporto alla scelta concreta dell’investitore specifico.

L’intervenuto trasferimento dell’azione civile nel processo penale, sia esso qualificato come impeditivo alla prosecuzione del primo processo o estintivo dello stesso, opera di diritto ed è rilevabile d’ufficio, perché comporta, a norma dell’art. 75 c.p.p., la rinuncia agli atti del giudizio civile, con conseguente effetto estintivo ex art. 306 c.p.c. e 75 c.p.p.

La sospensione necessaria del processo, ex art. 295 c.p.c., presuppone l’esistenza di un nesso di pregiudizialità sostanziale, ossia una relazione tra rapporti giuridici sostanziali distinti e autonomi, dedotti in via autonoma in due diversi giudizi, uno dei quali (pregiudiziale) integra la fattispecie dell’altro (dipendente) in modo tale che la decisione sul primo rapporto si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione del secondo. Ciò tenuto conto che: (i) l’art. 295 c.p.c. allude a un rapporto di stretta affinità-consequenzialità fra due possibili statuizioni e, quindi, in coerenza con l’obiettivo di evitare un conflitto tra giudicati, non a un mero collegamento tra diverse statuizioni (per l’esistenza di una coincidenza o analogia di riscontri fattuali o di quesiti da risolvere per la loro adozione) bensì ad un collegamento logico-giuridico, la soluzione del quale pregiudichi in tutto o in parte l’esito della causa da sospendere; tale rapporto ricorre solo quando una situazione sostanziale rappresenti un fatto costitutivo o comunque un elemento della fattispecie, sicché, occorre garantire uniformità di giudicati, essendo la decisione del processo principale idonea a definire, in tutto o in parte, il thema decidendum del processo pregiudicato, con portata pregiudiziale in senso stretto e vincolante sulla causa pregiudicata.

23 Giugno 2023

Legittimazione del socio di s.r.l. all’impugnazione di una delibera e all’azione di responsabilità

Se di regola il difetto della qualità di socio in capo all’attore al momento della proposizione di una domanda di accertamento della nullità di una delibera assembleare, o a quello della decisione della controversia, esclude la sussistenza in lui dell’interesse ad agire per evitare la lesione attuale di un proprio diritto e per conseguire con il giudizio un risultato pratico giuridicamente apprezzabile, ciò tuttavia non può dirsi nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta. In tal caso, anche la stessa legittimazione dell’attore ad ulteriormente interferire con l’attività sociale sta o cade a seconda che la deliberazione impugnata risulti o meno legittima: la declaratoria della nullità della deliberazione può dunque condurre al ripristino della qualità di socio dell’attore, e tale risultato costituisce una delle ragioni per le quali la deliberazione viene impugnata. Sarebbe allora logicamente incongruo, e si porrebbe insanabilmente in contrasto con i principi enunciati dall’art. 24 Cost., co. 1, l’addurre come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti. Analoghe considerazioni possono svolgersi quanto all’azione di annullamento.

Diversamente deve opinarsi in riferimento alla legittimazione dell’attore ad esercitare l’azione sociale di responsabilità a norma dell’art. 2476, co. 3, c.c. A differenza dell’azione di impugnazione delle delibere assembleari o delle decisioni dei soci, con l’azione di responsabilità sociale, il socio non esercitata diritti propri nel proprio interesse, ma diritti risarcitori che competono all’ente collettivo in ragione della violazione imputata all’organo gestorio degli obblighi di corretta amministrazione che detto organo ha, non direttamente nei confronti del socio, ma nei confronti della società. In effetti, la stessa disciplina dell’art. 2476 c.c., in tema di azione sociale di responsabilità esercitata dal socio, esplicita che il diritto fatto valere è appartenente alla società che, infatti, può transigere o rinunciare all’azione, competendo l’eventuale risarcimento unicamente alla stessa che è parte necessaria del giudizio in quanto beneficiaria del credito risarcitorio e titolare della relativa posizione giuridica pretensiva rispetto all’inadempimento degli obblighi amministrativi. Dal punto di vista processuale, se con l’azione di impugnazione il socio fa valere diritti ed interessi propri asseritamente lesi dalla delibera o decisione dei soci, con l’azione sociale di responsabilità si verifica una deroga al divieto di far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui, fuori dai casi espressamente previsti dalla legge come è quello che occupa, parlandosi così di legittimazione straordinaria del socio in termini di sostituzione, a norma dell’art. 81 c.p.c.  che, essendo norma processuale, è di stretta applicazione.

