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Art. 2394 bis c.c.
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8 Febbraio 2022

Responsabilità di amministratori e sindaci per aggravamento del dissesto

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali.

In ragione della onerosità della prova gravante sulla procedura che agisce, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.

Pur in assenza di un’espressa previsione normativa, esigenze di coerenza sistematica inducono a ritenere che anche agli amministratori di s.r.l. sia richiesta una diligenza di carattere professionale, determinata in funzione della natura dell’incarico e delle loro specifiche competenze, così come previsto per le s.p.a. all’art. 2392 c.c. La responsabilità degli amministratori verso la società si configura quale responsabilità risarcitoria, di natura contrattuale, che grava in solido su tutti gli amministratori. Spetta agli amministratori, dunque, provare con riferimento agli addebiti contestati l’osservanza dei doveri previsti dall’art. 2392 c.c., con la conseguenza che gli amministratori dotati di deleghe (cc.dd. operativi) – ferma l’applicazione della business judgment rule – rispondono non già con la diligenza del mandatario, ma in virtù della diligenza professionale esigibile ex art. 1176, co. 2, c.c. Quanto all’azione dei creditori sociali, per la quale il curatore è legittimato straordinario ai sensi dell’art. 2394 bis c.c., essa si fonda sulla violazione da parte degli amministratori del dovere di conservare l’integrità del patrimonio sociale, quale garanzia generica dell’adempimento delle obbligazioni verso i terzi (art. 2740 c.c.). Essa ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale.

In tema di criterio applicabile alla quantificazione del danno nel casi di azione di responsabilità esercitata dal curatore nei confronti dell’amministratore, l’inadempimento di specifici obblighi (quali la distrazione di alcuni beni sociali, la mancata redazione di due bilanci di esercizio e delle relative dichiarazioni fiscali e l’omessa tenuta delle scritture contabili) non giustifica di per sé la determinazione del danno risarcibile nella misura della differenza tra il passivo e l’attivo, che può integrare un parametro per la liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. La mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili addebitabile all’amministratore della società, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizione, sempreché il ricorso ad esse, in ragione delle circostanze del caso concreto, sia logicamente plausibile e sia stato, comunque, allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentando, con specifica indicazione delle ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.

Il criterio c.d. della differenza dei netti patrimoniali consiste nella comparazione dei patrimoni netti, determinati secondo criteri di liquidazione previa, se del caso, rettifica delle voci di bilancio scorrette, registrati alla data della (doverosa) percezione del verificarsi della causa di scioglimento da parte degli organi sociali e alla data di messa in liquidazione della società (o di fallimento della stessa). Il danno in termini di “perdita incrementale netta” consente di apprezzare in via sintetica, ma plausibile, l’effettiva diminuzione subita dal patrimonio della società (dunque, il danno per la società e per i creditori) per effetto della ritardata liquidazione.

24 Gennaio 2022

Il danno diretto nell’azione di responsabilità ex art. 2395 c.c.

La prospettazione da parte del socio o del terzo di un danno meramente riflesso rispetto alla lesione alla garanzia patrimoniale della società non integra le condizioni essenziali per l’accoglimento dell’azione ex art. 2395 c.c. Infatti, l’azione individuale del socio o del terzo nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisce solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c. esige che il singolo socio, o il terzo, sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.

A norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione (di natura contrattuale) prevista dall’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore ai sensi dell’art. 146 l.fall.

Il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori. La destinazione del patrimonio sociale di una società in sofferenza patrimoniale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare, e il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.

Il pagamento preferenziale può arrecare un danno solo ai singoli creditori rimasti insoddisfatti, ma non alla società, perché si tratta di operazione neutra per il patrimonio sociale, che vede diminuire l’attivo in misura esattamente pari alla diminuzione del passivo conseguente all’estinzione del debito.

25 Novembre 2021

Responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali e concorso del terzo non amministratore

L’azione ex art. 2394 c.c. e l’azione ex art. 2476, co. 6 c.c. pongono in capo agli amministratori una specifica obbligazione anche verso i creditori sociali finalizzata alla conservazione della garanzia patrimoniale della società ex art. 2740 c.c. L’azione è diretta, autonoma e genera in capo all’amministratore una responsabilità assimilabile a quella contrattuale in quanto fondata sullo specifico rapporto stabilito dalla legge tra i doveri degli amministratori e il diritto dei creditori sociali.

