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Tribunale di Milano


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20 Luglio 2023

Impugnazione della delibera di nomina per mancata accettazione da parte dell’amministratore designato

La delibera di nomina dell’amministratore è atto negoziale proprio dei soci, la cui natura giuridica è riconducibile ad una proposta contrattuale. La successiva manifestazione di volontà del soggetto designato, in senso positivo oppure negativo, è solo un posterius, non in grado di inficiare la validità della decisione dell’assemblea, ciò esclude che l’accettazione della nomina da parte del soggetto individuato o, addirittura, la sua presenza all’assemblea siano elementi necessari ai fini della validità della delibera, essendo a tal fine sufficiente che il voto favorevole dei soci superi il quorum previsto dalla legge o dallo statuto. L’accettazione non è un requisito di efficacia della delibera di nomina, in quanto dichiarazione unilaterale di volontà diretta alla conclusione del contratto di amministrazione produce, invero, i suoi effetti indipendentemente dall’accettazione della controparte contrattuale. L’amministratore nominato, non accettando la nomina assembleare, impedisce semplicemente la conclusione del contratto, ma non priva la manifestazione di volontà dell’assemblea sociale versata nel relativo verbale della sua efficacia.

18 Luglio 2023

La responsabilità dell’amministratore per danni diretti: natura e onere probatorio

In tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, dovendosi proporre, altrimenti, l’azione, contrattuale, di cui all’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 l.fall.

L’azione di responsabilità prevista dall’art. 2395 c.c. ha natura aquiliana, è esperibile dal socio o dal terzo al fine di ottenere il risarcimento del danno direttamente subito nella propria sfera giuridica in conseguenza di fatti illeciti compiuti dagli amministratori e, al pari di ogni altra azione risarcitoria, richiede l’accertamento della condotta contra legem dell’amministratore e la prova del nesso di causalità immediata e diretta che la lega al pregiudizio lamentato dal danneggiato. Dalla natura extracontrattuale della responsabilità invocata deriva, altresì, l’onere da parte dell’attrice di provare in giudizio tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito descritto e, in particolare, la specifica condotta dolosa o colposa attribuita all’amministratore e il nesso causale di derivazione diretta da essa del pregiudizio lamentato, non essendo sufficiente a fondare la pretesa risarcitoria il mero inadempimento della società alle obbligazioni contrattuali assunte nei confronti del terzo danneggiato.

18 Luglio 2023

Adeguatezza degli assetti organizzativi a prevenire la commissione di reati

L’organo amministrativo è specificamente tenuto ad adottare un assetto organizzativo adeguato anche alla prevenzione dei reati onde evitare che siano perpetrati illeciti penali nell’esecuzione dell’attività di impresa e deve, quindi, in mancanza di prova delle misure assunte a tale scopo, rispondere del danno derivato al patrimonio sociale dall’applicazione della sanzione amministrativa conseguente alla commissione del reato. [Nel caso di specie, il Tribunale ha condannato l’intero consiglio di amministrazione di una società a responsabilità limitata per avere, due soli di essi, commesso reato di corruzione di un funzionario della P.A. accertato in sede penale].

In materia di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della società non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d. lgs. 231/2001 o delle sanzioni irrogate a seguito del suo accertamento, mentre il credito dell’amministrazione finanziaria, sorto per effetto dell’accertamento di un fatto anteriore all’apertura della procedura concorsuale, è soggetto alle regole del concorso e deve essere fatto valere mediante insinuazione al passivo come credito munito del privilegio secondo le disposizioni del codice di procedura penale sui crediti dipendenti da reato ai sensi dell’art. 27, co. 2, d. lgs. 231/2001. La sanzione irrogata nel corso del fallimento potrà legittimare la pretesa creditoria dello Stato al recupero dell’importo di natura economica mediante la insinuazione al passivo. Si tratta, peraltro, di credito assistito da privilegio, la cui funzione pratica sarebbe assai limitata se tale causa di prelazione non potesse essere azionata in caso di fallimento della società.

Ove la transazione stipulata tra il creditore e uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.

18 Luglio 2023

Omessa iscrizione nel registro delle imprese della delibera avente ad oggetto la sostituzione dell’organo amministrativo

Il precedente amministratore non può ottenere l’iscrizione d’ufficio della sua cessazione dalla carica e della nomina del nuovo amministratore sulla base di una scrittura privata non autenticata contenente il verbale dell’assemblea dei soci – inidonea a dimostrare l’effettiva provenienza delle dichiarazioni dai soggetti che le hanno sottoscritte nell’ambito del procedimento amministrativo di iscrizione, ispirato a particolari esigenze di certezza ed attendibilità della pubblicità nei confronti dei terzi –, solo perché non sarebbe più in condizioni di procurarsi un documento corrispondente alle formalità prescritte. Esula, infatti, dal potere del conservatore e dall’ambito della cognizione del giudice del registro ogni accertamento nel merito della esistenza, validità ed efficacia degli atti negoziali sottesi alla cessazione del suo incarico ed alla costituzione del nuovo organo gestorio.

