25 Settembre 2020

Responsabilità degli amministratori di società fallita per irregolare tenuta delle scritture contabili

Può affermarsi la responsabilità dei componenti del consiglio di amministrazione di società a responsabilità limitata per aver redatto scritture contabili non in conformità alle indicazioni impartite nel Codice civile e nei criteri generali di redazione del bilancio, con conseguente mantenimento fittizio del capitale sociale e prosecuzione dell’attività sociale, omettendo l’adozione dei provvedimenti previsti dal Codice civile a fronte dell’integrale perdita del capitale sociale registrata, violando così l’obbligo di conservazione del patrimonio sociale. Non osta a questa conclusione il principio secondo cui l’attività d’impresa sarebbe intrinsecamente connotata da rischio d’impresa, ovvero la considerazione per cui gli amministratori avrebbero avuto contezza della perdita del capitale solo con l’esercizio di bilancio in data successiva, tenuto conto di quanto innanzi evidenziato secondo cui la condotta di mala gestio è costituita in primis nell’errata tenuta delle scritture contabili.

25 Settembre 2020

Postergazione e rimborso di finanziamento soci

Sono soggetti al meccanismo della postergazione i finanziamenti eseguiti dai soci in un momento in cui la società ha subito una perdita superiore al capitale sociale o il suo totale azzeramento e, dunque, in un momento di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o comunque in una situazione finanziaria in cui sarebbe stato più opportuno o ragionevole un conferimento. Pertanto, il rimborso al socio dei finanziamenti, che avrebbero dovuto essere oggetto di postergazione, costituisce un danno per la società, che ammonta all’importo del rimborso effettuato.

21 Settembre 2020

La responsabilità degli amministratori e del socio per illegittima prosecuzione dell’impresa

Desumere la responsabilità del socio, ai sensi dell’art. 2476, comma VIII, codice civile dal compimento di atti propri della qualità di socio (come l’approvazione del bilancio o l’onere di ricapitalizzazione) ovvero apoditticamente dalla qualità di socio unico costituirebbe un sostanziale svuotamento di significato della specifica intenzionalità della condotta e del danno, richiesti dall’articolo citato.

Ai fini della sussistenza della responsabilità degli amministratori per prosecuzione illegittima dell’impresa e della relativa quantificazione del danno, è proprio l’attività funzionale alla medesima prosecuzione che costituisce voce di danno. Detto in altri termini, e la motivazione vale per qualsiasi altra voce che vada ad incidere sui costi, aumentandoli: tutte le perdite incrementali che attengono maggiori valori del patrimonio netto negativo sono voci di danno imputabili all’amministratore laddove tale criterio sia individuato per la quantificazione del danno da illegittima prosecuzione dell’impresa.

21 Settembre 2020

Azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, eccezione di prescrizione ed onere della prova

L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società, a norma dell’art. 146 L. Fall., compendia in se le azioni spettanti ai soci ed ai creditori sociali ed è soggetta a prescrizione quinquennale.

Il termine di prescrizione decorre non già dalla commissione del fatto integrativo di tale responsabilità, bensì dal (successivo) momento in cui si manifesta l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori.

L’onere della prova della preesistenza al fallimento dello stato di insufficienza patrimoniale spetta al soggetto (amministratore o sindaco) che, convenuto in giudizio a seguito dell’azione di responsabilità, ne eccepisca l’avvenuta prescrizione.

18 Settembre 2020

La vendita dell’unico cespite aziendale incide sull’oggetto sociale ed è di competenza dei soci

In tema di determinazione dei poteri attribuiti agli amministratori delle società di capitali, non trova applicazione la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione prevista con riguardo ai beni degli incapaci dagli artt. 320, 374 e 394 c.c., dovendosi invece fare riferimento agli atti che rientrano nell’oggetto sociale – qualunque sia la loro rilevanza economica e natura giuridica – pur se eccedano i limiti della cosiddetta ordinaria amministrazione, con la conseguenza che, salvo le limitazioni specificamente previste nello statuto sociale, rientrano nella competenza dell’amministratore tutti gli atti che ineriscono alla gestione della società, mentre eccedono i suoi poteri quelli di disposizione o alienazione, suscettibili di modificare la struttura dell’ente e perciò esorbitanti (e contrastanti con) l’oggetto sociale. Ai fini della valutazione della pertinenza di un atto degli amministratori di una società di capitali all’oggetto sociale, e della conseguente efficacia dello stesso ai sensi dell’art. 2384 c.c., il criterio da seguire è quello della strumentalità, diretta o indiretta, dell’atto rispetto all’oggetto sociale, inteso come la specifica attività economica (di produzione o scambio di beni o servizi) concordata dai soci nell’atto costitutivo in vista del perseguimento dello scopo di lucro proprio dell’ente. Non sono invece sufficienti, al predetto fine, né il criterio della astratta previsione, nello statuto, del tipo di atto posto in essere (la cui elencazione non potrebbe mai essere completa, data la serie infinita di atti, di vario tipo, funzionali all’esercizio di una determinata attività, né assicurando l’espressa previsione statutaria di un atto tipico che lo stesso sia, in concreto, rivolto allo svolgimento di quella attività), né il criterio della conformità dell’atto all’interesse della società (in quanto l’oggetto sociale costituisce, ai sensi dell’art. 2384 c.c., un limite al potere rappresentativo degli amministratori, i quali non possono perseguire l’interesse della società operando indifferentemente in qualsiasi settore economico, ma devono rispettare la scelta del settore in cui rischiare il capitale fatta dai soci nell’atto costitutivo).

