hai cercato articoli in
Art. 2476 c.c.
969 risultati
17 Novembre 2021

Responsabilità del liquidatore per omessa indicazione nel bilancio di un debito della società

Sussiste la responsabilità dell’amministratore/liquidatore ex artt. 2476 comma 7 e 2489 comma 2 c.c. per danno diretto nei confronti del terzo creditore, per avere, in violazione dei doveri inerenti alla carica di amministratore prima e di liquidatore poi, con grave negligenza e imperizia, omesso di appostare il debito della società nei confronti del creditore nei bilanci della società debitrice fino al bilancio finale di liquidazione, omesso di chiedere ai soci di effettuare i versamenti necessari per pagare detto debito, chiuso la liquidazione e cancellato la società dal registro delle imprese omettendo qualsivoglia menzione, considerazione e pagamento del debito nei confronti del creditore, di cui era ben a conoscenza per averlo espressamente riconosciuto e per avere ricevuto (neanche un mese prima della delibera di messa in liquidazione volontaria della società) la diffida di pagamento che prospettava azioni giudiziarie in difetto di restituzione del dovuto.

16 Novembre 2021

Azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l.fall.

L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l.fall. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c. – con conseguente possibilità per il curatore di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (artt. 2393 comma 4, 2941 n. 7, 2949 e 2394 comma 2 c.c.) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c.) – ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.

10 Novembre 2021

Principi in tema di abbandono della domanda, responsabilità dell’amministratore, efficacia probatoria delle scritture contabili

Se, dalla valutazione complessiva del comportamento processuale di parte attrice, deve desumersi la rinuncia tacita alla domanda proposta nei confronti di parte convenuta, derivandosi la chiara – ancorché implicita – volontà di abbandonare la domanda stessa, si deve ritenere che l’abbandono della domanda equivale a rinuncia dell’azione che, diversamente dalla rinuncia agli atti del giudizio, non richiede l’accettazione della controparte né l’adozione di particolari formalità, se non (nell’ipotesi di rinuncia integrale alla pretesa azionata nei confronti del convenuto) il rilascio al difensore di un mandato che gli consenta anche di disporre del diritto sostanziale.

La responsabilità dell’amministratore nei confronti della società fallita ha natura indiscutibilmente contrattuale e, quindi, una volta delineata dal Curatore la violazione, da parte del convenuto, dell’obbligo fondamentale della destinazione all’impiego sociale delle risorse derivanti dall’attività di impresa mediante prelievi ingiustificati analiticamente indicati, è onere dell’amministratore dimostrare di aver esattamente adempiuto al suo mandato, provando la destinazione specifica di ciascun prelievo.

Le scritture contabili redatte dall’organo amministrativo, ivi compresi i c.d. “mastrini” che raccolgono le annotazioni dei singoli conti corrispondenti ai diversi rapporti intrattenuti dalla società, fanno prova contro l’amministratore per il semplice fatto che ne è l’autore e che è gravato dall’obbligo specifico della loro esatta e corretta tenuta; costituiscono efficaci elementi di prova, quindi, non solo le annotazioni contabili a lui sfavorevoli ma anche le eventuali “omissioni” o erronee appostazioni, che, comunque, si traducono nella violazione dell’obbligo di regolare tenuta delle scritture contabili.

 

 

5 Novembre 2021

L’azione di responsabilità nelle s.r.l.: legittimazione attiva e rilevanza dell’ulteriore qualità di amministratore giudiziario

La legittimazione attiva alla proposizione dell’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori della s.r.l. non è una competenza esclusiva del socio ma è aggiuntiva rispetto a quella della società, della quale il socio assume la veste di “sostituto processuale”. Anche quando l’iniziativa è di un singolo socio, la pronuncia risarcitoria sarà sempre in favore della società (e infatti l’art. 2476, co. 6 c.c. chiarisce che, accanto all’azione in esame, il socio potrà anche esperire l’azione di responsabilità per danni diretti).

