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Art. 146 l.fall.
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29 Giugno 2023

La responsabilità del liquidatore: natura e onere della prova

Giusto il disposto di cui all’art. 2489 c.c., il liquidatore ha il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società e risponde per gli eventuali danni derivanti dall’inosservanza di tale dovere, nonché di quello di adempiere i propri doveri con la professionalità e diligenza richieste dalla natura dell’incarico, secondo le norme in tema di responsabilità degli amministratori, con le relative conseguenze in punto di riparto dell’onere della prova.

L’omessa tenuta o conservazione delle scritture contabile è condotta che non può essere assunta, in sé stessa, quale fonte di un diritto al risarcimento ove non si dimostri che essa è stata causa di violazioni che hanno prodotto un danno alla società, ai creditori o ai terzi, indicando le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.

22 Giugno 2023

Azione sociale di responsabilità e business judgment rule

La responsabilità di amministratori e sindaci di società di capitali nei confronti della società ha natura contrattuale. Pertanto, l’attore deve provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti. Peraltro, trattandosi di responsabilità colposa, l’amministratore può andare esente da responsabilità fornendo la prova positiva di essere immune da colpa per aver improntato la propria condotta a diligenza.

L’attività di amministratore compendia non soltanto un incarico gestionale, ma altresì l’obbligo diretto di osservare le norme di legge e di statuto. Di tal che, la responsabilità connessa al ruolo di amministratore per violazione degli obblighi legislativi e statutari sorge per effetto della nomina da parte dell’organo competente e della successiva accettazione di detta nomina da parte del soggetto designato, il quale assume l’impegno di adempiere a tutti gli obblighi connessi alla carica e di svolgere le funzioni gestorie con la diligenza professionale richiesta dalla natura dell’incarico. Pertanto, non esclude la responsabilità per mala gestio l’aver assunto l’incarico in forza di un rapporto di lavoro stipulato con la socia di maggioranza.

Con riferimento alla valutazione dell’attività dell’organo amministrativo, sussiste un generale principio di insindacabilità del merito delle scelte di gestione, che nondimeno trova un limite nella ragionevolezza delle stesse da compiersi secondo una valutazione ex ante – dunque, al momento della assunzione della decisone – secondo i parametri della diligenza del mandatario.

21 Giugno 2023

Sull’azione di responsabilità degli amministratori di s.r.l. nel fallimento

Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo ovvero per non avere osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, come previsto dall’art. 2392 c.c. sulla responsabilità degli amministratori della s.p.a., applicabile ex art. 12 disp. prel. al c.c. anche alle s.r.l.

Nonostante i doveri degli amministratori non trovino un’enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, spetta all’attore allegare l’inadempimento ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto, e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dell’amministratore contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.

In mancanza del deposito dei bilanci e della tenuta delle scritture contabili obbligatorie i danni devono essere liquidati nella misura pari alla differenza tra attivo e passivo (c.d. deficit fallimentare), secondo il criterio equitativo già invalso nella giurisprudenza di legittimità e oggi codificato all’art. 2486, co. 3, seconda parte, c.c.

16 Giugno 2023

Differenze tra responsabilità nei confronti dei creditori e da danno diretto

Le azioni di responsabilità ex artt. 2476, co. 6, e 2476, co. 7, c.c. sono connotate da distinti presupposti. L’azione ex art. 2476, co. 6, c.c. (così come l’analoga azione verso l’amministratore di s.p.a. ex art. 2394 c.c.) si fonda sull’inosservanza da parte degli amministratori degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, tale da ingenerare un danno che colpisce direttamente il patrimonio della società e solo in via mediata il ceto creditorio (c.d. danno riflesso), e ciò nella misura in cui a causa della inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio la riduzione del patrimonio determinata causalmente da detta mala gestio abbia a sua volta comportato la insufficienza del patrimonio alla soddisfazione delle ragioni creditorie. Nel caso di sopravvenuto fallimento, la legittimazione per l’azione ex art. 2476, co. 6, c.c. dei creditori sociali spetta ex art. 146 l.fall. solo ed esclusivamente al curatore fallimentare, di tal che la sopravvenienza in corso di causa della dichiarazione di fallimento comporta la perdita della legittimazione attiva in capo ai singoli creditori e la improcedibilità della relativa domanda. Residua invece la legittimazione attiva del terzo (e dunque anche del creditore sociale) con riferimento alla azione per danno diretto ex art. 2476, co. 7, c.c.

