hai cercato articoli in
Art. 2476 c.c.
961 risultati
19 Maggio 2021

Dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare

Il termine di prescrizione quinquennale per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità ai sensi dell’art. 2393 c.c. e dell’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art.2394 c.c. decorre: per l’azione sociale di responsabilità dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società (termine il cui decorso rimane sospeso, ex art. 2941, n. 7 c.c. fino alla cessazione dell’amministratore dalla carica); per l’azione di responsabilità dei creditori dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza del patrimonio a soddisfare i crediti che risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto.

Quando le due azioni sono esercitate congiuntamente, ai sensi dell’art. 146 l.f., dal curatore fallimentare sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.

All’interno delle azioni di responsabilità esercitate dal curatore ai sensi dell’art. 146 l.f., il danno alla società e ai creditori sociali derivante dalla prosecuzione dell’attività d’impresa con finalità non meramente conservativa in costanza di una causa di scioglimento non è dato dall’incremento dei debiti, ma dall’eventuale incremento di perdita del patrimonio che costituisce la garanzia ex art. 2740 c.c. per il pagamento dei creditori sociali.

17 Maggio 2021

Azione di responsabilità e legittimazione del curatore fallimentare

Il curatore è legittimato ad esercitare l’azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. (in materia di s.p.a.) ed ex art. 2476, comma 6, c.c. (in materia di s.r.l.). A seguito della chiusura del fallimento, detta legittimazione ad agire spetta al singolo creditore, non competendo più, quale azione di massa, al fallimento stesso.

13 Maggio 2021

L’azione di responsabilità contro gli amministratori esperita per ottenere la riduzione del prezzo di (avvenuto) acquisto delle azioni della società

Per la determinazione della responsabilità degli amministratori ex art. 2476 c.c., avente natura contrattuale, non è sufficiente il risultato negativo dell’attività sociale o di singoli atti. Occorre invero provare la sussistenza di specifiche violazioni – da parte degli amministratori – dei doveri loro imposti dalla legge e/o dallo statuto, nonché il nesso di causalità tra le violazioni medesime e il danno verificatosi. L’onus probandi della non imputabilità del fatto dannoso alla propria condotta spetta invece all’amministratore, il quale deve fornire prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti.

Ciò posto, resta fermo che – in ottemperanza alla cd. business judgement rule o giudizio prognostico postumo – all’organo giudicante non è dato vagliare il merito delle scelte di gestione, dovendo l’analisi di questo limitarsi alla diligenza degli amministratori, ivi compresa la correttezza procedurale delle decisioni adottate e/o attuate da tali soggetti.

La domanda in sede giudiziale della riduzione del prezzo di (avvenuto) acquisto delle azioni di una società, asseritamente inficiato dal comportamento doloso del precedente amministratore, giustificata invocando l’invalidità del contratto per vizio del consenso, deve essere accompagnata dalla dimostrazione de: (i) l’artificio o raggiro posto in essere per indurre la conclusione del contratto che non sarebbe stato altrimenti concluso ovvero che sarebbe stato concluso a condizioni diverse; (ii) il fatto che l’altrui dolo fosse idoneo a viziare la propria volontà, i.e. che l’agente avesse contezza  delle false rappresentazioni indotte e fosse convinto di poter inficiare l’altrui volontà, traendola specificamente in inganno, con artifici, raggiri e menzogne.

12 Maggio 2021

Limiti all’applicabilità del principio della compensatio lucri cum damno

La corretta applicazione del principio della compensatio lucri cum damno postula che, quando unico è il fatto illecito generatore del danno e dell’asserito vantaggio, nella quantificazione del risarcimento si tenga conto anche di tutti i vantaggi nel contempo derivati al danneggiato, perché il risarcimento è finalizzato a sollevare dalle conseguenze pregiudizievoli dell’altrui condotta e non a consentire una ingiustificata locupletazione del soggetto danneggiato.