Nell’azione di responsabilità avente ad oggetto l’attività svolta in qualità di amministratore della società, deve tenersi conto altresì della qualità ricoperta di amministratore giudiziario del capitale e del patrimonio aziendale con riferimento alla necessità dell’ottenimento di eventuali autorizzazioni della competente autorità giudiziaria, per il compimento di una serie di atti. Ai fini dell’individuazione dei poteri dell’amministratore, dei limiti al relativo esercizio e, quindi, dell’eventuale negligenza nello svolgimento dell’attività, è rilevante la qualità di ausiliario del giudice rivestita dal professionista preposto all’amministrazione.

5 Novembre 2021

Condotte distrattive e quantificazione del danno derivante dalla illecita prosecuzione dell’attività sociale

La voce di danno rappresentata dal valore complessivo dei beni per cui sia accertata l’avvenuta distrazione da parte dell’amministratore unico della società non può essere aggiunta a quella ulteriore – pari alla differenza tra i netti patrimoniali – ipoteticamente derivata dall’illecita prosecuzione dell’attività nonostante il verificarsi della causa di scioglimento, in violazione dell’obbligo di gestione meramente conservativo insorto a seguito della mancata ricapitalizzazione. Tale voce di danno – come da tempo chiarito dalla giurisprudenza e stabilito dal legislatore nell’art. 2486 c.c. riformulato con il nuovo codice della crisi di impresa – va quantificata invero verificando – sulla scorta dei bilanci depurati dalle poste fittizie o comunque errate – la differenza tra la consistenza patrimoniale della società al momento del verificarsi della causa di scioglimento e quella al momento del fallimento, sottraendo i costi fisiologici propri della fase di liquidazione (fase che comunque comporta dei costi di gestione) e ponendosi in una prospettiva liquidatoria (dunque quantificando il valore dei beni patrimoniali alla luce del loro valore di mercato e non a quello di costo). Occorre dunque effettuare un’indagine che attenga non solo al profilo dell’insolvenza, ma anche a quello della consistenza patrimoniale nella prospettiva della liquidazione.

Poiché la quantificazione della differenza tra i netti patrimoniali si fonda all’evidenza sulla consistenza effettiva del patrimonio rinvenuto dal curatore fallimentare e dunque sconta la mancanza dei beni distratti, sommare il valore di tali beni al deficit patrimoniale incrementale comporterebbe una duplicazione (quanto meno parziale) della voce di danno. Ciò che può essere sommato al controvalore dei beni distratti è invece il maggiore indebitamento accumulato nel periodo successivo al verificarsi della causa di scioglimento e ammesso al passivo.

In tema di azione di responsabilità promossa dal curatore ai sensi dell’art. 146, co. 2, l.fall., il danno può essere quantificato avendo riguardo all’accertata colpevole dispersione di elementi dell’attivo patrimoniale da parte degli amministratori, oltre che al colpevole protrarsi di un’attività produttiva implicante l’assunzione di maggiori debiti della società, a nulla rilevando che l’importo oggetto di liquidazione sulla base di tali criteri sia ridotto ad una minor somma.

L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l.fall. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c., con conseguente possibilità per il curatore di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (art. 2393, co. 4, 2941, n. 7, 2949 e 2394, co. 2, c.c.) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c), ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.

La natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore consente alla società che agisca per il risarcimento del danno, o al curatore in caso di sopravvenuto fallimento di quest’ultima, di allegare l’inadempimento dell’organo gestorio quanto alla giacenze di magazzino, restando a carico del convenuto l’onere di dimostrare l’utilizzazione delle merci nell’esercizio dell’attività di impresa.

