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Matteo Santellani

Matteo Santellani

Avvocato - Associate

Avvocato iscritto all'Albo degli Avvocati di Verona, svolgo la mia attività professionale tra Verona e Milano presso lo studio associato Unistudio Legal&Tax. Mi occupo di diritto societario e commerciale, anche con riferimento alla consulenza day-by-day e alla contrattualistica commerciale (anche internazionale), operazioni straordinarie, M&A e private equity, nonchè diritto fallimentare e restructuring (ivi incluso il restructuring M&A).

Esclusione del socio di società cooperativa per grave inadempimento

In tema di società cooperativa, le cause di origine convenzionale di esclusione di un socio devono essere indicate nello statuto in modo tassativo e non generico, al fine di evitare un’eccessiva discrezionalità dell’organo amministrativo e, pertanto, quando un’ipotesi di esclusione fa riferimento alla gravità dell’inadempimento è necessario che sia indicato chiaramente sia la prestazione richiesta, sia la gravità dell’inadempimento stesso. [ Continua ]
9 Gennaio 2024

Dichiarazione di nullità dell’atto costitutivo e sorte delle obbligazioni dei soci verso la società

La dichiarazione di nullità dell’atto costitutivo non comporta automaticamente il venir meno degli obblighi assunti dai soci nei confronti della società, ma - al contrario - qualora tali obbligazioni, siano esse principali o accessorie, non siano connesse alla prosecuzione dell’attività sociale, ma siano relative a obbligazioni dei soci verso la società, restano ferme ex art. 2332, co. 2, c.c. (che pure parla di “conferimenti”) in quanto derivanti dal contratto di società.

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23 Agosto 2023

Onere della prova in tema di azione per la dichiarazione di nullità di una delibera assembleare di s.r.l.

La nullità delle delibere assembleari delle s.r.l. per «assenza assoluta di informazione», previsto dall’art. 2479 ter, 3° co., c.c., in analogia all’art. 2379 c.c. per le decisioni dei soci di s.p.a., ha il fine di tutelare il diritto inderogabile di partecipazione di ciascun socio alle decisioni della comune società, e si rivolge sia ai casi in cui i soci non abbiano ricevuto l’avviso di convocazione, sia ai casi nei quali, pur essendo stato ricevuto, non sia idoneo a consentirgli di essere preventivamente avvertiti della convocazione o della data dell’assemblea. Qualora un soggetto agisca per la dichiarazione di nullità della delibera assembleare ha l’onere – da un lato – di identificare con chiarezza la deliberazione oggetto dell’eventuale pronuncia di invalidità e – dall’altro lato – di produrre, al fine di provare il vizio lamentato, o l’avviso di convocazione, o il verbale di assemblea comprovante la propria assenza o la formulazione di richiesta di rinvio. [ Continua ]
4 Ottobre 2023

Nullità parziale della fideiussione omnibus conforme allo schema ABI

I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a), della l. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. La formulazione di una eccezione riconvenzionale in una materia devolta alla competenza delle sezioni specializzate in materia di imprese non comporta la separazione delle cause e lo spostamento della competenza. Specularmente, essendo la competenza sull’opposizione a decreto ingiuntivo una competenza funzionale inderogabile ed immodificabile, anche per ragioni di connessione, del giudice che ha emesso il decreto, ne deriva che questi, in caso sia proposta domanda riconvenzionale di competenza delle sezioni specializzate delle imprese di altro tribunale, è tenuto a separare le due cause, rimettendo quella relativa a quest’ultima domanda dinanzi al tribunale competente. [ Continua ]
10 Gennaio 2024

Il dies a quo della prescrizione della responsabilità dell’amministratore è quello delle dimissioni e non dell’iscrizione della delibera di sostituzione