L’art. 2394-bis c.c. stabilisce, esprimendo un principio generale che vale anche per la parallela azione ex art. 2476, co. 6 c.c., che in caso di fallimento della società debitrice l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore spetta al curatore. Si tratta di legittimazione del curatore attribuita ex lege, posto che l’azione non è di quelle di cui era titolare la società e nelle quali invece subentra ex art. 43 l.fall. il curatore, ed esclusiva, tanto da privarne i creditori sociali, fino a che pende la procedura concorsuale e ciò anche se la curatela resta inattiva. L’art. 2394-bis c.c. assegna all’azione una finalità recuperatoria del patrimonio della fallita nell’interesse indistinto di tutti i creditori che ne consente la qualificazione come azione della massa, a tutela della par condicio creditorum.

Nell’illecito proprio dell’amministratore descritto dall’art. 2394 c.c. può concorrere anche il terzo che amministratore non sia. Poiché il danno al creditore è derivativo del danno al patrimonio della società, il curatore è legittimato verso il terzo, concorrente nell’illecito con l’amministratore, ex art. 43 l.fall. come successore del fallito nell’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. In caso di intervenuto fallimento al terzo e al creditore sociale residua la legittimazione all’azione ex art. 2476, co. 7 c.c. ed ex art. 2043 c.c. verso il terzo per il risarcimento dei danni che devono però porsi come direttamente cagionati al loro patrimonio dalla condotta di mala gestio dell’amministratore ed eventualmente di terzi concorrenti.

18 Novembre 2021

Azioni esercitate dal creditore ex art. 2394 e 2395 c.c. in pendenza di fallimento

E’ inammissibile la domanda proposta dal creditore sociale ai sensi dell’art. 2394 c.c. nei confronti dell’ex amministratore di una società a responsabilità limitata a seguito dell’intervenuto fallimento della stessa. Ciò in quanto l’art. 2394 bis c.c. trova applicazione anche in tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata. E’ infatti il curatore, ai sensi dell’art. 146 l. fall., ad essere legittimato ad esperire l’azione dei creditori sociali, pure in mancanza di un espresso richiamo all’art. 2394 c.c. previsto per le sole società per azioni ma applicabile in via analogica: accedendo ad una diversa tesi si creerebbe infatti una disparità di trattamento ingiustificata tra i creditori della società azionaria e quelli della s.r.l., tenuto conto che dopo la novella dell’art. 2476 c.c., introdotta dall’art. 378 del d.lgs. n. 14 del 2019, anche nella società a responsabilità limitata è ora espressamente ammessa l’azione dei creditori sociali (Cass. 23452/2019).

L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non è sufficiente per predicare la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente attraverso il rimedio di cui all’art. 2395 c.c., presupponendo infatti l’azione in parola la lesione di un diritto patrimoniale del socio o del terzo che non sia mera conseguenza -indiretta- del depauperamento del patrimonio sociale. Tale ultima ipotesi è rinvenibile, ad esempio, laddove -in violazione dei principi di cui agli artt. 1337 e 1375 c.c.- vengano assunte obbligazioni che la società sin dall’inizio non avrebbe potuto assolvere (nella specie il Tribunale ha accolto la domanda del creditore di canoni locatizi, accertando che il debitore, poi fallito, aveva fin dal momento della conclusione del contratto sottaciuto la situazione di dissesto).

30 Luglio 2021

Funzionamento e profili di responsabilità del Consiglio di amministrazione per l’individuazione dell’assetto adeguato e per i criteri di ripartizione interna delle funzioni e delle deleghe operative

Il dovere di predisporre assetti interni organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa ex art. 2381, co. 5 c.c. è chiaramente finalizzato alla tempestiva verifica dei sintomi di crisi dell’impresa e alla tempestiva adozione degli interventi di rimedio; non si tratta, però, di un obbligo astratto o che risponde a parametri predeterminati, in quanto assume rilevanza in tal senso la valutazione del concreto contesto societario (in considerazione della struttura, tipologia di attività, complessità della organizzazione e delle attività svolte, aree di competenza e numero di personale dipendente) e della effettiva individuazione di carenze che abbiano ragionevolmente posticipato l’emersione del dissesto.

In ogni caso, l’esame sulla esistenza di assetti adeguati non può essere svincolato dalle conseguenze pregiudizievoli connesse alla violazione di tale obbligo; questo significa che la mancata allegazione di alcun danno specifico e conseguente conduce a ritenere infondato l’addebito di responsabilità: non è, dunque, sufficiente attestare la mancata adozione dell’assetto interno adeguato ma occorre anche individuare le eventuali conseguenze pregiudizievoli (connesse o derivanti da tale mancanza o omissione) e/o, comunque, precisare in quale modo, e con quali accorgimenti gli assetti interni sarebbero stati più adeguati o la crisi dell’impresa rilevata più tempestivamente.

