15 Marzo 2024

Distinzione tra finanziamento soci e versamento in conto capitale

Al fine di determinare se ci si trovi di fronte a un finanziamento o a un versamento in conto capitale, la prova del titolo in forza del quale la somma è stata erogata deve trarsi dalla ricostruzione della volontà negoziale e, quindi, dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso è diretto e dagli interessi che vi sono sottesi. Non ha rilevanza la voce in cui le somme sono state iscritte a bilancio e neppure può rilevare la denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle schede contabile, in quanto le scritture contabili devono rappresentare fedelmente la realtà fattuale e giuridica dei rapporti sociali.

Se il socio impugnante la prima delibera non ha impugnato anche la delibera sostitutiva, questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endosocietario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito l’invalidità in sede processuale, con il che viene meno non già la materia del contendere, ma lo stesso interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endosocietario del deliberato censurato con altro comunque efficace. Pertanto, nel giudizio relativo alla impugnazione della prima delibera non può trovar luogo alcuna valutazione delle eccezioni dell’attore relative alla invalidità della delibera sostitutiva che non sia stata a sua volta impugnata, tale valutazione essendo assorbita dalla constatazione del venir meno dell’interesse ad agire dell’attore. La valutazione ex art. 2377, co. 8, c.c. del giudice della prima impugnazione deve limitarsi alla verifica dell’effettiva portata sostitutiva della seconda delibera, vale a dire della effettiva rimozione del contenuto della prima da parte della seconda disponente sul medesimo oggetto.

Nel rapporto interno con l’amministratore e sul piano contrattuale, le scelte negoziali per conto della società sono assunte ed espresse dai soci, ai quali spetta ex lege il potere di nominare e revocare gli amministratori e di determinarne, eventualmente, il compenso (artt. 2364, co. 1, n. 3, e 2389, co. 1, c.c.). Pertanto, al fine di individuare le modalità di regolamentazione del rapporto contrattuale con l’amministratore, occorre fare riferimento a quegli atti attraverso i quali, nell’ambito dell’organizzazione societaria, si manifesta la volontà dei soci con particolare riferimento al rapporto di amministrazione. Viene in rilievo, in primo luogo, lo statuto della società, cui l’amministratore, nell’accettare la nomina, aderisce. In secondo luogo, viene in considerazione la delibera assembleare di nomina degli amministratori, la quale, laddove lo statuto attribuisca loro il diritto al compenso, può determinarne la misura; ove invece lo statuto preveda un diritto al compenso condizionato o non preveda alcunché, la stessa può deliberare l’attribuzione di emolumenti in favore degli amministratori, determinandone eventualmente l’ammontare; ovvero ancora può non prevedere nulla al riguardo.

16 Novembre 2023

Responsabilità dell’amministratore per spese e prelievi personali posti a carico della società

Nell’azione di responsabilità dell’amministratore è onere dell’attore allegare l’inadempimento ascritto all’amministratore convenuto e, quindi, più nello specifico, le condotte costituenti violazione degli obblighi inerenti, per legge e per statuto, alla sua carica, il loro compimento da parte dell’amministratore medesimo, nonché la sussistenza del conseguente danno al patrimonio sociale. Viceversa, l’amministratore convenuto è gravato da una presunzione di responsabilità che può essere da quest’ultimo superata unicamente dimostrando di aver adempiuto con la diligenza richiesta, ex art. 1176 c.c., dalla natura dell’obbligazione, ovvero di non avervi potuto adempiere per fatto a lui non imputabile (c.d. prova liberatoria).

