Art. 2446 c.c.
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Responsabilità dell’amministratore di srl per l’illecita prosecuzione dell’attività di impresa e quantificazione del danno risarcibile
Gli amministratori – così come disposto dall’art. 2486 co.1 c.c. – conservano un potere gestorio al fine di conservare l’integrità e il valore del patrimonio sociale e, con esso, la garanzia di soddisfazione dei creditori. Nel caso di illecita continuazione dell’attività di impresa dopo la perdita integrale del capitale sociale in violazione dell’art. 2446 c.c., qualora fosse accertata la responsabilità degli amministratori, il danno risarcibile – ai sensi dell’art. 2486 co.2 c.c. – deve identificarsi e quantificarsi tenendo conto delle specifiche violazioni degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
Riconoscere il risarcimento del danno sia per atti distrattivi sia per il danno dovuto a illegittima prosecuzione dell’impresa consisterebbe in una duplicazione dello stesso danno. Pertanto, il secondo degli illeciti gestori poc’anzi citato, per la sua struttura, è assorbente degli altri.
La mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore, non giustifica che il danno risarcibile sia automaticamente determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare. Il deficit risultante da tale differenza può derivare da molteplici cause anche non riconducibili alla condotta dell’amministratore. Il ricorso alla quantificazione del danno in via equitativa dev’esser eccezionalmente utilizzato solo ove ne sussistano le condizioni e sempre che il ricorso ad esso sia plausibile in ragione delle circostanze del caso concreto. Il curatore fallimentare che eserciti l’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. nei confronti dell’amministratore, al fine di ottenere un risarcimento del danno pari all’intero sbilancio registrato in sede fallimentare, deve dimostrare l’esistenza di un inadempimento almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore.
Responsabilità solidale degli amministratori per aggravamento del dissesto patrimoniale
Qualora una situazione di crisi societaria risulti (fin dagli esercizi precedenti al fallimento) così grave da poter essere qualificata come “grave crisi di liquidità” (cioè l’impossibilità della società di continuare ad operare proficuamente sul mercato, fronteggiando con mezzi ordinari le obbligazioni correnti), gli amministratori che siano consapevoli della situazione e che decidano di proseguire l’attività d’impresa in continuità – senza provvedere ad accedere tempestivamente agli strumenti di risoluzione della crisi o ad un’adeguata ricapitalizzazione – configurano una condotta negligente indirizzata all’aggravio del dissesto e sono dunque responsabili in solido ai sensi degli artt. 2392, 2393, 2394, 2476 e 2486 c.c.
Profili di responsabilità per i danni arrecati alla società fallita e al ceto creditorio e inoperabilità dell’eccezione di transazione ex art. 1304 c.c. tra condebitori solidali nella liquidazione del danno
La circostanza che una data operazione posta in essere dagli amministratori della società fallita abbia dato un esito economico negativo non è di per sé sufficiente a dimostrare la responsabilità degli amministratori, atteso che all’amministratore non può essere imputato di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, rientrando tale valutazione nella sfera della discrezionalità imprenditoriale e come tale irrilevante come fonte di responsabilità nei confronti della società. Tale caveat trova però il limite della “ragionevolezza” delle operazioni economiche poste in essere, da interpretarsi tanto in chiave ex ante, quanto con valenza prognostica relativamente alla valutazione preventiva dei margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere. Così, è da ritenersi assolutamente irragionevole e non giustificabile l’operazione di finanziamento realizzata con apporti in conto capitale posta in essere da società che versi in situazione di crisi a favore di altra società già in stato di liquidazione.
Nessuna responsabilità si ravvisa, invece, in capo ai sindaci per non aver esercitato nessuna delle prerogative loro rimesse dall’art. 2403-bis c.c., laddove: (i) l’operazione di finanziamento – pur essendo correttamente registrata a bilancio – non risulti dai verbali del Consiglio di Amministrazione; (ii) l’importo del finanziamento abbia uno scarso impatto sui bilanci della società; (iii) non sia provato il nesso causale tra la presunta inerzia dei sindaci rispetto all’operazione di finanziamento e il danno subito.
Quanto alla liquidazione del danno, qualora fossero stati riconosciuti responsabili, i sindaci convenuti in carica all’epoca dei fatti non avrebbero potuto profittare della transazione conclusa tra i membri dell’ultimo collegio sindacale in carica e la società fallita, nel caso in cui la transazione non avesse avuto ad oggetto l’intera obbligazione solidale ma solo la quota dei sindaci transanti, dovendosi comunque ritenere sciolto il vincolo di solidarietà tra i sindaci che hanno transatto e gli altri sindaci e amministratori in astratto chiamati a rispondere solidalmente dei danni. Dell’importo transatto, poi, dovrà tenersi conto in detrazione con imputazione alla quota di responsabilità attribuibile ai sindaci parte della transazione nella liquidazione del danno di cui eventualmente saranno tenuti a rispondere gli amministratori (e gli altri sindaci convenuti). In ogni caso, se il danno accertato oltrepassa il limite della domanda proposta dal fallimento e l’eccedenza è superiore alle somme già percepite dal fallimento stesso in esito alle transazioni pro quota concluse con i sindaci, il debito residuo a carico degli altri obbligati dovrà essere ridotto non già per un ammontare pari a quanto pagato con le transazioni, bensì in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto.