17 Luglio 2023

Responsabilità degli amministratori di s.r.l. nei confronti della società

L’art. 2392 c.c. contiene una regola applicabile anche agli amministratori della società a responsabilità limitata. L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti.

17 Luglio 2023

Cessione di partecipazioni sociali: differenza tra clausole di aggiustamento del prezzo e clausole di indennizzo

La cessione delle partecipazioni di una società di capitali ha quale oggetto immediato la partecipazione sociale e quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Tuttavia, la consistenza patrimoniale può assumere rilevanza in caso di apposizione nel contratto di cessione di specifiche clausole di garanzia che, in base a quanto risulta dalla pratica commerciale, possono essere cc.dd. di aggiustamento prezzo o, diversamente, di indennità.

Le clausole di aggiustamento del prezzo e quelle di indennizzo intervengono su piani diversi: le prime attengono alla determinazione della misura della prestazione principale e indefettibile a carico del compratore (pagamento del prezzo), sulla base degli inevitabili cambiamenti del valore rilevante della società target tra la data di riferimento e la data del closing, e i relativi aggiustamenti del prezzo provvisorio possono essere indifferentemente a favore del compratore o del venditore, a seconda dei risultati della gestione della società target nel citato periodo interinale (salvo che non sia pattiziamente previsto in concreto esclusivamente un adeguamento al ribasso). Le seconde, viceversa, si ricollegano alla previsione di una prestazione complementare, ed eventuale, a carico del solo venditore (e che si aggiunge, quindi, a quella del prezzo, anche, se del caso, aggiustato), da eseguire in favore del compratore solo in caso di violazione delle clausole di garanzia convenzionale e, quindi, di difformità tra il valore rilevante della società target garantito dal venditore e quello effettivo, allo scopo di ripristinare l’originario equilibrio tra le prestazioni corrispettive contrattuali principali. E ciò dopo che l’effetto traslativo si è prodotto (con l’alienazione delle azioni a carico del venditore) in esito al finale assetto pecuniario della vicenda (con il pagamento del prezzo, definitivo e non provvisorio, a carico del compratore, ancorato al valore rilevante).

12 Luglio 2023

Il rapporto tra SGR e partecipanti del fondo comune di investimento; in particolare, la revoca della SGR

La sostituzione della SGR nella gestione di un fondo comune di investimento è un fenomeno assimilabile al mutamento delle persone degli amministratori; i partecipanti al fondo – nel deliberare la revoca del gestore e l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti di questi – assumono una posizione analoga a quella dei soci di società di capitali. Ne discende che la volontà di revoca espressa in sede assembleare non può che essere imputata al fondo medesimo, il quale – sotto il profilo della responsabilità e nella sua autonomia patrimoniale “bilaterale” perfetta ex art. 36, co. 4, t.u.f., ovvero sia rispetto al patrimonio del gestore, sia rispetto a quello dei partecipanti – può senz’altro legittimamente costituire un centro di imputazione di posizioni giuridiche soggettive attive e passive.

Deve escludersi che il rapporto intercorrente tra la società di gestione e i partecipanti al fondo sia propriamente riconducibile alle figure del mandato e della rappresentanza. Infatti, la volontà del mandante e quella del rappresentato sono rilevanti per il mandatario (art. 1711 c.c.) e per il rappresentante (art. 1388 c.c.), mentre la SGR è indipendente dai partecipanti al fondo. Inoltre, sia nel mandato, sia nella rappresentanza, la legittimazione sostanziale a disporre attribuita al gestore non sostituisce, ma si aggiunge a quella del dominus, che, pur con le dovute cautele, può continuare a compiere atti di disposizione del diritto (artt. 1716, co. 2, e 1729 c.c.). Il potere di disposizione non spetta invece ai partecipanti, ma, ex artt. 1, lett. k), e 36, co. 3, t.u.f., alla sola SGR in via esclusiva.