10 Novembre 2023

Invalidità della delibera assembleare sul compenso degli amministratori per conflitto di interessi

L’inadeguatezza, l’incongruità e l’incompatibilità, valutate sotto plurimi profili, degli emolumenti stabiliti per gli amministratori sono, per natura, entità e conseguenze, di per sé sufficienti ad integrare gli estremi del conflitto di interessi. È perciò invalida ai sensi dell’art. 2479 ter, comma 2, c.c., una delibera assembleare assunta con il voto determinante dei soci di maggioranza, nella contemporanea veste di amministratori, che attribuisca a questi ultimi un compenso del tutto inadeguato rispetto all’attività gestoria demandata agli stessi nonché irragionevole e sproporzionato rispetto alla situazione economico-finanziaria della società e alle sue caratteristiche dimensionali.

Il positivo accertamento dell’irragionevolezza e/o incongruità dei compensi prospetta un conflitto di interessi in ragione dell’identità soggettiva tra i soci il cui voto favorevole ha reso possibile l’assunzione della delibera assembleare e gli amministratori che ne hanno tratto beneficio, e quindi determina l’invalidità della delibera assembleare in merito alle statuizioni relative alla determinazione dei compensi a favore degli amministratori (nella specie il Tribunale, sulla base di una CTU, ha ritenuto incongruo il compenso degli amministratori determinato in una misura di circa il 15% del valore della produzione della società, anche in considerazione della modesta attività effettivamente richiesta).

10 Novembre 2023

L’azione di responsabilità degli amministratori di s.r.l. può essere esercitata anche dalla società

L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori può essere esercitata, oltre che dai soci, dalla società, anche nel caso di s.r.l., sebbene la legge non lo preveda espressamente (a differenza di quanto accade, invece, per le s.p.a.). Infatti, se così non fosse, si precluderebbe al tipo sociale s.r.l. la tutela giudiziaria di propri diritti (l’art. 2476, co. 1, c.c. afferma pur sempre che gli amministratori sono solidalmente responsabili “verso la società”). D’altra parte, quando si tratti di società unipersonale, anche la giurisprudenza minoritaria che nega la legittimazione della società in quanto tale riconosce il diritto di azione in capo alla società; in tal caso, infatti, vi è identità di interessi fra il socio (unico) e la società.

Degli illeciti anticoncorrenziali compiuti dagli amministratori nell’esercizio delle funzioni gestorie risponde solo la relativa società, a meno che l’amministratore abbia agito assolutamente al di fuori della sfera di controllo degli organi sociali.

7 Novembre 2023

Imputazione a riserva degli utili e abuso di maggioranza

L’aspettativa alla distribuzione di utili discende dalla natura stessa del contratto di società, in cui l’esercizio in comune di un’attività economica è attuato precisamente allo scopo di dividerne gli utili, ai sensi dall’art. 2247 c.c.; tuttavia, la dichiarazione di abusività della delibera sulla distribuzione degli utili costituisce una extrema ratio nell’ambito del sistema societario, pena la pretermissione del metodo maggioritario, che del primo rappresenta architrave fondante. L’interesse del socio di società di capitali alla distribuzione di utili deve infatti essere contemperato con l’interesse della società, i cui organi sono liberi di decidere in merito alle scelte fondamentali della vita sociale, qual è la destinazione dei profitti rinvenienti dall’attività caratteristica.
Il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di società impone di sanzionare con l’annullamento la delibera che sia priva di una qualsiasi utilità per la società e che contestualmente arrechi un danno al socio di minoranza, in assenza di una ragione giustificatrice, segno dell’intento deliberato dei soci di maggioranza di ledere i diritti degli altri soci.

3 Novembre 2023

Azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di s.r.l. per atti di mala gestio

Per effetto del fallimento di una società di capitali, le  diverse fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. (ante riforma) confluiscono in un’unica azione, dal carattere unitario ed inscindibile, all’esercizio della quale è legittimato, in via esclusiva, il curatore del fallimento, ai sensi dell’art. 146 l. fall., che può, conseguentemente, formulare istanze risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori ed i sindaci tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità contrattuale di questi verso la società, quanto a quelli della responsabilità extracontrattuale verso i creditori sociali.

