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Art. 146 l.fall.
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14 Settembre 2021

Obblighi degli amministratori di società in crisi: conflitto tra tutela della par condicio creditorum e gestione conservativa

Quando la società versa in stato di insufficienza patrimoniale irreversibile, il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione – quindi in violazione della par condicio creditorum – costituisce un fatto generativo di responsabilità degli amministratori verso i creditori, salvo che sia giustificato dal compimento di operazioni conservative dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, a garanzia dei creditori medesimi. A fronte della crisi ed a maggior ragione dell’insolvenza sub specie di dissesto, il parametro gestorio deve cambiare, essendo da orientare non più a realizzare un lucro ma: (i) al fine esclusivo di conservare il valore e l’integrità del patrimonio sociale (art. 2486 c.c.; cfr. anche OIC 5, OIC 11 par. 23, 24), cioè in base a criteri diversi da quelli tipici della società in bonis e di salvaguardia della garanzia dei creditori (art. 2740 c.c.); (ii) all’adozione di uno degli strumenti previsti per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale: piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo (artt. 67 let. d, 160, 182 bis, l.f.). E con l’obbligo di chiedere il fallimento in proprio ove si profili un rischio di incremento del dissesto (art1. 217 n. 4, 224 n. 1 l.f.).

In caso di insufficienza patrimoniale della società, l’obbligo di rispetto della par condicio creditorum deve essere coniugato con gli altri obblighi gestori concorrenti che sorgono in capo agli amministratori, in particolare l’obbligo di gestire in modo conservativo; pertanto, nel conflitto tra obbligo di gestione conservativa e obbligo di rispettare la par condicio creditorum (obblighi che possono convergere o divergere sul piano degli effetti economici), dovrà, secondo criterio generale di proporzionalità ed adeguatezza, prevalere il primo quando si possa ritenere che i relativi debiti sono contratti nell’interesse di tutti i creditori.

Il curatore ha la legittimazione ad esercitare l’azione di responsabilità verso gli amministratori per il danno alla massa dei creditori derivante da pagamenti preferenziali anche in assenza di condotte penalmente rilevanti.

Prescrizione dell’azione di responsabilità ex artt. 2394 c.c. e 146 l.fall.

L’azione di responsabilità esercitata dai creditori sociali nei confronti degli amministratori, ai sensi dell’art. 2394 c.c., è soggetta a prescrizione quinquennale anche quando è promossa dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 146 l.fall. Il termine di prescrizione decorre dal momento dell’oggettiva percettibilità (da parte dei creditori) dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i rispettivi crediti.

Stante l’onerosità della prova gravante sul curatore che eserciti tale azione, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento. Ricade sull’amministratore convenuto la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.

12 Agosto 2021

Sovrastima del valore del magazzino e condotta distrattiva dell’amministratore unico

La differenza tra la consistenza del magazzino evincibile dall’ultimo bilancio predisposto dall’amministratore e quella della merce rinvenuta all’indomani del fallimento, in mancanza di documenti che dimostrino la destinazione della merce mancante, postula una distrazione della merce medesima, oppure l’inattendibilità del valore iscritto in bilancio al fine di gonfiare artificiosamente l’attivo e occultare l’intervenuta causa di scioglimento.

Responsabilità dell’amministratore: necessaria allegazione per la risarcibilità del danno non patrimoniale e rilevanza probatoria del patteggiamento

Anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato, il danno non patrimoniale, costituendo anch’esso un danno conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, anche mediante presunzioni, non potendo mai considerarsi in re ipsa. L’art. 2059 c.c. opera esclusivamente sul piano della limitazione della risarcibilità del danno non patrimoniale, ai soli casi previsti dalla legge, lasciando integri gli elementi della fattispecie costitutiva dell’illecito ex art. 2043 c.c. Occorre distinguere l’ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale, che si ricava dalla individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela, dalla verifica giudiziale di tale pregiudizio, che deve compiersi attraverso gli ordinari criteri di accertamento dei fatti previsti dall’ordinamento giuridico.

La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce un importante elemento di prova per il giudice civile, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità e il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Infatti, la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presuppone pur sempre una ammissione di colpevolezza ed esonera il giudice dall’onere della prova.

Azione di responsabilità nei confronti degli amministratori nel caso di fallimento

Nel caso di fallimento di una società di capitali, le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori (sia quelle previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. sia quella ex art. 2476 c.c.) confluiscono nell’unica azione prevista dall’art. 146 l.f., co. 2, lett. a), l.fall., di cui è titolare il curatore, che è quindi l’unico soggetto legittimato a proseguire l’azione.

20 Luglio 2021

I doveri di controllo e la responsabilità dei sindaci

Il sistema dei controlli nelle società di capitali è un sistema composito che coinvolge una pluralità di soggetti e organi, quali gli amministratori non esecutivi e gli amministratori indipendenti, i sindaci, i revisori, il comitato per il controllo interno, l’organismo di vigilanza di cui al d.lgs. 231/01 e il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari nelle società quotate di cui all’art. 154 bis t.u.f., allo specifico fine di ottenere, grazie all’eterogeneità dei controlli, una garanzia rafforzata dell’osservanza delle regole di corretta amministrazione. La particolare conformazione della struttura societaria induce a doveri più intensi, come quando la società sia parte di un gruppo o si tratti di società a ristretta base familiare, soggetta perciò a influenze esterne anche pregiudizievoli.