Nel caso dell’impugnazione delle delibere dei soci che comportino come loro conseguenza la perdita dello status di socio, con conseguente perdita dei diritti partecipativi che allo stesso sono attribuiti, l’impugnante, pur non ricoprendo più al momento dell’impugnazione la qualità che lo legittimerebbe al rimedio, mantiene la legittimazione e l’interesse ad agire proprio perché, in forza dell’invalidazione della delibera egli tende a riacquisire i diritti partecipativi perduti in modo illegittimo, in altre parole permanendo al momento dell’impugnazione legittimazione ed interesse ad agire dell’impugnante quale socio. Diversa è la questione della legittimazione ad agire del socio in riferimento all’azione sociale di responsabilità. In effetti, è improcedibile l’azione di responsabilità promossa dal socio che non abbia sottoscritto l’aumento di capitale deliberato dall’assemblea dei soci ai sensi dell’art. 2482 ter, co. 1, c.c., in quanto tale evento determina la perdita della qualità di socio e, quindi, la perdita della legittimazione ad agire in giudizio contro gli amministratori in qualità di sostituto processuale della società onde esercitare diritti della società medesima e non propri.

Proprio per la natura derivata e straordinaria della legittimazione del socio, a nulla rileva il fatto che il medesimo abbia perduto la qualità in virtù della delibera che ha accertato la perdita del capitale e disposto la sua ricostituzione, anche là dove si obiettasse che la perdita sia stata illegittimamente determinata dagli amministratori con conseguente loro responsabilità risarcitoria, posto che il diritto che il socio fa valere riguarda il risarcimento alla lesione del patrimonio sociale di cui è titolare la società, e non un diritto proprio, essendo l’eventuale lesione del socio semplicemente indiretta e derivata dalla lesione sopportata dalla società.

19 Maggio 2023

Sulla legittimazione dell’ex socio ad impugnare la delibera assembleare di s.r.l.

In tema di operazioni sul capitale sociale, la perdita della qualità di socio in capo a chi non abbia sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale non incide sulla legittimazione ad esperire le azioni di annullamento e di nullità della deliberazione assembleare adottata ex art. 2447 o 2482 c.c., che rimane inalterata, in quanto sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all’art. 24, comma 1, Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’istante assume essere “contra legem” e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.

La perdita della qualità di socio non vale, quindi, a determinare il difetto di legittimazione ad impugnare la delibera dell’assemblea dei soci che si assume invalida e da cui la perdita dello status di socio sia derivata e tale legittimazione si estende anche all’impugnazione contestuale di deliberazioni antecedenti relative all’approvazione di bilanci precedenti affetti da vizi tali da incidere anche sulla situazione patrimoniale che ha evidenziato l’integrale perdita del capitale sociale della società.

Sospensione della delibera assembleare nell’arbitrato societario e nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c.

In forza del disposto degli artt. 34, co. 1, e 35, co. 5, d.lgs. n. 5/2003, la pattuizione di una clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari ex art. 2378 c.c. ed agli arbitri compete anche il potere di disporre la sospensione dell’efficacia della delibera (in virtù della precedente formulazione dell’art. 818 c.p.c. che impediva agli arbitri di concedere misure cautelari).

Nel lasso di tempo intercorrente fra la proposizione della domanda di arbitrato e la formazione dell’organo arbitrale, è riconosciuta pacificamente la competenza del giudice ordinario in relazione alla sola istanza di sospensione della delibera e ciò fino al momento in cui l’organo arbitrale non solo sia stato nominato, ma anche sia concretamente in grado di provvedere, allo scopo di garantire agli interessati la piena e concreta fruizione del diritto di agire in giudizio ex art. 24 Cost.