Per gli amministratori di una società a responsabilità limitata, al pari di quelli delle società per azioni, è richiesta non la generica diligenza del mandatario (art. 1710 c.c.), cioè quella tipizzata nella figura dell’uomo medio, ma quella desumibile in relazione alla natura dell’incarico ed alle specifiche competenze, cioè quella speciale diligenza prevista dall’art. 1176, 2° comma, c.c. per il professionista.

All’amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solo l’omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.

Il risarcimento del danno cui è tenuto l’amministratore, ai sensi dell’art. 2476 c.c., dà luogo ad un debito di valore, avendo per contenuto la reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione economica preesistente al verificarsi dell’evento dannoso, con la conseguenza che nella liquidazione del risarcimento deve tenersi conto della svalutazione monetaria verificatasi tra il momento in cui si è prodotto il danno e la data della liquidazione definitiva.

31 Ottobre 2023

In caso di comproprietà di partecipazioni, solo il rappresentante comune ha diritto a impugnare una delibera

La disposizione dettata dall’art. 2468, co. 5, c.c. contempla un’ipotesi di rappresentanza  necessaria, i cui poteri sono esclusivamente attribuiti al soggetto designato secondo le modalità prescritte dagli artt. 1105 e 1106 c.c., con conseguente preclusione, per i partecipanti alla comunione, del concorrente esercizio dei diritti, da intendersi come l’insieme di tutti i diritti sociali, siano essi patrimoniali, amministrativi o processuali. Corollario – questo – del principio di indivisibilità delle quote e delle azioni di cui all’art. 2347 c.c., norma che nel conferire alla partecipazione azionaria il carattere della indivisibilità, ha considerato indispensabile, in relazione alle esigenze peculiari della organizzazione societaria e alla natura del bene in comunione, la unitarietà dell’esercizio dei diritti, impedendone, quanto meno nei rapporti esterni, il godimento e l’amministrazione in forma individuale; e ciò al fine, da un lato, di evitare che contrasti interni si riflettano sulle attività assembleari e, dall’altro, di garantire certezza e stabilità alle deliberazioni assunte, correttamente approvate.

In ipotesi di contitolarità di una quota del capitale sociale, tanto l’intervento in assemblea ed il relativo diritto di voto, quanto il potere di proporre l’impugnazione di cui agli artt. 2377 e 2379 c.c., competono, in via esclusiva, al rappresentante comune (sia esso nominato dagli stessi soci ovvero, in difetto, dall’autorità giudiziaria), non residuando in capo al singolo titolare la facoltà di invocare alcuna tutela giurisdizionale, né in via concorrente, né in via residuale.

La controversia relativa all’impugnazione della delibera assembleare di una società a responsabilità limitata per abuso del diritto di voto da parte della maggioranza consiste nella denunzia di una causa di annullabilità della delibera e non di nullità. Ne consegue che il terzo non è legittimato a proporre l’impugnazione per vizio di annullabilità della delibera.

Nell’azione di nullità di delibera assembleare, a differenza che nell’azione di annullamento ove la preselezione operata dal legislatore in punto di legittimazione attiva qualifica il relativo interesse, il terzo deve allegare e dimostrare un interesse concreto ed attuale alla declaratoria di nullità in quanto esso è la fonte della sua legittimazione. In particolare, ai fini della proponibilità dell’impugnazione ex art. 2379 c.c. non è sufficiente un generico interesse al rispetto della legalità, laddove ne venga denunciata la nullità, ma è necessaria l’allegazione di un’incidenza negativa nella sfera giuridica del soggetto agente delle irregolarità denunciate riguardo al risultato economico della gestione sociale. Ciò significa che la qualità di socio non è requisito necessario, essendo legittimato qualsiasi soggetto purché titolare di un interesse concreto ed attuale all’impugnativa, interesse che deve sussistere non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione.