La responsabilità da danno diretto degli amministratori di s.r.l. ex art. 2476, co. 7, c.c. (o ex art. 2395 c.c. in caso di amministratore di s.p.a.) verso i terzi che abbiano stipulato un contratto con la società non discende automaticamente ex se né da detta loro qualità, né dall’inadempimento ad obblighi discendenti dal contratto. Invero, se la società è inadempiente per non aver rispettato gli obblighi discendenti dal contratto (quale l’obbligo di pagare il corrispettivo), di questi danni risponde la società e soltanto la società: ciò in forza del rapporto di immedesimazione organica tra la società e gli amministratori che per essa agiscono, sicché l’atto dell’amministratore non è atto compiuto per conto della società, ma atto “della” società, necessitando dunque per potersi configurare la responsabilità dell’amministratore un quid pluris.

La responsabilità personale dell’amministratore verso il terzo contraente ex art. 2476, co. 7, c.c. è una responsabilità per danno diretto e non dunque responsabilità per un danno integrato dalla insoddisfazione della pretesa creditoria discendente dalla insufficienza patrimoniale determinata dalla mala gestio. Necessitano pertanto non solo la allegazione e prova di condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi integrante mala gestio, ma altresì la allegazione di fatti che consentano di far ritenere che detta mala gestio abbia determinato un danno diretto al creditore, cioè un danno incidente direttamente sulla sua sfera patrimoniale e non, dunque, meramente derivato dalla perdita della garanzia patrimoniale generica integrata dalla riduzione del patrimonio sociale idoneo a soddisfare il suo credito (rientrando invece quest’ultimo danno nel perimetro del danno riflesso azionabile ex art. 2476, co. 6, c.c.). Ancora, necessita la allegazione del nesso di causalità tale per cui il danno sia non solo diretto, ma altresì legato da nesso di causalità immediata con la mala gestio, e cioè sia conseguenza immediata e diretta della suddetta condotta illecita secondo i principi generali (v. art. 1223 c.c. richiamato quanto alla responsabilità extracontrattuale dall’art. 2056 c.c.).

12 Giugno 2023

Azione di responsabilità della curatela, obblighi degli amministratori e prova delle distrazioni patrimoniali

L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 L.F. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c. – con conseguente possibilità per il curatore medesimo di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (art. 2393 comma 4, 2941 n. 7, 2949 e 2394 comma 2 c.c.) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c.) ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.

Se l’erogazione di somme da parte del socio a favore della società avviene a titolo di prestito, ne consegue l’obbligo per la seconda di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza; se, invece, l’apporto avviene come versamento destinato a confluire in apposita riserva “in conto capitale” e, dunque, non tra i debiti, il socio non diviene titolare di un credito esigibile se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione.

L’amministratore ha l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere  legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.

Va considerato che, comunque, grava sull’organo gestorio in carica al momento del deposito l’obbligo di controllare la corretta predisposizione del bilancio da lui sottoscritto; l’amministratore
subentrante ha, infatti, l’onere di verificare l’effettiva consistenza patrimoniale della società, oltre che la sua reale situazione economico finanziaria, al fine di adottare gli eventuali necessari
aggiustamenti.

Il mancato rinvenimento dei beni da parte della curatela rappresenta la prova della loro dispersione, attesa l’impossibilità di risalire alle vicende sociali ante fallimento.

Prescrizione dell’azione di responsabilità verso i creditori sociali

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società è soggetta a prescrizione quinquennale, decorrente dal momento in cui i creditori sono oggettivamente in grado conoscere l’insufficienza del patrimonio sociale per la soddisfazione dei loro crediti. In ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione relativa di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando, quindi, all’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale

30 Maggio 2023

I fatti sintomatici idonei a ribaltare la presunzione circa la decorrenza della prescrizione dell’azione ex art. 2394 c.c. dalla data del fallimento