La mera vendita dell’unico cespite aziendale, quale l’immobile adibito a sede di svolgimento dell’attività d’impresa, incide sostanzialmente sull’oggetto sociale e dunque rientra nel novero degli atti riservati alla competenza funzionale dell’assemblea dei soci, secondo lo schema delineato dall’art. 2479, co. 2, n. 5, c.c. che pone un limite legale al potere di rappresentanza dell’amministratore.

L’eccedenza dell’atto rispetto ai limiti dell’oggetto sociale, ovvero il suo compimento da parte dell’amministratore al di fuori dei poteri conferitigli, non integra un’ipotesi di nullità, ma di inefficacia e di opponibilità dell’atto medesimo ai terzi; è, dunque, rimesso alla società, e solo ad essa, di respingere gli effetti dell’atto, sicché deve correlativamente esserle riconosciuto il potere di assumere ex tunc quegli effetti, attraverso la ratifica, ovvero di farli preventivamente propri, attraverso una delibera autorizzativa, capace di rimuovere i limiti del potere rappresentativo dell’amministratore. Ne deriva che ogni questione relativa alla estraneità dell’atto compiuto dall’amministratore rispetto all’oggetto sociale è da ritenersi irrilevante a seguito e per effetto dell’adozione di una delibera di autorizzazione preventiva, o di ratifica successiva, adottata dalla società, posto che tale delibera impegna la società medesima alla condotta di essa esecutiva e ad essa conforme posta in essere dall’organo di gestione, idonea o meno che sia rispetto al perseguimento dell’oggetto sociale.

14 Settembre 2020

Responsabilità dell’amministratore di società fallita per sanzioni, interessi ed aggi dovuti a mancato pagamento delle imposte

Ai fini della prova del danno provocato dall’amministratore rimasto contumace alla società fallita per sanzioni, interessi ed aggi dovuti a mancato pagamento delle imposte è sufficiente produrre l’istanza di insinuazione al passivo di Equitalia, i provvedimenti di esecutività dello stato passivo e il prospetto riepilogativo delle sanzioni e degli interessi di mora irrogati alla fallita per il mancato pagamento delle imposte.

Per l’azione sociale di responsabilità infatti è sufficiente alla società attrice (da cui la procedura, per la tutela collettiva dei creditori, riceve l’azione) allegare l’inadempimento dell’amministratore all’obbligo gestorio suo proprio di provvedere -anche predisponendo al riguardo un assetto amministrativo idoneo a programmare e rispettare le scadenze fiscali- al pagamento degli importi dovuti allo Stato e alle diverse amministrazioni pubbliche a titolo di imposte dirette e indirette e di tasse collegate all’attività d’impresa, a fronte della quale allegazione, è onere del convenuto, per esimersi da responsabilità secondo la regola generale dell’art. 1218 cod. civ., dimostrare l’impossibilità di adempiere o quantomeno che l’omissione tributaria sia stata frutto di una scelta discrezionale di utilizzazione della liquidità sociale (in ipotesi, temporaneamente insufficiente) a scopi più urgenti, per poi ricorrere a richieste di rateazione e ammissione ai possibili benefici per attutire le conseguenze del ritardo.

10 Settembre 2020

Eccesso dei limiti convenzionali ai poteri rappresentatitivi di amministratore di S.r.l.: conseguenze e legittimazione

La regola posta dall’art. 2475-bis, primo comma, c.c. costituisce una norma di default destinata ad assumere rilevanza nel silenzio dello statuto o dell’atto di nomina. Anche nelle società a responsabilità limitata, infatti, è possibile attribuire il potere di rappresentanza soltanto ad alcuni amministratori ovvero ricollegarla alla titolarità di alcune cariche (come la carica di amministratore delegato o di presidente del consiglio di amministrazione); ciò lo si può desumere dal fatto che tra le indicazioni che l’atto costitutivo deve necessariamente contenere rientrano quelle concernenti la rappresentanza della società (art. 2463 comma 2, n. 7 c.c.) e che l’art. 2383 comma 4 (richiamato dall’art. 2475 comma 2 c.c.) prevede che entro trenta giorni dalla notizia della nomina, gli amministratori devono chiederne l’iscrizione nel registro delle imprese indicando a quali tra essi è attribuita la rappresentanza della società, nonché – in ultimo – da quanto indicato all’art. 2475-ter c.c. dove nel menzionare gli «amministratori che hanno la rappresentanza della società» lascia desumere che possono esservi amministratori che non hanno detto potere in conseguenza di limitazioni poste dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina.