Al fine di determinare l’entità del danno risarcibile al patrimonio sociale, causato dal pagamento da parte della società di una sanzione amministrativa per condotte di violazione alla concorrenza direttamente ascrivibili alla negligenza degli amministratori, non può tenersi conto dell’eventuale vantaggio conseguito dalla società per effetto delle condotte sanzionate. Viene, dunque, negata l’operatività del principio della compensatio lucri cum damno, la cui applicazione determinerebbe, da un lato, la frustrazione della funzione sanzionatoria del pagamento effettuato dalla società e, dall’altro, una duplicazione degli effetti vantaggiosi per la stessa, posto che l’ammontare della sanzione irrogata già include l’eventuale lucro ricavato dalla società con la condotta sanzionata. Ammettere che esso possa esser nuovamente valutato sub specie di mitigazione del risarcimento dovuto dagli amministratori alla società per la perdita così inferta al patrimonio sociale, varrebbe in ultima analisi a duplicare la compensazione dei suoi effetti vantaggiosi: una volta nel patrimonio della autrice/danneggiata e una seconda in quello delle persone fisiche che per essa hanno agito.

La liquidazione equitativa del danno è consentita dalla legge (artt. 1226 e 2056 c.c.) solo in tema di danno da inadempimento o fatto illecito, quando questo sia stato dimostrato dal danneggiato ma non sia provato nel suo preciso ammontare. Non è, quindi, possibile utilizzare tale criterio nell’opposta ipotesi in cui sia il danneggiante a voler provare di aver apportato al danneggiato, con lo stesso illecito con cui ha leso la sua sfera giuridico-patrimoniale, delle utilità tali da compensare in tutto o in parte le disutilità infertegli.

12 Maggio 2021

Responsabilità dell’amministratore per condotte distrattive a favore della controllante

Se è vero che non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali, anche se presentino profili di alea economica superiori alla norma, resta invece valutabile la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente – se necessario, con adeguata istruttoria – i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite, altrimenti prevedibili.

Non esiste un superiore interesse di gruppo che legittimi indiscriminatamente il sacrificio degli interessi di cui è portatrice ciascuna delle singole società che lo compongono: l’autonomia soggettiva e patrimoniale di ciascuna delle società parte di un gruppo e l’autonomia e il dovere di fedeltà a cui sono tenuti i relativi amministratori pongono in capo a questi ultimi l’obbligo di perseguire in primo luogo l’interesse della singola società, che non può essere illegittimamente sacrificato a quello del gruppo.

A fronte di comportamenti dell’amministratore che ledono il patrimonio dell’ente e perciò appaiono contrari al suo obbligo di perseguire una corretta gestione societaria, gli eventuali benefici compensativi non possono ritenersi sussistenti solo perché la società fa parte di un gruppo, dovendo l’amministratore farsi carico di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta e fermo restando che non si possono considerare compensabili nel senso indicato dalla norma i pregiudizi che minano l’esistenza stessa della società del gruppo e/o che comportano il venir meno della liquidità necessaria per la sua sopravvivenza.

11 Maggio 2021

La mancata regolare tenuta delle scritture contabili non giustifica la condanna dell’amministratore a risarcire un importo pari alla differenza fra attivo e passivo fallimentare

L’azione di responsabilità esercitata  nei confronti di più amministratori – tra i quali solo alcuni risultano formalmente amministratori della società al momento della dichiarazione di fallimento – presuppone , in primo luogo, l’accertamento del ruolo assunto da ciascun amministratore nei diversi periodi rilevanti ai fini dell’imputazione degli addebiti formulati dalla curatela.  Il fatto che l’amministratore prendesse ordini ed istruzioni da un altro amministratore nell’esecuzione degli atti gestori non elide affatto la sua responsabilità, derivante dalla indispensabile cooperazione prestata nella conduzione dell’attività amministrativa e gestoria. 