Il conferimento a tutti gli amministratori, presidente compreso, disgiuntamente tra loro, di ampie deleghe di ordinaria e straordinaria amministrazione non viola la disposizione di cui all’art. 2381, co. 3 c.c. là dove demanda al consiglio di amministrazione il controllo sull’operato degli amministratori delegati. A tal proposito, basti osservare che la norma non impone la composizione “mista” del consiglio, composto da amministratori delegati e da amministratori privi di deleghe e che il CdA, come organo collegiale, non perde la sua autonomia né i suoi poteri di impulso e controllo sull’attività dei suoi delegati per il fatto di essere composto unicamente da AD.

Inoltre, al fine di valutare se il Consiglio abbia o meno svolto attività di controllo della gestione posta in essere dagli amministratori delegati (nell’esercizio delle rispettive deleghe), non è sufficiente in linea teorica la presenza di un gran numero di deleghe come causa idonea ad escludere l’intervenuto controllo del CdA ma occorre considerare anche la modalità operativa e di funzionamento dell’Organo gestorio, nonché l’esistenza, la tipologia e la periodicità dei flussi informativi sulla gestione delegata intercorrente tra Amministratori Delegati e Consiglio di Amministrazione.

L’operato degli amministratori di società di capitali in relazione agli atti di gestione compiuti deve essere valutato mediante l’analisi del percorso valutativo, dei processi motivazionali seguiti per la pianificazione e la programmazione dell’attività di impresa; e perché sia censurabile sotto il profilo della corretta gestione si deve avere riguardo alla diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, all’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità. La valutazione in tal senso deve essere fatta con una analisi ex ante, ovvero in considerazione della situazione giuridica, economica ed informativa esistente al momento del compimento degli atti e non può limitarsi ad una mera e semplicistica valutazione operata ex post in base ai risultati negativi della attività svolta, con la conseguenza che non sono imputabili i risultati o scenari imprevedibili e non pronosticabili. L’importante è poi che una volta raggiunti esiti negativi e risultati di un certo tipo gli amministratori si siano attivati tempestivamente per rilevare la crisi ed adottare la soluzione di gestione adeguata alla stessa e di tutela del patrimonio della società e degli interessi dei creditori.

Azione di responsabilità: costituzione in mora e giudizio d’appello

Ai fini della valida costituzione in mora idonea ad interrompere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno nei confronti dei membri degli organi sociali, non è necessaria l’individuazione degli specifici addebiti né la distinzione tra le posizioni dei diversi amministratori e sindaci, ma è sufficiente, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto.

La parte appellante che intenda censurare l’interpretazione fornita dal primo giudice ai documenti prodotti dalla parte vittoriosa, laddove quest’ultima non si sia costituita in appello e tali documenti non siano stati perciò acquisiti nel relativo giudizio mediante la produzione del fascicolo di parte, ha l’onere di produrli, estraendone copia ai sensi dell’art. 76 disp. att. c.p.c.; in caso contrario, il giudice di secondo grado non può esaminarli e, di conseguenza, gli è preclusa la verifica della fondatezza dei motivi d’appello connessi alla valutazione di quei documenti.

Risulta viziata da ultrapetizione la sentenza di primo grado che abbia condannato un amministratore al risarcimento dell’intero danno, in solido con gli altri membri degli organi sociali convenuti, senza al contempo limitarne la responsabilità all’importo indicato dall’attore stesso nell’atto di citazione, quale ammontare del danno imputabile a quell’amministratore.

25 Marzo 2021

Azione di responsabilità verso amministratori, liquidatori e sindaci: natura, prescrizione e determinazione del danno

L’azione di responsabilità nei confronti di amministratori, liquidatori e sindaci delle società di capitali, se esercitata a tutela della società ha natura contrattuale; se esercitata a tutela dei creditori sociali ha, invece, natura extracontrattuale.

L’azione di responsabilità nei confronti di amministratori, liquidatori e sindaci delle società di capitali di cui all’art. 146 l.fall. comprende in sé l’azione posta a tutela della società e quella posta a tutela dei creditori sociali.

In tema di azione di responsabilità confronti degli amministratori di società di capitali, non è sindacabile il c.d. merito gestorio, poiché l’obbligazione contratta dall’organo amministrativo è di natura professionale e, quindi, costituisce un’obbligazione di mezzi e non di risultato; conseguentemente, non possono essere addebitati ad amministratori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza e previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile, da valutarsi ex ante sulla base delle circostanze note o conoscibili dagli amministratori al momento delle condotte in esame.