Nel caso dell’azione di responsabilità promossa dai creditori sociali, il termine quinquennale decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte loro, dell’insufficienza del patrimonio a soddisfare i crediti che risulti da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto. Solitamente questo momento viene a coincidere con la pubblicazione nel registro delle imprese della dichiarazione di fallimento, atteso che, in ragione della onerosità della prova gravante sulla procedura che agisce, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza. [Nel caso di specie, il tribunale ha considerato tali: (i) l’arresto dell’amministratore delegato, cui era conseguita (ii) la pubblicazione su periodici di notizie in merito all’istanza di fallimento presentata dalla procura della Repubblica; (iii) la sospensione della quotazione e della compravendita delle azioni della società operata da Borsa Italiana, di cui pure era stata data notizia sulla stampa; (iv) la convocazione dell’assemblea straordinaria della società, pubblicata sul sito di Borsa Italiana, avente ad oggetto, tra l’altro, l’analisi della situazione contabile e una discussione in merito all’opportunità di procedere alla presentazione di una domanda di un concordato in bianco, ovvero alla liquidazione della società].

In tema di obbligazioni solidali derivanti da atti illeciti, qualora solo il fatto di uno dei coobbligati costituisca anche reato, mentre quelli degli altri costituiscono unicamente illecito civile, la possibilità di invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall’art. 2947, co. 3, c.c. per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato è limitata alla sola obbligazione del primo dei predetti debitori (quella collegata ad un reato), sicché deve concludersi che il più lungo termine prescrizionale non trova applicazione con riferimento alle posizioni degli altri soggetti che hanno fatto parte degli organi di gestione e di controllo, unitamente ai predetti imputati/condannati, ma nei confronti dei quali l’autorità competente non ha ritenuto di esercitare l’azione penale.

In tema di prescrizione dell’azione di responsabilità del revisore, il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione deve essere individuato nella data della relazione di revisione sul bilancio emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento.

Nell’assumere l’iniziativa giudiziale a norma del secondo comma dell’art. 146 l.f., il curatore del fallimento esercita nei confronti di amministratori e sindaci cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità, che sarebbe stata esperibile dalla medesima società se ancora in bonis (ai sensi degli artt. 2393 e 2407 c.c.), sia l’azione che sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza della società debitrice (ai sensi degli artt. 2394 e 2407 c.c.). Ciò comporta la mera modifica della legittimazione attiva delle azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c., ma non anche una modifica della natura giuridica e dei presupposti di tali singole azioni, che rimangono diversi ed indipendenti. Invero, il curatore può, anche separatamente, formulare le singole domande risarcitorie, le quali mantengono ciascuna la propria natura.

L’irregolare e anche disordinata tenuta della contabilità integra una violazione dei doveri dell’amministratore potenzialmente, ma non necessariamente, foriera di danno per la società. Tale violazione è, tuttavia, idonea a fondare solo una pronuncia di condanna generica al risarcimento che non investe la sussistenza del danno. Invero, eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono certamente rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge, ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi di sono occultate o che grazie a quei falsi sono state consentite. Tali condotte, dunque, devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.

29 Maggio 2023

Azione ex art. 146 l.f. e suo termine prescrizionale. Danno da ritardato fallimento

L’azione unitaria ex art. 146 l.f. cumula sia i profili propri dell’azione di responsabilità sociale che dell’azione dei creditori sociali.

L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ex art. 2394 c.c., esercitata dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l.f., è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti; pertanto, in ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data, anteriore, di insorgenza e percepibilità dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito.

Nel caso in cui non siano state addebitate, quale mala gestio, singole specifiche operazioni in tesi produttive di danno bensì tout court l’illecita prosecuzione di attività gestionale in situazione di chiara perdita di continuità aziendale e in cui era doverosa l’istanza di autofallimento, il danno generato dalla illecita prosecuzione della gestione sociale può essere ragionevolmente determinato secondo i parametri, frutto di elaborazione giurisprudenziale prima e del novellato art. 2486 c.c. poi (ancorché quest’ultimo articolo si riferisca specificamente alla prosecuzione di attività gestoria “non conservativa” dopo l’avverarsi della causa di scioglimento e non alla diversa mala gestio del “ritardato fallimento”), con il criterio dello “sbilancio fallimentare”, qualora manchino attendibili elementi per determinare il differenziale del patrimonio netto. Il criterio dello sbilancio fallimentare, essendo equitativo e meramente residuale, è suscettibile di opportuni correttivi quando in giudizio vi siano gli elementi per operare detta “correzione”.