La responsabilità contrattuale dell’amministratore nei confronti della società  presuppone la sussistenza di comportamenti tenuti dall’amministratore in violazione di specifici obblighi (derivanti dalla legge e dallo statuto), nonché  la dimostrazione che ne sia derivato un pregiudizio nella sfera giuridica della società e che tale pregiudizio sia  casualmente e logicamente connesso all’illecito prospettato. Tale responsabilità non è, infatti, configurabile in termini semplicemente sanzionatori della condotta illecita prospettata attraverso la concezione di una sorta di danno “punitivo”, sganciato nella sua determinazione della effettiva dimostrazione della natura e consistenza del pregiudizio che dall’illecito sarebbe derivato alla società. 

La semplice violazione da parte dell’amministratore dell’obbligo di regolare tenuta delle scritture contabili , condotta di per sé inidonea a determinare un materiale pregiudizio nella sfera patrimoniale della società, non giustifica l’imputazione all’amministratore inadempiente della responsabilità per il dissesto e non è , quindi, sufficiente a fondare la pretesa del fallimento di pagamento della somma corrispondente alla differenza tra l’attivo e il passivo fallimentare , come se si trattasse di una misura sanzionatoria della violazione. [fattispecie relativa a fatti verificatisi anteriormente all’introduzione del terzo comma dell’art. 2486 c.c., disposta dall’art. 378, comma 2, D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14]

 

10 Maggio 2021

Responsabilità degli amministratori per mancata rilevazione di una causa di scioglimento

L’obbligo imposto agli amministratori dall’art 2485 c.c. è quello di accertare “senza indugio” il verificarsi della causa di scioglimento e procedere agli adempimenti conseguenti: pertanto, gli amministratori sono obbligati, da un lato, ad operare con diligenza nell’acquisire le informative sull’andamento della società utili al rilievo della causa di scioglimento e, dall’altro, una volta acquisita in forza di detti elementi la consapevolezza dell’azzeramento del capitale, a convocare, tempestivamente e senza temporeggiamenti, l’assemblea dei soci per la ricapitalizzazione ovvero in difetto constare lo scioglimento. Inoltre, anche se solitamente la perdita emerge in sede di predisposizione della bozza di bilancio, qualora la situazione della società presenti conclamate criticità, vi è onere per gli amministratori di monitorare detta situazione anche sotto il profilo patrimoniale senza attendere il momento deputato per legge alla predisposizione della bozza di bilancio.

Sussiste la responsabilità degli amministratori là dove, anziché rilevare tempestivamente la causa di scioglimento o chiedere per tempo la ricostituzione del capitale, hanno posticipato la approvazione del bilancio, in spregio alla normativa di cui agli artt. 2482 bis c.c., 2485 c.c. e 2486 c.c., sostituendo illecitamente gli ineludibili “passaggi” imposti da detta normativa con l’assunzione di nuovo rischio di impresa.

La stipula di un contratto di acquisto di azienda costituisce operazione non conservativa e pertanto, nell’ipotesi di perdita del capitale sociale, operazione condotta in violazione del disposto dell’art 2486 c.c., norma che, in situazione di perdita di capitale, limita i poteri dell’organo gestorio e non gli consente l’assunzione di nuovo rischio d’impresa, indipendentemente dagli effetti nell’immediato, se del caso anche positivi, che da tale assunzione di rischio possano discendere.

Del danno derivato dalla indebita prosecuzione dell’attività caratteristica rispondono tutti i componenti del consiglio di amministrazione, a prescindere dalle deleghe attribuite ai singoli amministratori, poiché l’onere di rilevare la perdita del capitale sociale e di porre in essere gli adempimenti conseguenti, nonché di evitare attività gestionali non conservative grava su tutti gli amministratori, non essendo materia suscettibile di deleghe.