Non ogni condotta irregolare tenuta dagli amministratori (quali, ad esempio, le irregolarità formali nella tenuta della contabilità e l’omessa presentazione dei bilanci) è suscettibile di arrecare un danno al patrimonio della società, posto che le scritture contabili non determinano gli accadimenti, ma si limitano a descriverli.

In tema di prescrizione dell’azione di responsabilità, il termine di cui all’art. 2395 comma 2 c.c. comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e, quindi, dal giorno in cui si sia avuta evidenza delle condotte eseguite dagli amministratori e del conseguente danno.

Al verificarsi di una causa di scioglimento della società, l’art. 2485 c.c. impone agli amministratori l’obbligo di attenersi ad una gestione meramente conservativa della società; il danno conseguente alla violazione di tale obbligo, in caso di successiva procedura fallimentare, può essere commisurato alla differenza tra il patrimonio netto calcolato alla data del fallimento e quello alla data in cui la società avrebbe dovuto essere posta in liquidazione, previa rettifica dei bilanci in prospettiva liquidatoria e detratti i costi ineliminabili, ossia quelli che sarebbero stati sostenuti ugualmente anche laddove fosse stata aperta la fase di liquidazione.

7 Gennaio 2021

Azione di responsabilità e società pubblica: i criteri di valutazione della condotta degli amministratori non mutano

Nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto un’azione di responsabilità promossa dalla curatela ai sensi dell’art. 146 l. fall., la circostanza che la fallita sia partecipata da enti pubblici non costituisce motivo per adottare logiche diverse nella valutazione della condotta dei suoi amministratori, sindaci e direttore generale, i quali sono comunque tenuti a gestire la società diligentemente e in maniera da assicurarne l’equilibrio economico-finanziario, così da consentire, anche a tutela dei terzi creditori, il regolare adempimento delle obbligazioni assunte. Pertanto, in favore degli organi amministrativi e di controllo, non sussiste alcuna ragione per derogare al generale obbligo di diligente gestione societaria, applicandosi la disciplina privatistica della forma societaria prescelta.

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16 Dicembre 2020

Rilevanza probatoria nell’azione di responsabilità del patteggiamento dell’amministratore

Benché la sentenza di patteggiamento non abbia efficacia di giudicato nel giudizio civile inerente la responsabilità gestoria e risarcitoria degli amministratori, essa assume tuttavia in sede civile (in ordine agli specifici ed identici fatti contestati) natura e valenza di prova critica e, quindi, una valenza probatoria importante. Questo significa che il Giudice civile può utilizzarla come elemento di prova sufficiente a ritenere fondata la responsabilità gestoria in merito agli stessi fatti dedotti; al contrario, qualora voglia discostarsene dovrà motivare specificatamente le ragioni del non utilizzo: in tal caso, il Giudice ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’amministratore imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (la richiesta di patteggiamento, dell’imputato implica pur sempre il riconoscimento del fatto-reato, quindi, una ammissione di colpevolezza che esonera la controparte dall’onere della prova).

Per lo stesso fatto soltanto alla stregua di valide giustificazioni, debitamente argomentate, possono ammettersi differenti e contrastanti decisioni giudiziali, pur nell’autonomia dei relativi giudizi assicurata e disciplinata da norme di rango costituzionale e di natura processuale.

16 Dicembre 2020

Profili di responsabilità degli amministratori alla luce della Business Judgement Rule. Solidarietà passiva nelle transazioni

La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che questa ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (il Giudicante richiama Cass. 11.11.2010 n. 22911).

All’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità” (il Giudicante richiama Cass. 12.2.2013 n. 3409 e Cass. 2.2.2015 n. 1783).

In tema di responsabilità dell’amministratore di una società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata, l’insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione (cd. “business judgement rule”) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi sia “ex ante”, secondo i parametri della diligenza del mandatario, alla luce dell’art. 2392 c.c., – nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla novella introdotta dal d.lgs. n. 6 del 2003 – sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere” (il Giudicante richiama Cass. 22.6.2017 n. 15470).

Il debitore che non sia stato parte della transazione stipulata dal creditore con altro condebitore in solido non può profittarne se, trattandosi di un’obbligazione divisibile ed essendo stata la solidarietà prevista nell’interesse del creditore, l’applicazione dei criteri legali d’interpretazione dei contratti porti alla conclusione che la transazione ha avuto ad oggetto non l’intero debito ma solo la quota di esso riferibile al debitore che ha transatto; in caso contrario, il condebitore ha diritto a profittare della transazione senza che eventuali clausole in essa inserite possano impedirlo. Qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che la ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se invece il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto (il Giudicante richiama Cass. SU 30.12.2011 n. 30174).