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Art. 2446 c.c.
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Concessione abusiva di credito e responsabilità degli amministratori

La concessione abusiva di credito è una fattispecie plurioffensiva, in quanto può determinare: (i) un danno al patrimonio dell’impresa finanziata per le perdite maturate nel periodo in cui la dichiarazione d’insolvenza è stata dilazionata; (ii) un danno ai creditori sociali per il minor incasso conseguito; (iii) una sanzione penale per gli amministratori della società fallita e gli eventuali concorrenti. In apparenza il comportamento della banca è contrario ai suoi stessi interessi, posto che il cliente in difficoltà difficilmente restituisce il denaro prestato; pertanto, è la banca stessa ad aver interesse a valutare con prudenza se concedere o meno il prestito. Il fatto di procrastinare l’apertura di una procedura concorsuale può, però, derivare da una scelta consapevole dell’istituto di credito, che spera così di recuperare i propri crediti in violazione della par condicio, o di porre al riparo da azioni revocatorie i pregressi rientri e la costituzione di diritti di prelazione. Il finanziamento potrebbe essere concesso al solo fine di ottenere il consolidamento di garanzie altrimenti revocabili in caso di tempestiva declaratoria d’insolvenza o, più genericamente per munire di garanzia un precedente credito chirografario con l’ulteriore conseguenza che il mutuo fondiario potrebbe essere accordato in modo distorto solo per ripianare debiti preesistenti. Invero, la concessione abusiva di credito ha confini labili, in quanto è anche vero che la banca potrebbe incorrere in responsabilità per brutale interruzione dell’erogazione del credito, in violazione del dovere di buona fede negoziale, rischiando così di essere attaccata su entrambi i fronti.

In tema di concessione abusiva del credito, in relazione alla condotta tenuta dall’istituto di credito occorre distinguere le situazioni in cui quest’ultimo concede fisiologicamente sostegno alle imprese in difficoltà, in vista di un potenziale risanamento, da quelle in cui il sostegno è fornito a imprese ormai insolventi, allo scopo di ottenere vantaggi a scapito degli altri creditori; è necessario provare che l’istituto di credito sapeva o poteva sapere (secondo la diligenza professionale) che il sovvenuto versava in uno stato di dissesto.

L’erogazione del credito qualificabile come abusiva, poiché effettuata a impresa senza concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del finanziatore, per essere venuto meno ai suoi doveri di prudente gestione, con conseguente obbligo di risarcimento del danno, ove ne discenda l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività.

La curatela è legittimata ad agire contro la banca responsabile di aver danneggiato il patrimonio della società fallita, in concorso con i suoi amministratori, avendo erogato credito in condizioni di accertata perdita del capitale sociale e in carenza di adeguata valutazione del merito creditizio e, a tal proposito, il curatore può allegare sia il danno diretto subìto dall’impresa a causa del finanziamento, sia il pregiudizio sofferto dall’intero ceto creditorio, senza la necessità che l’azione venga promossa congiuntamente contro l’istituto di credito e (se l’impresa era una società) gli amministratori.

Sussiste una responsabilità concorrente della banca, ai sensi dell’art. 2055 c.c., nella mala gestio degli amministratori per aver provocato l’aggravamento del dissesto per richiesta e concessione abusiva di credito (volta a soddisfare un interesse della banca a danno degli altri creditori), mentre non integra una ipotesi di responsabilità concorrente la concessione abusiva del credito in sé, causata da una inadeguata valutazione del rischio creditizio.

Al fine di stabilire se la perdita dell’esercizio abbia eroso il capitale sociale, riducendolo al di sotto di un terzo (con le conseguenze di cui all’art. 2446 c.c.), è necessario considerare la perdita eccedente le riserve esistenti in bilancio. Nello svolgere tale analisi, è necessario tener conto della c.d. gerarchia delle riserve: dapprima si ricorre alle riserve maggiormente disponibili sino ad arrivare alle riserve meno disponibili: 1) riserve facoltative e straordinarie; 2) riserve statutarie; 3) riserva da rivalutazione; 4) versamento in conto capitale da parte dei soci; 5) riserva legale; 6) capitale sociale.

3 Maggio 2023

Responsabilità degli amministratori per atti distrattivi e mancato accertamento della perdita di capitale

In relazione agli atti distrattivi dell’organo gestorio, la natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore consente alla società (o al curatore, in caso di sopravvenuto fallimento di quest’ultima) che agisce per il risarcimento del danno di allegare l’inadempimento dell’organo gestorio, restando a carico dell’amministratore convenuto di dimostrare l’utilizzazione delle somme nell’esercizio dell’attività d’impresa.