5 Maggio 2021

Azione di responsabilità del fallimento nei confronti dell’amministratore di srl e presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria

Tra i doveri imposti dalla legge agli organi gestori – a pena di responsabilità ai sensi dell’art. 2476 c.c. –  vi sono doveri di corretta e puntuale gestione fiscale. Al fine di ridurre l’impatto fiscale sul patrimonio societario, l’amministratore, deducendo che la società non dispone di provviste necessarie per adempiere all’obbligazione tributaria, può provvedere alle richieste di adesione/rateazione. Malgrado l’accertamento con adesione, nell’ipotesi in cui l’omissione degli adempimenti fiscali continui sino a diventare sistematica, l’ingente debito a cui si trova esposta la società, consapevolmente accumulato da parte dell’amministratore, può causare il dissesto della società. In tal caso, l’amministratore va riconosciuto gravemente responsabile della violazione di propri doveri di legge sul punto e tenuto al risarcimento del danno da calcolarsi sulla base delle conseguenze sanzionatorie alle quali la società -in termini di gravosi ricarichi, interessi moratori nonché aggi e spese di recupero – si trova perciò esposta.

La circostanza che alla data della cessazione della carica dell’amministratore unico, lo stato di crisi non fosse manifesto è irrilevante: l’amministratore non va esente da responsabilità per fatti e danni successivi, causati da atti di mala gestio e da condotte distrattive e in fronde ai creditori durante il periodo in carica.

Al fine di dichiarare l’inefficacia nei confronti del Fallimento di atti di disposizione del patrimonio compiuti dall’amministratore, i presupposti richiesti – dall’art. 2901 co.1 c.c. richiamato dall’art. 66 l.fall. – sono segnatamente:
(i) La sussistenza del credito risarcitorio del Fallimento, interamente maturato alla data della cessazione dell’incarico ed accertato al momento della proposizione della domanda.
(ii) Il pregiudizio arrecato alla garanzia patrimoniale generica, insito nella rapida evaporazione di beni immobili in liquidità.
(iii) La consapevolezza di tale pregiudizio in capo al disponente, risultante dall’intento di schermare i beni immobili personali dalle pretese dei creditori sociali. La stessa scelta del contraente [società costituita ad hoc dalle figlie dell’amministratore nella fattispecie] è indice di una chiara consapevolezza di tale pregiudizio.
(iv) Essendo l’atto di disposizione compiuto dal disponente a titolo oneroso, è altresì necessaria la consapevolezza da parte del terzo acquirente del pregiudizio che tale atto arreca alla garanzia patrimoniale generica. Il tentativo della società terza – controllata da soggetto riconducibile al disponente – di dissimulare una cessione delle quote in occasione dell’atto di disposizione del patrimonio oggetto dell’azione revocatoria e la successiva retrocessione delle stesse, rende certa tale consapevolezza.

30 Aprile 2021

Inadempimento del terzo e responsabilità dell’amministratore

L’amministratore di società a responsabilità limitata risponde dell’inadempimento del terzo solo nel caso in cui sia configurabile a tal riguardo una sua condotta dolosa o colposa.

30 Aprile 2021

Azione di responsabilità contro gli amministratori e violazione dei doveri di lealtà e diligenza

In tema di azione di responsabilità promossa contro gli amministratori di un società, l’attore che agisce in giudizio per far valere ex art. 2476 c.c. la responsabilità di costoro, non può limitarsi ad invocare genericamente il compimento da parte degli stessi di atti di mala gestio, ma è tenuto ad allegare le condotte presupposto della responsabilità e a provare la violazione da parte degli amministratori dei doveri ad essi imposti dalla legge e/o dell’atto costitutivo della società, nonché la sussistenza di un nesso di causalità tra la violazione e il danno verificatosi. Qualora i comportamenti degli amministratori non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto ma siano violativi dei doveri generali di lealtà e diligenza, l’attore ha altresì l’onere di fornire la prova di quegli elementi di contesto che dimostrino che la condotta dell’amministratore ne costituisca l’inadempimento.