La responsabilità omissiva del soggetto tenuto, per funzione, ad esercitare un controllo sull’agire di altri è per fatto proprio colpevole, purché si riscontrino la condotta almeno colposa e il nesso di causa con il danno, dovendosi ritenere ormai espunta anche dal diritto civile la responsabilità oggettiva, la responsabilità per fatto altrui o quella da mera posizione.

I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 ss. c.c. sono configurati con particolare ampiezza, estendendosi a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali; né riguardano solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo loro conferito il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni, quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione. Compito essenziale è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione: dovere del collegio sindacale è di controllare in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto.

Ai fini dell’affermazione della responsabilità dei membri degli organi di controllo, è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità. Ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori, ai fini della responsabilità dei primi, secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale, se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione dei poteri sindacali avrebbe ragionevolmente evitato l’illecito, tenuto conto di tutte le possibili iniziative che il sindaco può assumere esercitando i poteri-doveri propri della carica, quali: la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403 bis c.c., la segnalazione all’assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l’impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 ss. c.c., la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446 e 2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ai sensi dell’art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. ed ogni altra attività possibile ed utile.

Non è sufficiente ad esonerare i sindaci della società da responsabilità, in presenza di una illecita condotta gestoria posta in essere dagli amministratori, la dedotta circostanza di esserne stati tenuti all’oscuro o di avere assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, qualora i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori.

L’obbligo di vigilanza impone – prima ancora che la verifica sulla regolarità formale degli atti e delle relazioni degli amministratori – la ricerca di adeguate informazioni, in particolare da parte dei componenti dell’organo sindacale, la cui stessa ragion d’essere è il provvedere al controllo sulla gestione. Onde sussiste la colpa in capo al sindaco già per non avere rilevato i c.d. segnali d’allarme, individuati dalla giurisprudenza anche nella stessa soggezione della società all’altrui gestione personalistica.

Le dimissioni presentate non esonerano il sindaco di società di capitali da responsabilità, in quanto non integrano un’adeguata vigilanza sull’operato altrui e sullo svolgimento dell’attività sociale, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui e perché la diligenza richiesta al sindaco impone, piuttosto, un comportamento alternativo; le dimissioni diventano anzi esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità.

Neppure l’essere stato designato alla carica solo dopo la commissione dell’illecito è di per sé circostanza sufficiente ad esimere il sindaco da responsabilità, in quanto l’accettazione della carica comporta comunque l’assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo; né la responsabilità per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie viene meno per il fatto imputabile al precedente amministratore, una volta che, assunto l’incarico, fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio.

Ai fini dell’esonero dalla responsabilità è necessario invece che i componenti dell’organo di controllo – gravati dal relativo onere probatorio a fronte dell’allegazione dell’inerzia e della prova del fatto illecito gestorio da parte dell’attore – abbiano esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge, fino alla denuncia all’autorità giudiziaria civile e penale, in mancanza delle quali concorrono nell’illecito civile commesso dagli amministratori della società per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti per legge. Anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati; la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze, in quanto l’inerzia del singolo, nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri acquista efficacia causale, dato che, all’opposto, una condotta attiva giova a rompere il silenzio sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione un analogo atteggiamento degli altri.

La responsabilità dell’amministratore di società di capitali per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie a contenere le perdite e per la mancata richiesta di fallimento nonostante la vistosità ed irreversibilità del dissesto non viene meno per effetto della responsabilità del precedente amministratore nell’aver occultato detto stato, una volta che di questo egli abbia avuto contezza.

12 Luglio 2021

Responsabilità dell’amministratore per illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa

Il curatore fallimentare che intenda far valere la responsabilità dell’amministratore per non aver accertato la causa di scioglimento della società ex art. 2484, n. 4 c.c., relativa alla riduzione del capitale sociale al disotto del minimo legale, e per aver proseguito l’esercizio dell’attività produttiva con finalità non meramente conservative, in violazione dell’art. 2486 c.c., deve allegare e provare che, successivamente alla perdita del capitale, sono state intraprese iniziative imprenditoriali connotate dall’assunzione di un nuovo rischio economico-commerciale, compiute al di fuori di una logica meramente conservativa, individuando siffatte iniziative e le conseguenze negative che ne sono derivate sul piano del depauperamento del patrimonio sociale.

8 Luglio 2021

Azione esercitata dal curatore fallimentare: responsabilità dell’amministratore e del socio di s.r.l.

L’amministratore di società a responsabilità limitata è responsabile in relazione ad ogni accadimento che investa il valore dell’attivo non rinvenuto dal fallimento e pertanto ha l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.

Giacché l’art. 2476, co. 8 c.c. postula un legame di solidarietà passiva tra amministratore e socio, il socio non amministratore, responsabile della decisione o dell’autorizzazione a compiere un determinato atto dannoso, può esser chiamato a rispondere per danni cagionati alla società o a terzi soltanto se sia configurabile anche una responsabilità dell’amministratore.

Azione di responsabilità ex art. 2394 c.c.

Il termine di prescrizione quinquiennale dell’azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. decorre dal momento in cui i creditori avevano la possibilità di avere contezza che la società aveva un patrimonio insufficiente al loro soddisfacimento. Sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento (richiama Cass. 24715 del 2015; 28617 del 2019).

L’amministratore che non provvede alla tempestiva collocazione in mobilità dei lavoratori invocando quale scriminante la mancanza dei fondi necessari non fa che confermare una situazione di illiquidità che avrebbe richiesto il tempestivo accesso alle procedure concorsuali, onde limitare l’ammontare dei debiti retributivi e previdenziali (nel caso di specie, in caso di fallimento la società avrebbe potuto usufruire dell’esonero totale dal pagamento del cd. contributo d’ingresso).