L’iscrizione nel registro delle imprese della delibera con cui l'assemblea ha accettato le dimissioni dell'amministratore e nominato un nuovo organo amministrativo non ha efficacia costitutiva, ma solo dichiarativa. Pertanto, il dies a quo per il calcolo del termine di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità nei confronti del primo amministratore deve essere identificato nella data dell'assemblea e non dell'iscrizione della relativa delibera. L’amministratore di una società con l’accettazione della carica acquisisce il diritto ad essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell'incarico affidatogli. Con riferimento poi alla determinazione della misura del compenso, la norma di cui all’art. 2389, co. 1, c.c. prevede che qualora essa non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio. Laddove, invece, manchi una disposizione dell’atto costitutivo e l’assemblea si rifiuti od ometta di stabilirlo o lo determini in misura inadeguata, l’amministratore è abilitato a richiederne al giudice la determinazione, anche in via equitativa. La determinazione giudiziaria del giusto compenso dell’amministratore di società di capitali, ove non pattuito dalle parti deve essere condotta alla stregua del criterio di equità, secondo la regola della proporzione con l’entità della prestazione in concreto svolta e con il risultato fatto conseguire alla società, potendo rilevare, al riguardo, una pluralità di elementi, quali l’impegno profuso dall’amministratore nell’attività prestata, la situazione economica della società, gli utili e i vantaggi conseguiti, la misura dei compensi come corrisposti nei precedenti esercizi, il compenso corrente nel mercato per analoghe prestazioni, in relazione a società di simili dimensioni e così via. In tema di assemblea dei soci per la promozione dell’azione di responsabilità, non rileva la mancata sottoscrizione di tale verbale da parte del presidente e dal segretario, atteso che trattasi di vizi meramente formali e tali da non inficiarne in ogni caso la validità, soprattutto qualora l’assemblea si svolga in modalità totalitaria e qualora non vi siano state impugnazioni di tale delibera. [ Continua ]
14 Maggio 2023

La responsabilità del socio unico di s.r.l. ex art. 2462 c.c.

L’art. 2462 c.c. prevede la responsabilità illimitata del socio unico, in caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte dal momento in cui l’intera partecipazione gli è appartenuta e sino a che non sia stato pubblicizzato nel registro delle imprese la dichiarazione attestante la presenza di un unico socio. Secondo la regola generale, il trasferimento delle partecipazioni produce effetti nei confronti della società dal momento del deposito presso l’ufficio del Registro delle Imprese ai sensi dell’art. 2470, co. 1, c.c. Quando a seguito del trasferimento delle partecipazioni la società diventa unipersonale, tale adempimento non è più sufficiente, richiedendo la norma al comma 4 il deposito di una dichiarazione contenente l’indicazione del cognome, nome, denominazione, data e luogo di nascita o Stato di costituzione, domicilio o sede e cittadinanza dell’unico socio. Un nuovo deposito della dichiarazione sarà necessario ove si costituisca o si ricostituisca la pluralità dei soci secondo il comma 5. Al deposito della dichiarazione è tenuto l’organo amministrativo delle società, ma la norma prevede al comma 6 anche la possibilità che vi provveda direttamente il socio che diventi o cessi di essere unico titolare delle partecipazioni sociali, in ragione delle conseguenze che derivano dal mancato adempimento. La previsione della responsabilità illimitata dell’unico socio si pone quale sanzione derivante dal mancato rispetto di regole poste a tutela dei terzi per i casi di partecipazione di un socio unico alla società; pertanto, il socio unipersonale deve essere ritenuto responsabile illimitatamente al ricorrere di una soltanto delle condizioni previste dalla norma. Qualora il medesimo soggetto sia socio unico ed amministratore di una società, non potendosi evidentemente determinare una duplicazione del medesimo danno, tale danno andrà imputato al soggetto in base ai differenti titoli (responsabilità derivante dall’accoglimento di un’azione di responsabilità come amministratore e responsabilità patrimoniale illimitata per le obbligazioni sociali, come socio unico). I doveri di amministratori e liquidatori possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione. Nei casi di azione di responsabilità ex art. 146 l. fall. intentata dal curatore nei confronti degli ex amministratori di una società fallita viene esercitata cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità che sarebbe stata esperibile dalla medesima società, se ancora in bonis, nei confronti dei propri amministratori ai sensi dell’art. 2393 c.c., sia l’azione che, ai sensi del successivo art. 2394 c.c., sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza del patrimonio della società debitrice. In merito all’ammontare del danno, il nuovo terzo comma dell’art. 2486 c.c. ha introdotto una presunzione semplice con riferimento alla quantificazione del danno secondo il criterio dei netti patrimoniali ed una presunzione iuris et de iure in favore della procedura concorsuale con riguardo all’adozione del criterio residuale della differenza tra attivo e passivo, quando non sia possibile determinare i netti patrimoniali per la mancanza o irregolarità delle scritture contabili. [ Continua ]
25 Marzo 2024

