Illegittima prosecuzione dell’attività di impresa dopo la perdita del capitale sociale: calcolo del danno
I criteri di quantificazione del danno derivante da gestione non conservativa della società ex art. 2486 c.c. sono applicabili “salva la prova di un diverso ammontare”. Infatti, tanto il criterio c.d. “incrementale” quanto quello c.d. “differenziale” sono in sostanza equitativi, poiché non basati sulla prova oggettiva del pregiudizio provocato dalla prosecuzione dell’attività (come sarebbe se, consentendolo le scritture contabili, si procedesse secondo il criterio c.d. “analitico”, fondato sull’esame di ciascuna singola operazione compiuta nel periodo), bensì desunti da dati che non ne sono certa e diretta espressione, con il rischio che nel computo del danno risarcibile finiscano voci di debito non provocate dalla condotta illecita dell’organo di gestione, ma da atti di gestione anteriori. Il principio espresso dalla norma in esame, dunque, continua ad essere quello per cui il risarcimento dev’essere il più possibile aderente al danno provocato: solo se tale aderenza non può essere ottenuta è applicabile un criterio che, anziché far premio agli amministratori per la loro negligenza contabile, semmai la penalizza; ma ogni qual volta i criteri equitativi indicati dalla legge possono essere corretti nei loro effetti distorsivi, attraverso l’utilizzo di dati certi, non vi è motivo di non farvi ricorso, poiché essi valgono, appunto a fornire “la prova di un diverso ammontare”, maggiormente vicino alla realtà.
Principi di corretta redazione del bilancio per la rilevazione tempestiva della perdita del capitale sociale
L’art. 2424 c.c. e i principi contabili non consentono di patrimonializzare i costi amministrativi. I costi che concorrono alle immobilizzazioni immateriali, iscrivibili nell’attivo patrimoniale, non devono esaurire la propria utilità nell’esercizio di sostenimento, ma manifestare una capacità di produrre benefici economici futuri. Il presupposto fondamentale della loro iscrizione all’attivo patrimoniale sta nella possibilità di dimostrare la congruenza ed il rapporto causa-effetto tra tali costi e la futura utilità che dagli stessi l’impresa si attende di ottenere. Dunque, la capitalizzazione non è un’automatica conseguenza del fatto che i costi siano stati sostenuti.
Il compenso dell’amministratore e del consulente del lavoro non sono ricompresi tra i costi patrimonializzabili. Tali esborsi non rientrano, infatti, né nei costi di impianto o ampliamento (che invece possono comprendere i costi del personale operativo che avvia le nuove attività, i costi di pubblicità sostenuti in tale ambito, i costi di assunzione e di addestramento del nuovo personale, i costi di allacciamento di servizi generali, quelli sostenuti per riadattare uno stabilimento esistente), né nei costi di sviluppo (costi di ricerca o costi per la progettazione, la costruzione e la prova di materiali, progetti, prodotti, processi, sistemi, ecc.) e neppure nei costi di avviamento (costi iniziali di acquisto dell’azienda).
Ai sensi dell’art. 2426, co. 1, c.c., possono essere patrimonializzati solo gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi. Gli oneri finanziari costituiscono spese dell’esercizio da imputare a conto economico nell’esercizio in cui maturano e con riferimento al principio di competenza: solo nel caso in cui siano sostenuti per l’acquisto o la costruzione di immobilizzazioni materiali, tali oneri possono essere capitalizzati aumentando il valore delle immobilizzazioni cui si riferiscono. Il principio OIC 16 prevede che la capitalizzazione degli oneri finanziari possa essere effettuata quando riguarda oneri effettivamente sostenuti, oggettivamente determinabili, entro il limite del valore recuperabile del bene. Inoltre, sono capitalizzabili solo gli interessi maturati su beni che richiedono un periodo di costruzione significativo. In mancanza dei requisiti suddetti, gli oneri finanziari non possono accrescere l’attivo patrimoniale e dunque l’amministratore non può fare affidamento su tali oneri (o meglio sulla loro capitalizzazione) per escludere che vi sia stata perdita del capitale sociale.
L’art. 2485 c.c. impone all’amministratore di accertare senza indugio il verificarsi delle cause di scioglimento della società, il che significa – per l’accertamento del verificarsi della causa di cui all’art. 2484, co. 1, n. 4, c.c. – che non deve attendersi la chiusura dell’esercizio e la redazione del bilancio. Qualora si verifichino perdite che comportino la riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale, deve essere subito convocata l’assemblea per deliberare l’azzeramento e la ricostituzione del capitale o la trasformazione della società, al fine di impedirne lo scioglimento, sicché la mancanza di sollecitudine nella convocazione dell’assemblea costituisce causa di responsabilità degli amministratori.