5 Novembre 2021

Azioni di responsabilità esercitate dalla curatela

La responsabilità degli amministratori verso la società è di natura contrattuale e trova la sua fonte tanto nella violazione degli obblighi che hanno un contenuto specifico e già determinato dalla legge o dall’atto costitutivo, quanto nella violazione di obblighi definiti attraverso il ricorso a clausole generali, quali l’obbligo di amministrare la società e perseguirne l’oggetto sociale con la diligenza professionale esigibile ex art. 1176, co. 2, c.c., nonché quello di amministrare senza conflitto di interessi. Altra e distinta forma di responsabilità è quella degli amministratori verso i creditori della società come conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, la cui natura extracontrattuale presuppone l’assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti ed un comportamento dell’amministratore funzionale ad una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da renderlo inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica, con conseguente diritto del creditore di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di adempiere. L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l.fall. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c. ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia sia per i soci sia per i creditori sociali. Dal carattere unitario dell’azione ex art. 146 l.fall. discende che il curatore, potendosi avvalere delle agevolazioni probatorie proprie delle azioni contrattuali, ha esclusivamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombendo per converso sui convenuti l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.

Il thema probandum, nell’ambito dell’azione in questione, si articola pertanto nell’accertamento di tre elementi: l’inadempimento di uno o più degli obblighi di cui sopra, il danno subito dalla società e il nesso causale, mentre il danno risarcibile sarà quello causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell’agente sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante, dunque commisurato in concreto al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo, positivo o omissivo, non fosse stato posto in essere. Ad ogni modo, nell’accertamento della responsabilità degli amministratori deve tenersi conto del principio della insindacabilità nel merito delle scelte di gestione, in quanto il giudice non può apprezzare il merito dei singoli atti di gestione, valutandone, così, l’opportunità e la convenienza: ciò che forma oggetto di sindacato da parte del giudice, dunque, non può essere l’atto in sé considerato e il risultato che abbia eventualmente prodotto, bensì, esclusivamente, le modalità di esercizio del potere discrezionale che deve riconoscersi agli amministratori. Pertanto, alla luce del principio di insindacabilità del merito gestorio, non ogni atto dannoso per il patrimonio sociale è idoneo a fondare la responsabilità dell’amministratore che lo abbia compiuto; al contempo, non tutte le violazioni di obblighi derivanti dalla carica comportano necessariamente una lesione del patrimonio sociale e, dunque, l’individuazione di un danno risarcibile. Infatti, non tutti i comportamenti illeciti degli amministratori danno luogo infatti a responsabilità risarcitoria, ma solo quelli che abbiano causato un danno al patrimonio sociale rendendolo incapiente, danno che deve essere legato da un nesso eziologico ai suddetti illeciti.

3 Novembre 2021

L’azione individuale del socio e del terzo nel fallimento: natura dell’azione e legittimazione attiva del terzo creditore

In tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, dovendosi proporre, altrimenti, l’azione, contrattuale, di cui all’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 l. fall. (cfr. Cassazione civile, sez. I, 10/04/2014, n. 8458).

Sussiste la legittimazione del terzo creditore ai sensi dell’art. 2476 comma 6 c.c. ad ottenere il risarcimento del danno direttamente subito a causa della condotta dolosa o colposa degli amministratori di società dichiarata fallita, non comportando
l’intervenuto fallimento della società l’inammissibilità o improcedibilità della domanda. Il cumulo delle azioni di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c. esperibili dal curatore fallimentare, ai sensi dell’art. 146 l. fall., non si estende infatti all’azione individuale del socio o del terzo direttamente danneggiato la cui legittimazione permane anche in caso di fallimento. Il disposto dell’art 2395 c.c. si applica anche alla società a responsabilità limitata per effetto del richiamo operato dall’art. 2476 comma 6 c.c. (cfr. Tribunale Torino, Sez. spec. Impresa, 27/03/2015).

15 Ottobre 2021

Il danno cagionato dagli amministratori con pagamenti preferenziali e la irregolare tenuta delle scritture contabili

Se i pagamenti preferenziali sono certamente dannosi per la massa dei creditori e il curatore del fallimento è l’unico soggetto legittimato ad agire per il relativo risarcimento, tale danno non può essere indentificato nell’intero importo versato, volto comunque a estinguere una passività societaria. Il danno andrà piuttosto quantificato in via equitativa in relazione all’entità della falcidia fallimentare e all’art. 185 c.p., anche alla luce di eventuali vantaggi dell’autore dei pagamenti, che per esempio abbia estinto debiti societari assistiti da proprie garanzie personali.