Diritti disponibili e diritti indisponibili ai fini della devoluzione della controversia ad arbitri
Al fine di verificare la devolvibilità ad arbitri di una controversia relativa ad una delle materie indicate dall’art. 34 D.Lgs. n. 5/2003 è necessario verificare se la controversia stessa verta su diritti disponibili o indisponibili. [ LEGGI TUTTO ]
Finanziamento soci, pagamento del compenso dell’amministratore, distribuzione utili e patrimonio netto negativo: azione del curatore fallimentare
Il finanziamento, disposto da una società a responsabilità limitata in favore dei due soci al 50% (uno dei quali amministratore unico), che abbia impedito alla società stessa di disporre della somma di denaro e l’abbia costretta a subire danni consistenti in interessi e sanzioni per debiti contratti nel periodo del finanziamento, può essere presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità del curatore fallimentare ex art. 146 l.f. nei confronti dei due soci. Questo in quanto è illegittima l’operazione di finanziamento dei soci al di fuori dei limiti di distribuzione degli utili e tale operazione risulta direttamente e causalmente connessa alla produzione del danno rappresentato dalla maturazione di interessi e sanzioni altrimenti evitabili.
Il curatore fallimentare è legittimato a chiedere il risarcimento del danno derivante dal pagamento preferenziale del credito (chirografario) relativo al compenso dell’amministratore, ma deve allegare e provare che i creditori privilegiati siano rimasti insoddisfatti all’esito della liquidazione fallimentare ovvero che sia stata effettivamente e concretamente violata la par condicio creditorum. Non è infatti sufficiente la semplice deduzione di un pagamento preferenziale in favore di un creditore chirografario in danno dei creditori privilegiati.
La distribuzione di utili ai soci in un momento in cui il patrimonio netto di una società è diventato negativo è addebitabile, oltre che all’amministratore, anche ai soci non amministratori nell’ipotesi in cui, in base alle circostanze di fatto, essi potessero ragionevolmente conoscere lo stato di decozione dell’impresa.
Nullità della delibera assembleare per violazione del diritto di informazione dei soci e requisiti di validità della delibera di rinuncia preventiva all’azione di responsabilità
Il diritto di informazione è strumentale al corretto esercizio del diritto di voto. La sua violazione comporta la nullità della delibera di approvazione del bilancio tenuto conto che in tal modo non viene consentito ai soci di desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole che siano fornite in relazione a ciascuna posta di bilancio. In particolare il diritto di informazione è in rapporto di strumentalità con il principio di chiarezza, e ciò comporta per gli amministratori il dovere di soddisfare l’interesse del socio ad una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio.
In mancanza della relazione degli amministratori sulla situazione della società di cui agli art. 2446 e 2447 da depositare con le osservazioni del collegio sindacale, la delibera assembleare è nulla per totale difetto di informazione dei soci.
Affinchè la rinuncia preventiva all’azione di responsabilità verso gli amministratori della società sia espressa validamente dai soci, occorre che in sede di delibera vengano specificamente indicati i fatti gestionali imputati agli amministratori e che, esclusivamente in ragione di essi, i soci deliberino di rinunciare alla conseguente azione in modo consapevole. Una generica rinuncia a qualsiasi titolo e per qualsiasi causa sarebbe, dunque, inammissibile.
Sull’onere probatorio nell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare
Nell’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall., esercitata dal curatore nei confronti di amministratori e sindaci di S.p.A. fallita, l’inadempimento si presume colposo: se l’allegazione della violazione degli obblighi (che, nel caso della fattispecie dell’azione sociale riguarda doveri imposti dalla legge, dallo statuto o obblighi generali di vigilanza e intervento, mentre, nel caso dell’azione spettante ai creditori sociali, riguarda comportamenti lesivi dell’integrità patrimoniale) grava sul curatore, la prova della mancanza del nesso di causalità tra tali comportamenti e il fatto dannoso, e quindi la prova positiva dell’osservanza di tali doveri, grava sugli amministratori. In questo contesto, il nesso di causalità non è solo presupposto necessario e sufficiente per affermare la responsabilità risarcitoria, ma anche parametro per l’entità del risarcimento. In particolare, gli obblighi che riguardano la riduzione del capitale per perdite al disotto del minimo legale – prevista come causa di scioglimento, la quale conferisce agli amministratori il potere di gestire la società ai fini della liquidazione – implicano responsabilità non solo per mancanza di accertamento della menzionata causa ma anche per il suo non tempestivo riconoscimento: chi agisce ex art. 2486 c.c. deve dunque fornire evidenza della prosecuzione dell’attività imprenditoriale, dell’avvenuta perdita di capitale e gli atti negoziali posti in essere successivamente – e nonostante – la conoscenza della predetta causa di scioglimento; spetta invece agli amministratori provare che la protrazione dell’attività è dovuta a finalità liquidatorie, connesse all’ordinaria attività di impresa e non comportanti nuovi rischi.
Difetto di rappresentanza degli amministratori nella stipulazione di accordi diretti a simulare i conferimenti
In tema di aumento di capitale deliberato dall’assemblea di una società capitalistica, non è configurabile la simulazione del conferimento in forza di un accordo simulatorio concluso tra il conferente e l’amministratore della società, che, anche qualora sia delegato al compimento delle operazioni necessarie all’esecuzione della deliberazione, non avendo poteri legali di rappresentanza della società medesima negli atti di gestione attinenti all’organizzazione della società, non è legittimato a rappresentarla nella stipulazione di accordi diretti a simulare i conferimenti (Cass. 17467/2013).
Azione di responsabilità contro amministratori e sindaci promossa da una procedura concorsuale: questioni preliminari e di merito
Il giudizio di accertamento di una condotta gestoria non corretta da parte degli amministratori di una società e di una violazione dei doveri di controllo spettanti ai sindaci non dà luogo ad una fattispecie di vero e proprio litisconsorzio necessario sostanziale, ma sussiste un rapporto di “dipendenza” [ LEGGI TUTTO ]