Né depone in senso contrario l’espressa attribuzione legislativa alla SGR dei doveri e delle responsabilità del mandatario (art. 36, co. 3, t.u.f.): trattasi, infatti, di situazioni giuridiche che non esauriscono il rapporto di mandato. E così la gestione nell’interesse dei partecipanti non è concepibile senza un riferimento unificante, che, come tale, esclude la loro rilevanza uti singuli. Peraltro, se si può ammettere che i partecipanti al fondo possano agire in responsabilità verso la SGR, l’oggetto di tale azione è la mala gestio del fondo ed il risarcimento è dovuto al fondo e non ai partecipanti agenti, analogamente a quanto accade per le società di capitali ex artt. 2393 bis e 2476, co. 3, c.c. Per quanto riguarda il fondo, non è dubbio che da esso non possano promanare istruzioni di gestione, sicché è escluso che la SGR possa esser soggetta ad esse, pur essendo le scelte di investimento del gestore limitate dal regolamento, rimanendone così esclusa la assimilabilità al mandato fiduciario. Il rapporto tra SGR e fondo è dunque specialmente regolato dalla legge e sono proprio la perfetta autonomia patrimoniale che lo caratterizza ex lege ed il potere gestorio altrettanto stabilito ex lege in capo alla SGR, con la mediazione del regolamento, che ben giustificano l’affermazione di una imputazione diretta in capo al fondo delle posizioni giuridiche attive e passive che di quella gestione sono il risultato effettuale, senza che uno sdoppiamento della proprietà tra “formale” e “sostanziale” – sostituita alla più tradizionale dicotomia proprietà / gestione – possa particolarmente giovare alla chiarezza e certezza del traffico giuridico.

La legittimazione attiva con riferimento alle azioni con le quali si facciano valere diritti inclusi in un fondo comune di investimento spetta alla SGR e non ai partecipanti.

L’assenza di una disciplina ad hoc prevista per il funzionamento dell’assemblea dei partecipanti al fondo comune di investimento e dei rimedi di impugnazione delle relative delibere (sebbene il suo oggetto sia normativamente limitato alla sola revoca della SGR ed all’esperimento dell’eventuale azione di responsabilità), conduce a individuare l’assetto societario più logicamente ricollegabile al funzionamento e alla struttura di un fondo nelle disposizioni specificamente rivolte alle società per azioni.

Nel diritto societario, le deliberazioni degli organi sociali soggette per legge all’obbligo di motivazione costituiscono un numero limitato (artt. 2391, 2391 bis, 2441, co. 5, 2497 ter c.c.). Accanto alle ipotesi in cui le deliberazioni societarie debbono essere motivate per esplicito dettato normativo, ve ne sono altre che possono essere individuate in via interpretativa. Tra di esse vi sono, sia pure con connotati fra loro parzialmente diversi, le deliberazioni di interruzione del rapporto sociale (artt. 2287, 2473 bis e 2533 c.c.), gestorio (artt. 2259, 2383 e 2409 duodecies c.c.) o sindacale (art. 2400 c.c.), dove la necessità di verificare la sussistenza della giusta causa, o della fattispecie statutaria, impone di motivare la deliberazione al momento in cui essa viene assunta. A tale riguardo, se è vero che il legislatore ha previsto un potere di recesso ex lege in capo alla società, tanto che la giusta causa non si pone come requisito di efficacia dell’atto, la condizione della sussistenza di ragioni integranti la medesima è, tuttavia, da verificare per impedire la nascita del diritto al risarcimento del danno.

Le ragioni di revoca, che devono presentare i caratteri di effettività ed essere riportate in modo adeguatamente specifico, debbono essere enunciate espressamente nella deliberazione e non restare meramente implicite; la deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori non è ammessa, restando esse ormai quelle indicate nella deliberazione.

Qualora, nel corso del processo in cui è controverso un diritto attinente a un fondo comune di investimento, si trasferiscano da una società di gestione all’altra – ai sensi dell’art. 36, co. 1, t.u.f. – i rapporti di gestione relativi al fondo, il processo prosegue tra le parti originarie. Conseguentemente, ai sensi dell’art. 111, co. 3 e 4, c.p.c., la società di gestione subentrata nella gestione può intervenire o essere chiamata nel processo e la società alienante può esserne estromessa. In ogni caso, la sentenza pronunciata nei confronti delle parti originarie spiega i suoi effetti anche nei confronti della società di gestione subentrata.

12 Luglio 2023

Principi in tema di arbitrato irrituale

In base al disposto dell’art. 808 ter, comma 1, c.p.c. deve ritenersi che la convenzione di arbitrato irrituale si connota come un contratto che determina la nascita in capo alle parti contraenti di una situazione complessa, di carattere strumentale, finalizzata alla tutela dei diritti, mediante il quale si pone in essere un mandato, senza necessità di rappresentanza, conferito congiuntamente da una pluralità di parti a uno o più arbitri e preordinato alla stipula di un accordo contrattuale.