Se, alla luce del principio di insindacabilità del merito gestorio, non ogni atto dannoso per il patrimonio sociale è idoneo a fondare la responsabilità dell’amministratore che lo abbia compiuto, non tutte le violazioni di obblighi derivanti dalla carica comportano necessariamente una lesione del patrimonio sociale e, dunque, l’individuazione di un danno risarcibile. Non tutti i comportamenti illeciti degli amministratori danno luogo infatti a responsabilità risarcitoria, ma solo quelli che abbiano causato un danno al patrimonio sociale rendendolo incapiente, danno che deve essere legato da un nesso eziologico ai suddetti illeciti. L’irregolare e anche disordinata tenuta della contabilità integra una violazione dei doveri dell’amministratore, solo potenzialmente, ma non necessariamente, foriera di danno per la società. Eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono certamente rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite, ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge; ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi si sono occultate o che, grazie a quei falsi, sono state consentite. Tali condotte dunque devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.

11 Ottobre 2021

Insindacabilità nel merito delle scelte gestorie: applicazione della “business judgment rule” agli addebiti mossi contro l’amministratore di S.r.l.

In caso di fallimento di una società, la clausola compromissoria contenuta nello statuto della stessa non è applicabile all’azione di responsabilità proposta unitariamente dal curatore ai sensi dell’art. 146 LF diretta alla reintegrazione del patrimonio sociale a garanzia sia dei soci che dei creditori sociali e nella quale confluiscono sia l’azione prevista dall’art. 2393 c.c. che quella di cui all’art. 2394 c.c., in riferimento alla quale la clausola compromissoria non può operare poiché i creditori sono terzi rispetto alla società.

Come è noto, secondo costante giurisprudenza di legittimità, all’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può, pertanto, eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società: ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.

Ne consegue che, anche nell’ipotesi in cui le scelte adottate dall’ex amministratore presentassero, dal punto di vista tecnico-contabile e tecnico-giuridico, profili di irregolarità, dette scelte, in ogni caso, non risultano, per le ragioni sopra esplicitate, manifestatamente illogiche o irragionevoli, e gli eventuali errori ascrivibili all’amministratore dell’epoca possono ritenersi incensurabili in sede giudiziaria, rientrando tale operato gestorio, in concreto, nell’ambito di applicazione e dei limiti stabiliti dal principio della “business judgement rule” e, dunque, nell’alveo delle scelte insindacabili dell’amministratore, insuscettibili di costituire fonte di responsabilità ex art. 2476 c.c.

Sul tema, la Corte di legittimità, con elaborazione giurisprudenziale ormai costante e consolidata, ha affermato che, in tema di responsabilità degli amministratori, la regola dell’insindacabilità nel merito delle scelte gestionali da essi operate trova un limite nel corollario della necessaria ragionevolezza delle stesse nonché nella valutazione della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione contestata.

11 Ottobre 2021

Criteri per l’individuazione dell’amministratore di fatto

In tema di società, la persona che, benchè priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza. Per essere rilevanti, al fine di giungere a qualificare un soggetto quale amministratore di fatto, le attività gestorie (svolte concretamente) devono presentare carattere sistematico e non si devono esaurire soltanto nel compimento di singoli atti di natura eterogenea ed occasionale.

A prescindere dalle investiture formali, si avrà un amministratore di fatto qualora si abbia l’esercizio in concreto di un’attività di amministrazione intesa come un insieme di atti coordinati sul piano funzionale dalla unità dello scopo; attività svolta senza subordinazione, e quantomeno sul piano di un rapporto paritario di cooperazione – se non di superiorità – con il soggetto investito formalmente dei poteri amministrativi.

Una volta integrato il presupposto oggettivo della funzione concretamente esercitata che fa del terzo gestore un amministratore di fatto, sono a lui applicabili in via diretta le norme che disciplinano l’attività degli amministratori di una società di capitali.