L’art. 2469 c.c. stabilisce che le partecipazioni sociali nelle s.r.l. possono essere liberamente trasferite, nei limiti delle previsioni dell’atto costitutivo, ma tale trasferimento ha effetto nei confronti della società solo dal momento del deposito presso il registro delle imprese dell’atto notarile che attesta la cessione della quota, ai sensi dell’art. 2470 c.c. La qualifica di socio non interviene con il mero deposito della domanda pubblicitaria, ma dal momento dell’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese. Quindi, l’iscrizione nel registro delle imprese fa sì che l’acquirente diventi socio della società e permette a quest’ultimo di opporre il proprio acquisto e la propria qualifica ai terzi.

L’operatività dell’art. 2500 bis c.c. è circoscritta alla sola delibera di trasformazione e a quelle a essa strettamente funzionali e non anche a delibere meramente contestuali o accessorie. L’invalidità della deliberazione contenente modifiche non consentite non è sanata dall’iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2500 bis c.c., tutelando detta norma la stabilità dell’organizzazione del nuovo tipo societario, rispetto alla quale restano ininfluenti le deliberazioni solo occasionate dalla trasformazione.

La convocazione dell’assemblea non solo deve essere spedita anteriormente, ma deve comunque essere ricevuta prima dell’assemblea, di modo da consentire un consapevole esercizio del potere deliberativo. Nulla impedisce ai soci di convenire, all’atto della stipulazione del contratto di società, una disciplina diversa, che faccia decorrere il termine di convocazione dall’effettiva e documentata ricezione dell’avviso di convocazione anziché dalla sua spedizione. Occorre, però, sottolineare che la disciplina ha pur sempre per presupposto che il socio sia convocato: e ciò può dirsi avvenuto solo a condizione che l’avviso di convocazione abbia in qualche modo raggiunto il proprio scopo di far sapere al socio che si terrà un’adunanza in un certo luogo, in una certa data e con un certo ordine del giorno (anche se lo spazio di tempo a sua disposizione per prepararsi ad intervenire può in concreto risultare variabile).

30 Ottobre 2023

Sul compenso dell’amministratore non previsto dallo statuto o da delibera assembleare

Il pagamento di un creditore in misura superiore a quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.

Il creditore che agisca per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte del suo diritto limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.

E’ escluso che il rapporto tra amministratore e società (c.d. rapporto d’amministrazione) possa essere ricondotto a un contratto d’opera , né, a maggior ragione, a un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato, dovendo essere inquadrato invece tra i rapporti societari . La conseguenza di tale impostazione non può che essere l’inapplicabilità dell’art. 36 Cost. e dell’art, 409, comma 1, n. 3) c.p.c. al rapporto di amministrazione in ambito societario, nel quale il compenso figura come elemento naturale ma non essenziale che può essere riconosciuto all’amministratore solo ove previsto dallo statuto o deliberato dai soci.

26 Ottobre 2023

Annullabilità della delibera assunta da un’assemblea non regolarmente costituita

La deliberazione dell’assemblea dei soci di s.r.l. costituisce un atto negoziale riferibile all’assemblea stessa ancorché questa sia riunita in difetto dei presupposti di legge o di statuto. L’irregolarità della costituzione dell’assemblea per violazione delle previsioni statutarie relative al quorum costitutivo determina l’annullabilità della deliberazione, non rientrando in alcuna delle fattispecie tipiche di nullità delineate dall’art. 2479 ter, co. 3, c.c. Tale vizio deve, dunque, essere fatto valere dal socio entro il termine di decadenza previsto dall’art. 2479 ter, co. 1, c.c.

25 Ottobre 2023

La delibera di ricostituzione del capitale non può avere oggetto illecito

La delibera di ricostituzione del capitale integralmente perso in ragione delle perdite maturate nell’esercizio non può avere di per sé oggetto illecito, trattandosi di rimedio tipico previsto dalla legge in alternativa alla messa in liquidazione della società.