Il provvedimento di nomina del curatore speciale costituisce un sub-procedimento di volontaria giurisdizione che si traduce in un atto sempre modificabile e revocabile dal giudice che lo ha emesso, che non passa in giudicato e non assume una stabilità idonea ad integrare la nozione di definitività.

Il provvedimento di nomina del curatore speciale di cui all’art. 78 c.p.c. è diretto non già ad attribuire o negare un bene della vita, ma ad assicurare la rappresentanza processuale tanto al soggetto che ne sia privo, quanto al rappresentato che si trovi in conflitto di interessi col rappresentante; ha pertanto una funzione meramente strumentale ai fini del singolo processo ed è sempre revocabile e modificabile ad opera del giudice che lo ha pronunciato.

Non sussiste conflitto d’interessi, tale da rendere necessaria la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società, in cui il legislatore prevede la legittimazione passiva esclusivamente in capo alla società, in persona di chi ne abbia la rappresentanza legale; nè è fondata una valutazione di conflitto di interessi in capo all’amministratore, solo in quanto la deliberazione assembleare abbia ad oggetto profili di pertinenza dello stesso organo gestorio, posto che ravvisarvi un’immanente situazione di conflitto di interessi indurrebbe alla nomina di un curatore speciale alla società in tutte o quasi tutte le cause di impugnazione delle deliberazioni assembleari o consiliari, con l’effetto distorsivo per cui il socio impugnante tenterebbe sempre di ottenere, mediante il surrettizio ricorso al procedimento di nomina di un curatore speciale alla società ex art. 78 c.p.c., l’esautoramento dell’organo amministrativo dalla decisione delle strategie di tutela a nome della stessa.

Non sussiste conflitto di interesse rilevante ex art. 78 c.p.c. allorché il socio che sia anche amministratore abbia espresso il proprio voto determinante a favore della deliberazione relativa al suo compenso, atteso che egli legittimamente può avvalersi del proprio diritto di voto per realizzare anche un proprio fine personale, salvo non si accerti che attraverso il voto egli abbia sacrificato a proprio favore l’interesse sociale.

Mentre l’art. 78 c.p.c. si applica qualora si ravvisi una conflittualità tra la società ed il suo rappresentante (ossia l’amministratore), il conflitto di interessi di cui all’art. 2373 c.c. riguarda il rapporto fra socio e società, ossia quando il socio si trova nella condizione di essere portatore, di fronte ad una data deliberazione, di un duplice interesse: del suo interesse di socio e di un interesse esterno alla società.

11 Maggio 2022

Arbitrabilità delle controversie societarie. Sospensione dell’esecuzione della delibera impugnata in sede arbitrale

In tema di controversie societarie, la definizione della competenza del tribunale ordinario ovvero del collegio arbitrale dipende dalla natura disponibile o indisponibile del diritto oggetto di controversia. A seguito dell’ammissione da parte del legislatore dell’arbitrabilità delle controversie societarie, l’art. 806 c.p.c. perimetra le controversie arbitrabili in negativo, ponendo come limite al ricorso dell’arbitrato l’indisponibilità del diritto, salvo espresso divieto di legge per le controversie aventi ad oggetto diritti disponibili.

L’area dell’indisponibilità è più ristretta di quella degli interessi genericamente superindividuali, in quanto la natura sociale o collettiva dell’interesse denota soltanto che esso è sottratto alla volontà individuale dei singoli soci, ma non implica che egual conseguenza si determini anche rispetto alla volontà collettiva espressa dalla società secondo le regole della rispettiva organizzazione interna, la cui finalità è proprio quella di assicurare la realizzazione più soddisfacente dell’interesse comune dei partecipanti. Sul punto, si richiama l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori che, a differenza di quella prevista dall’art. 2395 c.c., è posta a tutela di un interesse collettivo, ma la cui transigibilità e rinunziabilità sono riconosciute espressamente dall’art. 2393, co. 6, c.c. e, come tali, sono disponibili da parte dei rispettivi titolari. Affinché l’interesse sotteso alla delibera possa essere qualificato come indisponibile è necessario, quindi, che la sua protezione sia assicurata da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da ogni iniziativa di parte, come, ad esempio, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio, la cui inosservanza rende la delibera di approvazione illecita e, quindi, nulla.