In relazione alla domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla violazione degli obblighi gestori in materia di perdita di capitale, adempimenti sociali, contabili, fiscali e contributivi, le irregolarità, ancorché provate o pacifiche, non sono di per sé sufficienti per affermare la responsabilità del convenuto laddove non sia fornita la prova sia del danno cagionato al patrimonio sociale da siffatte condotte, sia del nesso causale tra l’inadempimento e l’evento dannoso.

23 Febbraio 2023

Invalidità delle delibere di approvazione del bilancio e di ricapitalizzazione ai sensi dell’art. 2482 ter c.c.

All’assemblea convocata per la riduzione del capitale a fronte di perdite superiori ad un terzo devono essere sottoposti tre documenti: la situazione patrimoniale aggiornata, la relazione dell’organo amministrativo e le osservazioni del collegio sindacale. La situazione patrimoniale dev’essere redatta secondo i medesimi criteri che presiedono alla redazione del bilancio di esercizio.

L’interesse all’impugnazione della delibera da cui deriva la perdita dello status di socio

L’interesse di un socio ad impugnare una delibera assembleare, asseritamente illegittima, dalla cui esecuzione deriva, quale conseguenza, la cessazione della qualità di socio, risiede proprio nella pretesa al mantenimento di tale qualità. Di conseguenza, l’ex socio non è carente di interesse ad impugnare per aver perso tale status in conseguenza dell’esecuzione della delibera, ma la stessa perdita della qualità di socio costituisce il motivo di interesse. Infatti, l’azione di annullamento delle delibere di una società per azioni, disciplinata dall’art. 2377 c.c., presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell’attore non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione della controversia, tranne nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta.

Le clausole statutarie che prevedono un quorum rafforzato per la deliberazione di un aumento di capitale non sono applicabili al caso del conferimento aggiuntivo richiesto al socio in caso di perdita totale del capitale sociale o sua riduzione al di sotto del minimo legale e successiva ricostituzione ex art. 2482-ter c.c., in quanto, in questo caso, la delibera non costituisce una libera scelta imprenditoriale, bensì l’unica alternativa per evitare lo scioglimento della società.

27 Maggio 2021

Responsabilità dell’amministratore di srl per l’illecita prosecuzione dell’attività di impresa e quantificazione del danno risarcibile

Gli amministratori così come disposto dall’art. 2486 co.1 c.c. –  conservano un potere gestorio al fine di conservare l’integrità e il valore del patrimonio sociale e, con esso, la garanzia di soddisfazione dei creditori. Nel caso di illecita continuazione dell’attività di impresa dopo la perdita integrale del capitale sociale in violazione dell’art. 2446 c.c., qualora fosse accertata la responsabilità degli amministratori, il danno risarcibile – ai sensi dell’art. 2486 co.2 c.c. – deve identificarsi e quantificarsi tenendo conto delle specifiche violazioni degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.

Riconoscere il risarcimento del danno sia per atti distrattivi sia per il danno dovuto a illegittima prosecuzione dell’impresa consisterebbe in una duplicazione dello stesso danno. Pertanto, il secondo degli illeciti gestori poc’anzi citato, per la sua struttura, è assorbente degli altri.

La mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore, non giustifica che il danno risarcibile sia automaticamente determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare. Il deficit risultante da tale differenza può derivare da molteplici cause anche non riconducibili alla condotta dell’amministratore. Il ricorso alla quantificazione del danno in via equitativa dev’esser eccezionalmente utilizzato solo ove ne sussistano le condizioni e sempre che il ricorso ad esso sia plausibile in ragione delle circostanze del caso concreto. Il curatore fallimentare che eserciti l’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. nei confronti dell’amministratore, al fine di ottenere un risarcimento del danno pari all’intero sbilancio registrato in sede fallimentare, deve dimostrare l’esistenza di un inadempimento almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore.

 

 

24 Aprile 2021

Responsabilità solidale degli amministratori per aggravamento del dissesto patrimoniale

Qualora una situazione di crisi societaria risulti (fin dagli esercizi precedenti al fallimento) così grave da poter essere qualificata come “grave crisi di liquidità” (cioè l’impossibilità della società di continuare ad operare proficuamente sul mercato, fronteggiando con mezzi ordinari le obbligazioni correnti), gli amministratori che siano consapevoli della situazione e che decidano di proseguire l’attività d’impresa in continuità – senza provvedere ad accedere tempestivamente agli strumenti di risoluzione della crisi o ad un’adeguata ricapitalizzazione – configurano una condotta negligente indirizzata all’aggravio del dissesto e sono dunque responsabili in solido ai sensi degli artt. 2392, 2393, 2394, 2476 e 2486 c.c.