La responsabilità del socio di s.n.c. receduto per le obbligazioni sociali in caso di successivo fallimento della società

La responsabilità solidale e illimitata del socio di s.n.c. per le obbligazioni sociali è posta a tutela dei creditori della società e non di quest'ultima, sicché solo i creditori possono agire nei confronti dei soci per il pagamento dei debiti sociali e non anche la società. Nella liquidazione di una società in bonis, se i fondi per il pagamento dei debiti sociali sono insufficienti, il liquidatore può richiedere ai soci, oltre ai conferimenti ancora ineseguiti, le somme necessarie, nei limiti della rispettiva responsabilità e in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite. La norma non si applica alla società fallita, nel senso che la contribuzione del socio illimitatamente responsabile si sostanzia nella sottoposizione del socio stesso a fallimento, ai sensi e nei limiti degli artt. 10 e 147 l.fall., mentre il socio cessato da oltre un anno, e quindi non assoggettabile a fallimento, non è nemmeno soggetto all’applicazione dell’art. 2280, co. 2, c.c., proprio perché ormai estraneo al rapporto sociale. Il curatore non ha un generale potere-dovere di sostituirsi ai creditori del fallito nell'esercizio di azioni corrispondenti a diritti di cui essi siano titolari, quando non si tratti di azioni volte alla ricostruzione del patrimonio del fallito o quando una siffatta legittimazione non sia stata espressamente prevista dal legislatore, come ad esempio accade nel caso dell'azione di responsabilità spettante ai creditori sociali contro gli amministratori della società fallita, che gli artt. 2394 e 2394 bis c.c. esplicitamente legittimano il curatore ad esperire. Con riguardo alle azioni volte alla ricostruzione del patrimonio del fallito (le cc.dd. azioni di massa), i dati qualificanti consistono nella reintegrazione della garanzia generica del credito e nel carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo. Al contrario, quando una pretesa richiede l'accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo ad uno o più creditori o, pur interessando una platea più o meno estesa, ma non la generalità del ceto creditorio, necessita pur sempre dell'esame di specifici rapporti e del loro svolgimento, l’azione non può qualificarsi di massa e non compete la legittimazione del curatore in sostituzione dei singoli creditori. La sostituzione nella legitimatio ad causam del curatore al singolo creditore non esiste in assenza, da una parte, di una norma espressa di legge e, dall’altra, di un’azione di massa, che benefici indistintamente il ceto creditorio nel suo insieme, come un’azione revocatoria o di simulazione. Nessuna disposizione toglie al creditore sociale la facoltà di agire nei confronti del socio non fallito di s.n.c., poiché l’onere di sottoporsi all’accertamento del passivo (art. 52 l.fall.) e il divieto di azioni esecutive individuali (art. 51 l.fall.) riguarda le sole pretese nei confronti del fallito e i beni compresi nel fallimento. Il risultato utile dell’azione non può andare indistintamente a beneficio della massa creditoria, visto che il curatore, per essere coerente con la sua tesi, dovrebbe formare una massa attiva separata, destinandone il ricavato ai soli creditori di cui l’ex socio deve rispondere ex art. 2290 c.c. Tuttavia, la legge fallimentare ammette bensì masse separate ai fini del riparto, ma solo in quanto esistano prelazioni speciali (ipoteca, pegno ecc.), o in quanto, specificamente nella società con soci illimitatamente responsabili, il socio sia personalmente fallito. Se invece il curatore destina il risultato dell’azione indistintamente a beneficio della generalità dei creditori e quindi riversa le somme incassate dall’ex socio non fallito nel conto della massa attiva sociale, aggrava la posizione dell’ex socio, visto che le somme versate andrebbero a pagare spese prededucibili (innanzitutto, i compensi del curatore e dei suoi ausiliari) e i crediti concorsuali secondo la rispettiva graduazione e non necessariamente quelli di cui il non fallito deve rispondere, lasciandolo esposto medio tempore e dopo la chiusura della procedura a pagare una seconda volta a mani del creditore. [ Continua ]
21 Marzo 2024

