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15 Luglio 2020

Presupposti per l’applicazione del criterio dei c.d. netti patrimoniali

Il danno da illecita prosecuzione dell’attività sociale in presenza di una causa di scioglimento può essere determinato in base al criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali – ora espressamente previsto dall’art. 2486, co. 3, c.c. – qualora l’attore abbia comunque allegato inadempimenti dell’amministratore astrattamente idonei a porsi quali causa del danno lamentato, in mancanza dei quali il deficit patrimoniale della società insolvente potrebbe anche dipendere da cause non tutte riconducibili ad un’illegittima condotta degli amministratori (Cass. n. 24431/2019). [fattispecie relativa a fatti verificatisi anteriormente all’introduzione del terzo comma dell’art. 2486 c.c., disposta dall’art. 378, comma 2, D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14]

15 Giugno 2020

La responsabilità degli amministratori e il criterio dei netti patrimoniali

La responsabilità degli amministratori è regolata dall’art. 2476 c.c., il quale prevede che gli amministratori sono responsabili per i danni che la società patisce a seguito dell’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo. L’attore è tenuto a provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno che si è verificato, mentre il convenuto ha l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta.

Per verificare se la prosecuzione dell’attività di impresa per un periodo considerevole in presenza di perdita del capitale sociale sia fonte di danno, si può applicare applicare il “criterio dei netti patrimoniali o dell’aggravamento del dissesto”: la giurisprudenza consente di ricorrere a criteri presuntivi e in particolare alla determinazione del danno in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., utilizzando il criterio della differenza dei netti patrimoniali  nell’ipotesi in cui non sia possibile ricostruire con certezza le vicende che hanno determinato il dissesto e le singole operazioni dannose.

L’applicazione del criterio della differenza dei netti patrimoniali deve rispondere ai principi della logica e del buon senso e richiede la presenza di due condizioni: (i) la corretta individuazione del primo termine di paragone, ossia il bilancio a partire dal quale la società risulta aver perso il capitale con conseguente obbligo per gli amministratori di convocazione dell’assemblea dei soci ai fini della messa in liquidazione della società medesima.  Tale bilancio, per essere comparabile a quello finale e per evitare che all’agente siano imputati danni legati alla mera variazione dei criteri valutativi (di regola da quelli di continuità a quelli liquidatori), deve essere rettificato alla luce dei criteri di redazione di un bilancio di liquidazione (secondo il principio contabile OIC 5). Esso deve essere, quindi, depurato di tutte quelle componenti che si giustificano solo in una prospettiva di continuità aziendale. In alternativa, occorre non applicare i criteri liquidatori alla situazione patrimoniale finale, così che le situazioni patrimoniali durante tutto l’arco temporale considerato siano omogenee. (ii) Quanto al secondo termine di paragone, esso coincide con la realizzazione del comportamento doveroso richiesto dalla legge ovvero con la messa in liquidazione o, se questa manca, con la dichiarazione di fallimento. Successivamente, occorrerà escludere dalla perdita incrementale “pura” eventualmente individuata quelle componenti negative costituite da costi ineliminabili e/o non imputabili che la società avrebbe sostenuto anche nel caso di tempestiva interruzione dell’attività (quindi in fase di liquidazione), qualora gli organi ritenuti responsabili avessero adempiuto ai propri obblighi; lo stesso dicasi per le minusvalenze derivanti dalla svalutazione di attività aziendali che si sarebbero in ogni caso verificate in ragione del venir meno dell’efficienza produttiva e dell’operatività di impresa.

Prescrizione dell’azione di risarcimento derivante da illecito civile considerato come reato

In un giudizio riguardante l’azione di responsabilità proposta dal curatore fallimentare nei confronti dall’amministratore unico di srl per il suo volontario aggravamento della situazione patrimoniale, nel caso in cui l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato (ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela) trova applicazione l’eventuale, più lunga prescrizione prevista per il reato anche all’azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori e i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto di reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto (cfr. Cass. Civ. sez. unite 27337/08).