Il discrimen tra diritto disponibile e diritto indisponibile guarda alla protezione accordata dall’ordinamento mediante la predisposizione di una norma dispositiva o imperativa. Nel primo caso, prevale l’interesse del singolo ad affermare il suo diritto di autodeterminazione ex art 2 cost., potendo così derogare la norma dispositiva, posta a tutela di un interesse anche superindividuale, ma non indisponibile e, quindi, non prevalente. Nel secondo caso, l’interesse del singolo soccombe dinanzi all’interesse di ordine pubblico, protetto dalla norma imperativa che rende indisponibile il diritto da essa tutelato.

Per determinare l’arbitrabilità delle controversie insorte tra soci e società, occorre esaminare se gli interessi coinvolti riguardano i soci come singoli oppure si riferiscono unicamente alla società, tutelata dalla legge in quanto tale. Nella prima ipotesi, la controversia è liberamente arbitrabile, sulla base del presupposto che ogni socio può disporre liberamente dei diritti oggetto della disputa, in quanto il ricorrente agisce uti singulus. Nella seconda ipotesi, l’arbitrabilità è fermamente negata a causa dell’indisponibilità del diritto coinvolto. L’azione, in questo caso, è proposta dal socio uti socius, nell’interesse sociale che corrisponde non alla sommatoria, ma alla sintesi di tutti individuali connessi dal vincolo sociale identificabile nell’unicità dello scopo dal quale trae origine la compagine stessa.

La sospensione cautelare del provvedimento impugnato in sede arbitrale può essere richiesta al Tribunale secondo le norme ordinarie con ruolo vicario e suppletivo, tutte le volte in cui, in concreto, gli arbitri non abbiano la possibilità di intervenire efficacemente con l’esercizio del potere cautelare (ad esempio per la mancata instaurazione del procedimento arbitrale o a causa dei tempi tecnici di costituzione dell’organo), al fine di garantire agli interessati la piena e concreta fruizione del diritto di agire in giudizio ex art. 24 cost. (norma di cui l’effettività della tutela cautelare costituisce componente essenziale ed immanente al fine di evitare che la durata del processo si risolva in un danno della parte che ha ragione).

In tema di sospensione dell’esecuzione delle delibere assunte dall’assemblea di una società consortile a responsabilità limitata trova applicazione il disposto di cui all’art. 2378, co. 3, c.c. (richiamato dall’art. 2479 ter, co. 4, c.c.), che prevede, quale rimedio tipico destinato a ottenere un provvedimento cautelare, che l’istanza di sospensione di una deliberazione assembleare deve essere necessariamente proposta in corso di causa o, quanto meno, contestualmente alla proposizione della domanda di merito con la quale si chiede di dichiarare la nullità o annullare la deliberazione assunta. L’esistenza di un rimedio tipico, previsto dall’art. 2378, co. 3, c.c., esclude in radice l’esperibilità del rimedio dell’art. 700 c.p.c. Quest’ultima disposizione corrisponde ad un principio generale dell’ordinamento secondo cui, non potendo restare una situazione giuridica del tutto priva di tutela cautelare, in mancanza di una disciplina espressa del procedimento cautelare, deve ritenersi applicabile la tutela apprestata dall’art. 700 c.p.c., correttamente definita come norma di chiusura del sistema.

11 Novembre 2021

Note sostanziali e processuali dell’impugnazione della delibera di bilancio. Legittimazione dell’ex socio ad impugnare la delibera ex art. 2447 c.c.

Dev’essere considerata ammissibile la precisazione, effettuata in prima memoria, della domanda di impugnazione di una delibera assembleare quale domanda di nullità, allorché riguardi la mera qualificazione dell’impugnazione in riferimento a presupposti di invalidità della delibera già prospettati in citazione.