24 Aprile 2020

Profili di responsabilità per i danni arrecati alla società fallita e al ceto creditorio e inoperabilità dell’eccezione di transazione ex art. 1304 c.c. tra condebitori solidali nella liquidazione del danno

La circostanza che una data operazione posta in essere dagli amministratori della società fallita abbia dato un esito economico negativo non è di per sé sufficiente a dimostrare la responsabilità degli amministratori, atteso che all’amministratore non può essere imputato di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, rientrando tale valutazione nella sfera della discrezionalità imprenditoriale e come tale irrilevante come fonte di responsabilità nei confronti della società. Tale caveat trova però il limite della “ragionevolezza” delle operazioni economiche poste in essere, da interpretarsi tanto in chiave ex ante, quanto con valenza prognostica relativamente alla valutazione preventiva dei margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere. Così, è da ritenersi assolutamente irragionevole e non giustificabile l’operazione di finanziamento realizzata con apporti in conto capitale posta in essere da società che versi in situazione di crisi a favore di altra società già in stato di liquidazione.

Nessuna responsabilità si ravvisa, invece, in capo ai sindaci per non aver esercitato nessuna delle prerogative loro rimesse dall’art. 2403-bis c.c., laddove: (i) l’operazione di finanziamento – pur essendo correttamente registrata a bilancio – non risulti dai verbali del Consiglio di Amministrazione; (ii) l’importo del finanziamento abbia uno scarso impatto sui bilanci della società; (iii) non sia provato il nesso causale tra la presunta inerzia dei sindaci rispetto all’operazione di finanziamento e il danno subito.

Quanto alla liquidazione del danno, qualora fossero stati riconosciuti responsabili, i sindaci convenuti in carica all’epoca dei fatti non avrebbero potuto profittare della transazione conclusa tra i membri dell’ultimo collegio sindacale in carica e la società fallita, nel caso in cui la transazione non avesse avuto ad oggetto l’intera obbligazione solidale ma solo la quota dei sindaci transanti, dovendosi comunque ritenere sciolto il vincolo di solidarietà tra i sindaci che hanno transatto e gli altri sindaci e amministratori in astratto chiamati a rispondere solidalmente dei danni. Dell’importo transatto, poi, dovrà tenersi conto in detrazione con imputazione alla quota di responsabilità attribuibile ai sindaci parte della transazione nella liquidazione del danno di cui eventualmente saranno tenuti a rispondere gli amministratori (e gli altri sindaci convenuti). In ogni caso, se il danno accertato oltrepassa il limite della domanda proposta dal fallimento e l’eccedenza è superiore alle somme già percepite dal fallimento stesso in esito alle transazioni pro quota concluse con i sindaci, il debito residuo a carico degli altri obbligati dovrà essere ridotto non già per un ammontare pari a quanto pagato con le transazioni, bensì in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto.

19 Ottobre 2019

Finanziamento soci, pagamento del compenso dell’amministratore, distribuzione utili e patrimonio netto negativo: azione del curatore fallimentare

Il finanziamento, disposto da una società a responsabilità limitata in favore dei due soci al 50% (uno dei quali amministratore unico), che abbia impedito alla società stessa di disporre della somma di denaro e l’abbia costretta a subire danni consistenti in interessi e sanzioni per debiti contratti nel periodo del finanziamento, può essere presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità del curatore fallimentare ex art. 146 l.f. nei confronti dei due soci. Questo in quanto è illegittima l’operazione di finanziamento dei soci al di fuori dei limiti di distribuzione degli utili e tale operazione risulta direttamente e causalmente connessa alla produzione del danno rappresentato dalla maturazione di interessi e sanzioni altrimenti evitabili.

Il curatore fallimentare è legittimato a chiedere il risarcimento del danno derivante dal pagamento preferenziale del credito (chirografario) relativo al compenso dell’amministratore, ma deve allegare e provare che i creditori privilegiati siano rimasti insoddisfatti all’esito della liquidazione fallimentare ovvero che sia stata effettivamente e concretamente violata la par condicio creditorum.  Non è infatti sufficiente la semplice deduzione di un pagamento preferenziale in favore di un creditore chirografario in danno dei creditori privilegiati.

La distribuzione di utili ai soci in un momento in cui il patrimonio netto di una società è diventato negativo è addebitabile, oltre che all’amministratore, anche ai soci non amministratori nell’ipotesi in cui, in base alle circostanze di fatto, essi potessero ragionevolmente conoscere lo stato di decozione dell’impresa.