 

29 Aprile 2019

Responsabilità per mancata redazione dei bilanci e delle scritture contabili e per prosecuzione dell’attività d’impresa in assenza dei requisiti di capitale sociale: criteri di determinazione del danno risarcibile

Il curatore che eserciti l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ha l’onere di allegare la specifica violazione dei doveri loro imposti dalla legge e di provare che quelle violazioni abbiano cagionato un pregiudizio alla società. Tale principio opera anche nel caso in cui venisse riconosciuta la violazione relativa alla mancata redazione dei bilanci e delle scritture contabili. Ciò significa che la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, ancorché addebitale all’organo amministrativo, non giustifica che il danno da risarcire sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza fra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare (c.d. deficit fallimentare). Tale criterio di quantificazione del danno, almeno astrattamente, potrebbe essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni e purché il ricorso a tale criterio, in ragione delle circostanze del caso concreto, risulti plausibile e, in ogni caso, la curatela abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del pregiudizio lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’organo amministrativo. In questo senso, è tuttavia possibile che l’irregolare tenuta delle scritture contabili – non permettendo alla curatela di ricostruire le vicende che hanno condotto all’insolvenza dell’impresa – possa essere addotta, essa stessa, quale causa del danno rappresentato dai maggiori oneri nell’espletamento dei compiti e dall’aggravio dei costi della procedura, non apparendo, invece, plausibile farne discendere la conseguenza dell’insolvenza o dello sbilancio patrimoniale.

Nel caso di prosecuzione di attività d’impresa nonostante l’erosione totale del capitale sociale, l’organo amministrativo può essere ritenuto responsabile delle perdite maturate, laddove sia fornita la prova che le stesse sono state conseguenza delle scelte gestorie assunte dopo la riduzione del capitale sociale e, in ogni caso, può essere chiamato a rispondere solo dell’aggravamento del dissesto cagionato dalle ulteriori perdite che siano derivate dalla condotta illegittima, in quanto commessa al di fuori dei poteri di conservazione del patrimonio sociale. Pertanto, la curatela che intenda far valere la responsabilità dell’organo amministrativo per violazione degli obblighi derivanti dalla perdita del capitale sociale, è tenuta a provare che sono state intraprese iniziative imprenditoriali connotate dall’assunzione di nuovo rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di una logica meramente conservativa, ad individuare siffatte iniziative e ad indicare quali conseguenze negative ne siano derivate al netto dei ricavi.

L’assolvimento di tale onere di allegazione può risultare difficoltoso se si considera la natura dinamica e complessa dell’attività d’impresa, e per questa ragione è ammissibile il ricorso a criteri presuntivi e sintetici di prova, e in particolare alla determinazione del danno in via equitativa ex art. 1226 c.c. mediante l’utilizzo del criterio della differenza fra i netti patrimoniali (cioè il patrimonio netto della società al momento in cui l’organo amministrativo avrebbe dovuto accorgersi del verificarsi della causa di scioglimento e il patrimonio netto al momento della sentenza dichiarativa di fallimento). Resta fermo, in ogni caso, che il suddetto criterio presuntivo deve essere applicato con prudente apprezzamento tenendo conto che, in astratto, la prosecuzione dell’attività d’impresa, anche non conservativa, ben potrebbe non aver cagionato alcun danno.