Non sono compromettibili in arbitri le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di delibere assembleari di approvazione del bilancio per vizi attinenti alla violazione delle norme che disciplinano la redazione dei documenti contabili.

Colui il quale abbia perso la qualità di socio, non avendo sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale, conserva la legittimazione ad impugnare la delibera assembleare adottata ex art. 2447 c.c., in quanto sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all’art. 24, co. 1 Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.

Il corretto richiamo, in nota integrativa, dei principi contabili di cui si è fatta applicazione nella redazione del bilancio esclude l’invalidità della relativa delibera di approvazione [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto corretta la scelta degli amministratori di svalutare integralmente le immobilizzazioni, dopo aver rilevato la perdita del requisito della continuità aziendale, a fronte di un ingente fabbisogno finanziario immediato, rispetto al quale i soci non avevano manifestato alcuna disponibilità ad intervenire con versamenti o  finanziamenti].

Non può ritenersi annullabile per abuso di maggioranza la delibera di riduzione e contestuale aumento del capitale ex art. 2447 c.c., allorché le alternative astrattamente percorribili dalla società – i.e. il rinvio annuale delle iniziative di cui all’art. 2447 c.c. data la natura di PMI innovativa della società, la trasformazione, il ricorso al credito bancario ovvero l’acquisto delle partecipazioni dei soci di minoranza da parte di quelli di maggioranza – non avrebbero comunque consentito il recupero della continuità aziendale o avrebbero presupposto delle valutazioni aventi carattere discrezionale, in quanto tali libere.

23 Ottobre 2020

Esercizio del diritto di controllo ex art. 2476 c.c.

La s.r.l. è tenuta a soddisfare l’esercizio del diritto di controllo ex art 2476 c.c., nei limiti in cui tale esercizio non risulti vessatorio o fatto con deliberato proposito di ledere gli interessi societari. L’esercizio di tale diritto può ingenerare bisogno di approfondimenti e dare luogo a nuove richieste, che l’organo amministrativo è tenuto a soddisfare ai sensi dell’art. 2476, comma secondo, c.c. [ LEGGI TUTTO ]

14 Novembre 2019

Risarcimento del danno per concorrenza sleale e violazione dei diritti d’autore sul software aziendale

In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. [ Nel caso in esame, il Tribunale ritiene che la domanda risarcitoria formulata da parte attrice debba essere decisa sulla base del principio della ragione più liquida.]

16 Agosto 2019

Responsabilità degli amministratori di s.r.l.: in particolare, la legittimazione attiva della società

La legittimazione a promuovere l’azione di responsabilità nelle s.r.l. ai sensi dell’art. 2476 c.c. spetta, in via concorrente, al socio e alla società, essendo attribuita al socio in sostituzione della società e alla società quale soggetto direttamente danneggiato dalle violazioni contestate agli amministratori. Una lettura diversa della norma sarebbe in contrasto con l’art. 24 cost., in quanto priverebbe il soggetto titolare del diritto della possibilità di agire in giudizio per farlo valere.

L’amministratore di diritto risponde dell’inosservanza degli obblighi a lui imposti dalla legge e dallo statuto, ma è altresì responsabile per non aver impedito, omettendo i necessari controlli, i danni causati alla società dall’ingerenza di un soggetto che abbia agito quale amministratore di fatto.

Con riferimento all’onere della prova, la responsabilità degli amministratori nelle s.r.l. si inquadra nell’ambito della responsabilità contrattuale. Tale responsabilità, in conformità al dettato normativo che prevede espressamente l’onere della prova sull’assenza di colpa in capo all’amministratore, può essere qualificata come un caso particolare di responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c.

La responsabilità solidale degli amministratori della s.r.l. per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società non costituisce una forma di responsabilità oggettiva posto che l’esonero da responsabilità previsto dall’art. 2476 c.c. non è ancorato al mero procedimento di rituale verbalizzazione del dissenso in occasione del consiglio di amministrazione deliberante, ma all’effettiva mancanza di qualsiasi profilo di colpa.