Responsabilità degli amministratori per illegittima prosecuzione dell’attività di impresa
Gli amministratori non possono essere ritenuti responsabili delle perdite maturate dall’impresa, senza la prova che il deficit patrimoniale sia stato conseguenza delle condotte gestorie compiute dopo la riduzione del capitale sociale, e possono essere chiamati a rispondere solo dell’aggravamento del dissesto cagionato dalle ulteriori perdite che siano derivate dalla loro condotta illegittima, in quanto commessa al di fuori dei poteri di conservazione del patrimonio sociale. Infatti, integra responsabilità degli amministratori la prosecuzione, dopo che si sia verificata una causa di scioglimento, dell’attività economica della società con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale che abbia determinato effetti pregiudizievoli per la società stessa, i creditori od i terzi. Il curatore fallimentare che intenda far valere la responsabilità dell’ex amministratore deve allegare e provare che, successivamente alla perdita del capitale, sono state intraprese iniziative imprenditoriali connotate dall’assunzione di nuovo rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di una logica meramente conservativa.
Responsabilità degli amministratori per mancata rilevazione di una causa di scioglimento
L’obbligo imposto agli amministratori dall’art 2485 c.c. è quello di accertare “senza indugio” il verificarsi della causa di scioglimento e procedere agli adempimenti conseguenti: pertanto, gli amministratori sono obbligati, da un lato, ad operare con diligenza nell’acquisire le informative sull’andamento della società utili al rilievo della causa di scioglimento e, dall’altro, una volta acquisita in forza di detti elementi la consapevolezza dell’azzeramento del capitale, a convocare, tempestivamente e senza temporeggiamenti, l’assemblea dei soci per la ricapitalizzazione ovvero in difetto constare lo scioglimento. Inoltre, anche se solitamente la perdita emerge in sede di predisposizione della bozza di bilancio, qualora la situazione della società presenti conclamate criticità, vi è onere per gli amministratori di monitorare detta situazione anche sotto il profilo patrimoniale senza attendere il momento deputato per legge alla predisposizione della bozza di bilancio.
Sussiste la responsabilità degli amministratori là dove, anziché rilevare tempestivamente la causa di scioglimento o chiedere per tempo la ricostituzione del capitale, hanno posticipato la approvazione del bilancio, in spregio alla normativa di cui agli artt. 2482 bis c.c., 2485 c.c. e 2486 c.c., sostituendo illecitamente gli ineludibili “passaggi” imposti da detta normativa con l’assunzione di nuovo rischio di impresa.
La stipula di un contratto di acquisto di azienda costituisce operazione non conservativa e pertanto, nell’ipotesi di perdita del capitale sociale, operazione condotta in violazione del disposto dell’art 2486 c.c., norma che, in situazione di perdita di capitale, limita i poteri dell’organo gestorio e non gli consente l’assunzione di nuovo rischio d’impresa, indipendentemente dagli effetti nell’immediato, se del caso anche positivi, che da tale assunzione di rischio possano discendere.
Del danno derivato dalla indebita prosecuzione dell’attività caratteristica rispondono tutti i componenti del consiglio di amministrazione, a prescindere dalle deleghe attribuite ai singoli amministratori, poiché l’onere di rilevare la perdita del capitale sociale e di porre in essere gli adempimenti conseguenti, nonché di evitare attività gestionali non conservative grava su tutti gli amministratori, non essendo materia suscettibile di deleghe.
Responsabilità di sindaci e amministratori per indebita prosecuzione dell’attività malgrado la sussistenza di una causa di scioglimento nelle s.r.l.
E’ esperibile l’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. da parte del curatore di s.r.l. fallita nei confronti degli amministratori che, violando l’applicazione dei principi di corretta redazione del bilancio, abbiano mancato di ravvisare una causa di scioglimento, la quale, fa sorgere l’obbligo di accertamento formale e convocazione dell’assemblea per la delibera delle conseguenti valutazioni (azzeramento e ricostruzione del capitale sociale mediante conferimenti o scioglimento e liquidazione) ex art. 2485 c.c. Sono obbligati in solido con agli amministratori i sindaci che, in virtù dei loro rilevanti poteri di ispezione e controllo e in seguito alla partecipazione delle assemblee dei soci e alle adunanze del consiglio di amministrazione, ai sensi degli art. 2405 e 2406 c.c., devono convocare l’assemblea in caso di omissioni degli amministratori e accertamento di fatti di rilevante gravità nella gestione societaria. La prosecuzione dell’attività in presenza di una causa di scioglimento comporta responsabilità risarcitoria, tanto per i primi, di fronte alla società per lo svolgimento di attività non meramente conservative e di fronte ai creditori sociali per l’incremento del passivo e l’aggravamento della situazione debitoria della società, quanto per i secondi, i quali, obbligati in solido con gli amministratori, devono provvedere a effettuare i dovuti controlli sulla gestione, nel rispetto della legge e dello statuto, e sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società ai sensi dell’art. 2403 c.c.