L’arbitrato irrituale può anche estendersi dal limite della mera cristallizzazione di una situazione già in essere proprio di un negozio di accertamento, fino a comportare anche addizioni ed integrazioni alla fattispecie giuridica compromessa. L’arbitrato irrituale può quindi configurarsi come un mandato congiunto a comporre la controversia venutasi a configurare, mediante un negozio compositivo, da porre in essere nel termine stabilito dalle parti, pena l’estinzione del mandato per sua scadenza ex art. 1722, n. 1, c.c.

Ne consegue che la scelta dell’arbitrato irrituale comporta, per espressa previsione dell’art. 808 ter, comma 1, c.p.c., una deroga all’art. 824 bis c.p.c. e, conseguentemente, al successivo art. 825 c.p.c., palesandosi con essa l’intenzione pattizia di escludere quell’efficacia di sentenza divenuta ex lege propria del dictum degli arbitri rituali, suscettibile di essere reso esecutivo e trascrivibile.

Pertanto, l’applicazione delle regole proprie del “lodo-sentenza” è, quindi, inequivocabilmente esclusa per il “lodo-contratto”, con la conseguenza che la possibilità di attuare i diritti discendenti dall’arbitrato irrituale è rimessa esclusivamente al comportamento delle parti, potendo, quindi, in caso di sua mancata attuazione, insorgere una nuova controversia sull’esecuzione della determinazione arbitrale rimasta inadempiuta.

11 Luglio 2023

L’assunzione in giudizio della qualità di erede costituisce accettazione tacita dell’eredità

Quando i chiamati all’eredità si costituiscono in giudizio dichiarando la propria qualità di eredi dell’originario debitore, senza in alcun modo contestare l’effettiva assunzione di tale qualità ed il conseguente difetto di titolarità passiva della pretesa, essi compiono un’attività non altrimenti giustificabile se non con la veste di erede, che esorbita dalla mera attività processuale conservativa del patrimonio ereditario, in quanto dichiarata non al fine di paralizzare la pretesa, ma di illustrare la qualità soggettiva nella quale essi intendono paralizzarla. L’assunzione in giudizio della qualità di erede costituisce quindi accettazione tacita dell’eredità, che non può essere rimessa in discussione per effetto di un atto successivamente intervenuto e dipendente da una libera scelta dei medesimi interessati, qual è la rinuncia all’eredità.

La risoluzione per inadempimento è rimedio previsto con riguardo ai soli contratti sinallagmatici, in cui ciascuna prestazione trova la propria ragion d’essere nella prestazione di controparte, spiegandosi così perché l’inadempimento di una legittima l’altra ad agire per ottenere la risoluzione del contratto. Nel contratto di cessione di quote, un nesso di corrispettività sussiste di certo tra l’obbligazione di pagamento e il trasferimento delle quote, ma non anche tra l’obbligazione di pagamento e l’eventuale clausola di non concorrenza, che riveste natura meramente accessoria e che, in mancanza di una espressa previsione, non potrebbe giustificare neppure una riduzione del prezzo, anche tenuto conto del disposto dell’art. 2596, co. 2, c.c., in forza del quale ove la durata del patto di non concorrenza sia stata determinata dalle parti in un periodo superiore a cinque anni la sua validità è limitata entro tale periodo di tempo.

10 Luglio 2023

Il socio receduto non ancora liquidato è ancora titolare della partecipazione sociale

Il socio che ha esercitato il recesso può esser considerato come ancora titolare delle partecipazioni sociali e ciò fino a che non viene liquidato, essendo la fattispecie del recesso del socio a formazione progressiva. Invero, il socio receduto non ancora liquidato è ancora titolare della quota di partecipazione del capitale sociale e quindi deve ritenersi che possa esercitare le facoltà in essa incorporate; a prescindere dall’ampiezza del suo diritto di voto, se affievolito – esercitabile solo con riferimento a quelle decisioni assembleari che possono incidere sul patrimonio della società e quindi sul suo diritto di credito alla liquidazione del valore della partecipazione – o pieno – esercitabile con riferimento ad ogni delibera con il limite dell’abuso del diritto –, in ogni caso il socio receduto durante il procedimento di recesso si trova a poter legittimamente esercitare il diritto di voto in assemblea.

Non rappresenta un’ipotesi di rinuncia implicita alla clausola arbitrale la mancata eccezione di incompetenza nell’ambito di un giudizio di quantificazione del valore della quota sociale ex art. 2473, co. 3, c.c. Tale giudizio, invero, è di mera volontaria giurisdizione e non ha carattere contenzioso. Soltanto in caso di contestazione sul valore determinato dall’esperto si apre un vero e proprio giudizio contenzioso.

L’esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo, atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla[va] l’emissione di provvedimenti inaudita altera parte, ma impone a quest’ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull’esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia al giudizio degli arbitri.