Divisibilità delle quote di s.r.l. e non ammissibilità dell’istanza di riduzione del sequestro conservativo su quota

La divisibilità della quota di s.r.l., ancorché non automatica in caso di successione ereditaria, appare naturale e deriva dai principi generali, salvo diversa previsione statutaria, sicché la mancata riproduzione di una regola come quella di cui al previgente art. 2482 c.c. non pare fondare il venir meno della regola della divisibilità, ma piuttosto ad affermare la superfluità di una previsione ad hoc. Infatti, il legislatore della riforma ha rimosso uno degli ostacoli pratici alla divisibilità, non essendo più previsto che le quote di s.r.l. debbano essere di ammontare di un euro o multiple di esso. Inoltre, la regola della naturale divisibilità della quota risponde alle esigenze della realtà economica, poiché l’indivisibilità comporterebbe, senza spiegazione ragionevole, il divieto di vendita frazionata della partecipazione. Infine, esistono precisi indici normativi in tal senso, ravvisabili: nelle disposizioni degli artt. 2466 e 2473 c.c., poiché in entrambi i casi l’ordinamento considera la quota perfettamente divisibile e ne prevede l’attribuzione agli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni; nella regola ex art. 2352 c.c. in tema di s.p.a., richiamata per le s.r.l. dall’art. 2471 bis c.c., in forza della quale nel caso di aumento del capitale a titolo oneroso in presenza di quote gravate da sequestro, il vincolo non si estende alle quote di nuova emissione; in tal caso la partecipazione di cui è titolare il debitore (o destinatario del sequestro) può, una volta conclusa l’operazione di aumento, esser solo parzialmente gravata dal vincolo dopo l’esecuzione dell’operazione di aumento; si realizzerebbe così una sorta di divisione legale della quota, in cui una partecipazione unitaria risulta per una parte soggetta al vincolo mentre l’altra, coincidente con la porzione accresciuta a seguito dell’aumento a pagamento, ne rimarrebbe libera. La regola della divisibilità della quota non può essere, tuttavia, generalizzata. Nella disciplina del sequestro, dove la titolarità della quota resta invariata, il dato normativo più chiaro e pertinente è quello offerto dall’art. 2468 c.c., che prevede, per il caso di concorrenza di diritti sulla quota, non la pura e semplice divisione proporzionale del voto e degli altri diritti amministrativi, ma la nomina di un rappresentante comune della comunione (cfr. artt. 1105 e 1106 c.c. e l’analoga previsione in tema di azioni all’art. 2347 c.c.) e quindi anche, implicitamente, l’indivisibilità dell’esercizio dei diritti. Ridurre a una frazione della quota la partecipazione sotto sequestro avrebbe la portata pratica di far coesistere due concorrenti poteri sulla stessa quota – quello del debitore e quello del custode – depotenziando e al limite vanificando la portata pratica del sequestro. Gli artt. 2352 e 2471 bis c.c. in caso di sequestro attribuiscono il diritto di voto e gli altri diritti amministrativi al custode, la cui nomina appare, pertanto, necessaria quando il sequestro cade su azioni o quote di s.r.l. Da tale principio non v’è ragione di discostarsi solo perché il sequestro conservativo di quote di s.r.l. si esegue, nelle forme previste per il pignoramento (cfr. art. 2471 c.c.), mediante iscrizione a registro delle imprese, che assicura l’indisponibilità giuridica della quota, visto che l’esercizio da parte del socio (o l’omesso esercizio) dei diritti amministrativi inerenti alla quota può indirettamente pregiudicare valore e redditività della partecipazione sotto sequestro, svuotandola di contenuto. [ Continua ]
21 Aprile 2023

Responsabilità dell’amministratore per danno diretto e responsabilità solidale del socio di s.r.l.