4 Luglio 2018

Quantificazione del danno nell’ambito dell’azione di responsabilità esercitata contro l’amministratore di società fallita per l’aggravamento del dissesto

Nell’ambito di un’azione di responsabilità esercitata contro l’amministratore di una società fallita per violazione degli obblighi ex artt.2484 ss. ed ex art.2486 c.c. (cd.obbligo di gestione conservativa), qualora sia concretamente impossibile ricostruire ex post le singole operazioni “non conservative” del valore e della integrità del patrimonio sociale, espressamente vietate dall’art. 2486 c.c., il danno risarcibile è quantificabile [ LEGGI TUTTO ]

14 Maggio 2018

Occorre giustificare l’utilizzo del criterio equitativo del patrimonio netto differenziale per la quantificazione del danno ex art. 2482 ter cod. civ. da illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa

Nell’azione di risarcimento del danno nei confronti dell’amministratore di s.r.l. per violazione dell’art. 2482 ter cod.civ., l’attore che quantifica la domanda risarcitoria utilizzando il criterio meramente equitativo pari alle differenze dei netti patrimoniali ha l’onere di giustificare l’utilizzo di tale criterio. [fattispecie relativa a fatti verificatisi anteriormente all’introduzione del terzo comma dell’art. 2486 c.c., disposta dall’art. 378, comma 2, D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14]

 

Criterio dei netti patrimoniali e fase cautelare

Nella fase cautelare (in un procedimento per sequestro conservativo), ai fini di un accertamento sommario del danno cagionato al Fallimento dagli amministratori a causa dell’illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa, può trovare applicazione il criterio dei c.d. “netti patrimoniali”, che quantifica il pregiudizio in una somma pari alla differenza tra il passivo fallimentare e il debito esistente al momento in cui venne perso il capitale, in luogo del criterio, dettato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 9100/2015, della “valutazione dell’esito della gestione caratteristica”, che invece individua, a ben precisate condizioni, il danno nella differenza tra passivo ed attivo fallimentare. Infatti, pur non tenendo conto di diversi elementi idonei ad alterare il risultato ed essendo quindi generalmente applicato per addivenire ad una liquidazione equitativa del risarcimento, il criterio dei netti patrimoniali risulta appropriato nella fase cautelare ad una determinazione del danno in misura approssimativa, ove aggiustato con il dimezzamento dell’ammontare, essendo rimessa alla fase di merito la quantificazione complessiva ed esatta dello stesso, anche mediante C.T.U., con la possibilità per gli amministratori di fornire, in sede di cognizione ordinaria, la prova della riconducibilità di alcune poste debitorie a fatti precedenti la perdita del capitale, ovvero circa la riconduzione di parte di esse ad attività meramente conservativa del patrimonio sociale.

9 Aprile 2018

Determinazione del danno patito dalla società per mancata adozione da parte dell’organo amministrativo delle iniziative di cui all’art. 2482-ter c.c.

La determinazione del danno subito dalla società in conseguenza della mancata adozione da parte dell’organo amministrativo delle iniziative di cui all’art. 2482-ter c.c. richiede che la differenza tra i netti patrimoniali sia determinata sulla base di valori omogenei, sicché devono essere espunte dal calcolo del patrimonio netto al tempo del prodursi della causa di scioglimento “tutte quelle voci che trovano giustificazione nell’efficienza produttiva e dell’operatività dell’impresa, tra cui anche i costi capitalizzabili”.

 

5 Febbraio 2018

Diligenza degli amministratori di S.r.l. in caso di diminuzione del capitale sociale oltre il terzo, danno subito dalla società e danno subito in proprio dal socio

Le condizioni di cui all’art. 2482-bis c.c. possono verificarsi, e normalmente si verificano, non al termine dell’esercizio, ma nel corso di esso. Gli amministratori sono perciò obbligati a monitorare la consistenza del patrimonio sociale anche durante l’esercizio, in ragione del livello di diligenza minimo cui sono tenuti. [ LEGGI TUTTO ]

21 Dicembre 2017

Azione di responsabilità del curatore di S.r.l. fallita contro amministratori di diritto e di fatto, sindaci, società di revisione, amministratori di società controllante e un istituto di credito.

In tema di azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci, per il cui esercizio da parte del curatore fallimentare l’art. 146 l. fall. richiede che sia sentito il comitato dei creditori, i vizi inerenti alla procedura di preventiva audizione del comitato dei creditori [ LEGGI TUTTO ]