La quantificazione del danno, per l’indebita prosecuzione dell’attività, è pari alla differenza tra il patrimonio netto stimato alla data del fallimento, con riferimento alla data dell’ultima situazione contabile, e quello stimato alla data del verificarsi della causa di scioglimento, dedotti quei costi che sarebbero stati sostenuti anche nella fase di liquidazione, e previa riclassificazione dei dati patrimoniali in prospettiva liquidatoria.
Inammissibilità dell ricorso dell’Amministratore Unico per l’accertamento giudiziale della causa di scioglimento della società
Deve dichiararsi inammissibile il ricorso proposto dall’amministratore unico di una società a responsabilità limitata per l’accertamento dello stato di scioglimento della società e la nomina giudiziale del liquidatore, difettando in tale fattispecie il presupposto normativo per l’adozione del provvedimento ex artt. 2485 e 2487 c.c. rappresentato dall’omissione degli amministratori, posto che proprio l’amministratore di s.r.l. è il soggetto legittimato – ed anzi obbligato – dalla norma all’accertamento della causa di scioglimento della società. Cosicché, non può ravvisarsi una “competenza sostitutiva” dell’Autorità Giudiziaria a fronte di un’omissione imputabile alla stessa parte ricorrente che a tale omissione può direttamente ovviare, accertando la causa di scioglimento dell’ente amministrato, convocando poi l’assemblea dei soci per la nomina del liquidatore e, solo in caso di esito infruttuoso, ricorrendo poi al Tribunale per la nomina giudiziale del liquidatore.
Socio s.a.s. irreperibile. Ammessa la liquidazione giudiziale
L’irreperibilità di uno dei due soci della s.a.s. e il disinteresse di entrambi a proseguire l’attività sociale è equiparabile a uno dei motivi di scioglimento della società ex art. 2272 n.2 cod.civ e, pertanto, giustifica l’adozione del provvedimento giudiziale di messa in liquidazione della società.
Il dissidio fra gli unici due soci di s.r.l. e lo scioglimento giudiziale della società
Il dissidio fra gli unici due soci di una srl caratterizzata da una distribuzione paritetica fra gli stessi del capitale sociale cristallizzato nella mancata approvazione dei bilanci sociali comporta lo scioglimento della stessa ex art. 2484 I comma n.3 cod.civ. [ LEGGI TUTTO ]
Non è affetta da invalidità la delibera assunta sulla base di voto determinante espressa da un socio il cui acquisto della quota sia stato, successivamente alla deliberazione, dichiarato invalido
Il contratto di trasferimento di quote di partecipazione in una società a responsabilità limitata, indipendentemente dall’eventuale esistenza di immobili nel patrimonio di questa, non richiede né ad substantiam né ad probationem la forma scritta, che invero è necessaria non per la validità ed efficacia della cessione tra le parti, ma solo per la sua opponibilità alla società stessa, con la conseguenza che la prova dell’accordo, tra le parti, può essere data attraverso qualunque mezzo istruttorio, anche indiziario. Viceversa, la forma scritta -e, precisamente, l’atto pubblico o la scrittura privata con sottoscrizioni autenticate- è necessaria per potere eseguire il deposito dell’atto di trasferimento presso il Registro delle Imprese (forma integrativa o ad regularitatem); solo dal momento dell’iscrizione dell’atto il trasferimento infatti sarà efficace nei confronti dei terzi e della società, che è e rimane soggetto terzo ed estraneo al trasferimento. [ LEGGI TUTTO ]
Sull’onere probatorio nell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare
Nell’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall., esercitata dal curatore nei confronti di amministratori e sindaci di S.p.A. fallita, l’inadempimento si presume colposo: se l’allegazione della violazione degli obblighi (che, nel caso della fattispecie dell’azione sociale riguarda doveri imposti dalla legge, dallo statuto o obblighi generali di vigilanza e intervento, mentre, nel caso dell’azione spettante ai creditori sociali, riguarda comportamenti lesivi dell’integrità patrimoniale) grava sul curatore, la prova della mancanza del nesso di causalità tra tali comportamenti e il fatto dannoso, e quindi la prova positiva dell’osservanza di tali doveri, grava sugli amministratori. In questo contesto, il nesso di causalità non è solo presupposto necessario e sufficiente per affermare la responsabilità risarcitoria, ma anche parametro per l’entità del risarcimento. In particolare, gli obblighi che riguardano la riduzione del capitale per perdite al disotto del minimo legale – prevista come causa di scioglimento, la quale conferisce agli amministratori il potere di gestire la società ai fini della liquidazione – implicano responsabilità non solo per mancanza di accertamento della menzionata causa ma anche per il suo non tempestivo riconoscimento: chi agisce ex art. 2486 c.c. deve dunque fornire evidenza della prosecuzione dell’attività imprenditoriale, dell’avvenuta perdita di capitale e gli atti negoziali posti in essere successivamente – e nonostante – la conoscenza della predetta causa di scioglimento; spetta invece agli amministratori provare che la protrazione dell’attività è dovuta a finalità liquidatorie, connesse all’ordinaria attività di impresa e non comportanti nuovi rischi.