La norma di cui all’art. 2476, co. 7, c.c., nel prevedere il diritto al risarcimento dei danni spettante ai singoli soci che si assumano direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori, regola, al pari di quella di cui all’art. 2395 c.c., una specie della fattispecie generale di responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 2043 c.c. e dell’obbligo ivi fatto al danneggiante di risarcire i danni causati contra ius a terzi con atti e fatti non iure dati. Ciò in quanto mentre il rapporto che si forma tra la società di capitali e l’amministratore ha la sua fonte in un atto di nomina e di accettazione che instaura tra le parti un vero e proprio contratto avente ad oggetto la diligente gestione – secondo statuto e legge – della società, tale per cui il dovere dell’organo amministrativo di conservare e investire al meglio il patrimonio sociale ha natura contrattuale e il suo inadempimento – anche sotto il profilo degli oneri processuali di prova – è regolati dagli artt. 1218 e 1176 c.c., per quanto concerne il rapporto tra il socio e la società il diaframma della persona giuridica è tale da rendere i soci, nei rapporti con l’amministratore, terzi sia pur qualificati privi di un diretto e vincolante rapporto obbligatorio con il gestore del patrimonio sociale. Ne consegue che, ove i soci alleghino che determinati atti gestori abbiano inferto un danno diretto alla propria sfera giuridico-patrimoniale, incombe pienamente loro la prova piena della condotta illecita – anche sotto il suo profilo soggettivo di colpevolezza – nonché del danno e del nesso di causalità, pure diretta, tra i due termini della fattispecie risarcitoria. L’azione individuale di responsabilità in materia societaria esige che il comportamento doloso o colposo dell’amministratore, posto in essere tanto nell’esercizio dell’ufficio, quanto al di fuori delle incombenze ad esso correlate, abbia determinato un danno che incida direttamente sul patrimonio del socio o del terzo. È, invece, irrilevante che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ovvero che tale danno sia ricollegabile ad un inadempimento della società, né, infine, che l’atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell’interesse della società e a suo vantaggio. Infatti, dalla formulazione dell’art. 2395 c.c. emerge chiaramente come l’unico dato significativo ai fini della sua applicazione sia costituito dall’incidenza del danno. La sussistenza di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente si pongono come elementi tanto necessari, quanto sufficienti al riguardo. La responsabilità solidale del socio di s.r.l. di cui all’art 2476 co 8 c.c. prevede tre presupposti per il riconoscimento della responsabilità: l'alterità soggettiva del socio rispetto agli amministratori, il compimento da parte dell'amministratore di un atto dannoso e la qualità di socio del soggetto che decide od autorizza (intenzionalmente) il compimento dell'atto dannoso. La responsabilità viene in rilievo non già per una semplice assenza di controllo e neppure, in ipotesi di effettiva esistenza dell’atto dannoso, per la mera riconducibilità di tale atto al socio, ma solo in caso di intenzionale decisione o autorizzazione, da parte del socio, di quegli specifici atti dannosi da intendersi quale piena coscienza di compiere quell’atto decisionale o autorizzatorio potenzialmente dannoso e perciò deve indicare la riferibilità psicologica dell’atto al socio. Per tale ragione, la responsabilità del socio è solidale con quella degli amministratori. Il socio per integrare la fattispecie di cui all’art. 2476, co. 8, c.c. deve aver compiuto atti o comportamenti tali da supportare intenzionalmente l’azione illegittima e dannosa poi posta in essere dagli amministratori: è sufficiente che vi sia la consapevolezza, frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità, da parte del socio dell’antigiuridicità dell’atto e che, nonostante ciò, costui partecipi alla fase decisionale finalizzata al successivo compimento di quell’atto da parte dell’amministratore. L’intenzionalità, in questa prospettiva, è costituita dalla piena coscienza di compiere quell’atto decisionale o autorizzatorio potenzialmente dannoso e, in definitiva, dalla riferibilità psicologica dell’atto al socio. [ Continua ]