26 Maggio 2023

Responsabilità dell’amministratore per mancata tenuta delle scritture contabili e mancato assolvimento degli adempimenti fiscali

La contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, non li determina; sicchè dalla irregolare tenuta non può discendere ex se un danno idoneo a dar luogo a responsabilità risarcitoria da parte dell’amministratore nei confronti della società.

La mancata presentazione ai competenti uffici dell’erario delle prescritte dichiarazioni fiscali, con conseguente esposizione debitoria della società nei confronti dell’erario per imposte evase, contributi, sanzioni ed interessi, costituisce un’inadempimento fonte di responsabilità in capo all’amministratore. Non giova all’amministratore dedurre di essersi affidato per tale adempimento ad un consulente esterno, non essendo l’amministratore esonerato dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati.

In caso di violazione degli obblighi specifici derivanti dall’atto costitutivo o dalla legge, la responsabilità degli amministratori di una società può essere esclusa solo nel caso, previsto dall’art. 1218 c.c., in cui l’inadempimento sia dipeso da causa non imputabile e che non poteva essere evitata né superata con la diligenza richiesta al debitore. Laddove gli amministratori adducono a propria discolpa la presenza di una crisi di liquidità, hanno l’onere di fornirne la prova, nonché di dimostrare di essersi adoperati per porvi rimedio, convocando l’assemblea per deliberare l’aumento del capitale sociale o, altrimenti, per proporre la liquidazione della società.

Poiché il debito risarcitorio ex art. 2393 c.c. ha natura di debito di valore – come tale sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria fino al momento della sua liquidazione – ancorché il danno consista nella perdita di una somma di denaro, costituendo questo, in siffatta particolare ipotesi, solo un elemento per la commisurazione dell’ammontare del danno, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo, al fallimento spetta anche (art. 1223 c.c.) il ristoro per il mancato godimento delle somme liquidate, da calcolare applicando sulla somma predetta, rivalutata annualmente (fino alla data della sentenza), gli interessi al tasso legale a decorrere dalla data del fallimento e fino alla pronuncia.

25 Maggio 2023

Azione di responsabilità da direzione e coordinamento esercitata dal curatore

In caso di fallimento di una società, la clausola compromissoria contenuta nello statuto della stessa non è applicabile all’azione di responsabilità proposta dal curatore ai sensi dell’art. 146 L.F.

L’art. 2497 c.c. è applicabile anche nelle ipotesi in cui il potere di etero-direzione competa ad un soggetto pubblico (enti locali compresi) purché diverso dallo Stato, e la relativa partecipazione in società (o anche la costituzione in una società in house) venga attuata non solo per scopi lucrativi, ma anche per la realizzazione di finalità istituzionali che richiedano lo svolgimento di attività economica o finanziaria da realizzare attraverso la società partecipata.

La mera titolarità, in capo ad un ente, di una posizione di controllo e di conseguenti poteri di direzione nei confronti di altra società non implica, di per sé, la responsabilità dello stesso per ogni scelta ed attività posta in essere dagli amministratori preposti alla gestione della società eterodiretta. Al contrario, la responsabilità ex art. 2497, comma 1, c.c. presuppone che il pregiudizio alla redditività ed al valore della partecipazione dei soci (di minoranza) della società eterodiretta, e/o la lesione dell’integrità del patrimonio sociale, con susseguente insufficienza dello stesso al soddisfacimento dei creditori sociali, sia portato e conseguenza di attività e scelte poste in essere in esecuzione di direttive ascrivibili alla cd. holding ed integranti esercizio abusivo ed illegittimo dell’attività di direzione e coordinamento, in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della società eterodiretta.

L’attività di direzione e coordinamento si distingue dall’amministrazione di fatto della società controllata: l’ente dirigente non agisce compiendo esso stesso atti di gestione della società eterodiretta rilevanti verso i terzi e/o spendendo il nome della stessa sì da generare un effetto di imputazione alla medesima eterodiretta dei suoi atti; l’ente dirigente, invece, influenza o determina le scelte operate dagli amministratori della società diretta, che si tradurranno in atti gestori rilevanti verso i terzi compiuti, in esecuzione delle direttive, dagli amministratori della stessa eterodiretta.