Le limitazioni statutarie – a differenza delle limitazioni legali – dei poteri rappresentativi degli amministratori non si riverberano in maniera automatica sul contratto sottoscritto dagli amministratori con i terzi, non essendo, se non nel concorso degli altri presupposti indicati dall’art. 2475-bis c.c., ad essi opponibili. Il fatto che un amministratore abbia sottoscritto un contratto eccedendo la propria limitazione del potere rappresentativo, può presentare conseguenze sul piano dei rapporti interni alla società, giustificando la revoca dell’amministratore dall’incarico gestorio ovvero la proposizione di una azione di responsabilità nei suoi confronti ovvero ancora, qualora nella società sia presente il collegio sindacale, la denunzia ex art. 2408 c.c.

Nel caso di violazione dei limiti convenzionali al potere rappresentativo degli amministratori nell’ipotesi descritta dall’ultima parte dell’art. 2475-bis secondo comma c.c. (ossia nel caso in cui il terzo contraente abbia intenzionalmente agito in danno della società) solo la società (e non, quindi, anche il singolo socio) è legittimata ad opporre ai terzi tali limitazioni. Ciò alla luce del fatto che nelle società di capitali, l’interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica dell’ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni alla società (rappresentati dalla partecipazione alla vita sociale e dalla possibilità di insorgere contro le deliberazioni o di far valere la responsabilità degli organi sociali) e non implica la legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni ed, in particolare, ad impugnare i negozi giuridici stipulati dalla società, la cui validità, anche nelle ipotesi di nullità per illiceità dell’oggetto, della causa o dei motivi, resta contestabile solo dalla società stessa, senza che in contrario il socio possa invocare la norma dell’art. 1421 c.c

L’eventuale inefficacia del contratto concluso dal falsus procurator di una società può essere fatta valere dal falso rappresentato, ma non dai soci di quest’ultimo qualora costituito in forma di società di capitali.

10 Settembre 2020

Contestazione della determinazione da parte dell’arbitratore del valore di rimborso della quota di partecipazione al capitale sociale

Non è annullabile la determinazione del valore di rimborso della quota sociale del socio receduto di una s.r.l. effettuata dal terzo arbitratore per manifesta iniquità e/o erroneità ai sensi dell’art. 1349 c.c. laddove il risultato finale della valutazione operata dal terzo arbitratore sia pressoché identico a quello cui è pervenuto il c.t.u. e lo scostamento metodologico non sia tale da rendere la determinazione impugnata in manifesto contrasto alle regole tecniche di settore e dalle conoscenze proprie di cui deve essere in possesso l’esperto del ramo. L’impugnabilità per manifesta erroneità prevista a norma dell’art. 1349, c. I, c.c. non deriva automaticamente dalla semplice presenza di un errore di valutazione nel procedimento di stima, ma dalla sussistenza di un errore, pure tecnico, che sia evidente, grave, concettualmente non condivisibile e, soprattutto, in materia non opinabile (nella specie è stata considerata non iniqua una valutazione della partecipazione inferiore del 25% rispetto al valore accertato dalla successiva ctu nel giudizio di merito).

Non sussiste responsabilità ex art. 2495 c.c. a titolo di colpa del liquidatore per mancato pagamento del credito da rimborso della quota di partecipazione sociale essendo legittima la condotta del liquidatore che, nel rispetto delle norme legali e statutarie sulla vincolatività per le parti della stima operata dall’arbitratore, chiuda senza indugio la procedura liquidativa della quota del socio receduto nonostante le riserve avanzate da quest’ultimo circa i criteri di valutazione adottati dall’arbitratore nella stima.

Il recesso del socio e il conseguente scioglimento del rapporto sociale con relativa liquidazione del valore della quota di partecipazione del socio receduto al capitale sociale, laddove comporti l’effettivo venir meno dell’unica garanzia volta al soddisfacimento del controcredito vantato dalla società a fronte del contratto di finanziamento erogato nei confronti del socio, è circostanza idonea ad integrare i presupposti che giustificano la dichiarazione di decadenza dal beneficio del termine ai sensi dell’art. 1186 c.c. e la contestuale richiesta del mutuante dell’immediata restituzione dell’intero, trattandosi di fatti sopravvenuti idonei a determinare una profonda diminuzione dell’(unica) garanzia di realizzazione del controcredito.

31 Agosto 2020

Integrale erosione del capitale sociale, rapporto di fornitura alla società creditrice e responsabilità nei confronti della medesima

Al fine di determinare la responsabilità dell’amministratore e riconoscere al terzo il diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2395 c.c. è necessario provare non solo la condotta illecita dell’amministrazione (ravvisabile, nel caso di specie, nell’asserito presunto ritardo nell’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2384 c.c. al verificarsi della causa di scioglimento dell’azzeramento del capitale sociale) ma è necessario altresì provare l’entità del danno subito.
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