15 Marzo 2021

Le ipotesi e l’operatività della esclusione del socio di srl

A differenza delle società di persone (nella cui disciplina l’esclusione è prevista espressamente e direttamente dall’art. 2286 c.c. e, comunque, consentita anche nella generale ipotesi dei gravi inadempimenti alle obbligazioni incombenti sul socio), nella società a responsabilità limitata la cessazione del rapporto sociale con riguardo ad un socio è possibile solo:
a) nell’ipotesi del mancato versamento dei conferimenti dovuti per la liberazione della quota di capitale sottoscritta (in sede di costituzione o in sede di aumento reale del capitale sociale) ed all’esito del procedimento previsto dall’art. 2466 c.c.;
b) ovvero ai sensi dell’art. 2473-bis c.c. nelle specifiche ipotesi di esclusione previste dall’atto costitutivo. In tal caso, perché lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al singolo socio possa operare è necessario che i. le cause di esclusione siano previste espressamente e tassativamente da una clausola statutaria che siano applicate per le situazioni di fatto e/o di diritto verificatesi successivamente alla loro introduzione (per l’ovvia esigenza di consentire ai soci di evitare tale gravissima ‘sanzione privata’, conoscendo preventivamente le condotte che potrebbero darvi causa); ii. integrino, sotto il profilo contenutistico, una giusta causa di cessazione del vincolo sociale (art. 2473-bis).

In ogni caso, le ipotesi di esclusione del socio cui agli artt. 2466 c.c. (esclusione del c.d. “socio moroso”) e 2473 bis c.c. (esclusione per giusta causa) sono due istituti del tutto autonomi e diversi e, comunque, non sovrapponibili.

Al di fuori di tali ipotesi, il singolo rapporto sociale non potrà mai unilateralmente essere risolto per decisione maggioritaria (assembleare o consiliare); né il canone di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto sociale (che impone alle parti di un contratto di comportarsi, nell’esecuzione degli obblighi loro rivenienti dalla conclusione dello stesso, secondo correttezza e salvaguardando per quanto possibile le ragioni delle altre) consente in alcun modo di stravolgere tale equilibrato impianto normativo.

Come provvedimento conseguente all’annullamento della delibera di esclusione del socio il Giudice può ordinare all’Amministratore di iscrivere nel Registro delle Imprese il reintegro del socio e può attribuire al socio stesso, in caso di inerzia dell’Organo gestorio, il potere di agire in via surrogatoria per ottenere detta iscrizione.

Il socio di srl – che sia stato escluso con deliberazione dell’assemblea sociale – ha la legittimazione attiva ad impugnare la decisione di esclusione.

Compenso dell’amministratore e scopo di lucro della società

La gratuità della carica dell’amministratore non può farsi discendere dall’assenza di finalità lucrative della società. Il compenso dell’amministratore – essendo un costo per la società – attiene piuttosto al profilo dell’economicità della gestione dell’impresa, ovverosia al criterio della copertura dei costi con i ricavi di esercizio.

Illegittima prosecuzione dell’attività di impresa: onere della prova e danno risarcibile

Il verificarsi di una causa di scioglimento della società non comporta automaticamente la cessazione di qualsiasi attività da parte della società e la responsabilità dell’amministratore non può sorgere automaticamente dalla mera prosecuzione dell’attività di impresa, in quanto ciò è – seppur entro determinati limiti – consentito dall’art. 2486 c.c.. Il dispositivo in esame esprime sul piano normativo la coerente conseguenza del fatto che, dopo il verificarsi della causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato, quale era in precedenza, alla realizzazione dello scopo sociale, onde gli amministratori non possono più utilizzarlo a tal fine, ma sono abilitati a compiere soltanto gli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando ad essi inibito il compimento di nuovi atti di impresa suscettibili di porre a rischio, da un lato, il diritto dei creditori della società a trovare soddisfacimento sul patrimonio sociale, e, dall’altro, il diritto dei soci a una quota, proporzionale alla partecipazione societaria di ciascuno, del residuo attivo della liquidazione. Dunque, al verificarsi di una causa di scioglimento della società, ciò che è considerato contra legem è la gestione in chiave non conservativa della società, riconducibile all’assunzione di nuovi impegni e/o obbligazioni.

Il curatore fallimentare che intenda far valere una responsabilità dell’amministratore per la violazione della regola di gestione conservativa sancita dall’art. 2486 c.c., deve provare che dopo la perdita del capitale, sono state intraprese iniziative imprenditoriali connotate come tali dall’assunzione di nuovo rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di una logica meramente conservativa. Pertanto, è onere della curatela individuare e specificare quali pagamenti e/o gli atti posti in essere in spregio dell’art. 2486 c.c. sono idonei a fondare una responsabilità dell’amministratore in tal senso [nel caso di specie, va osservato che i pagamenti indicati dalla curatela, seppur effettuati in concomitanza di una situazione di sottocapitalizzazione della società, non possono essere ritenuti ex se dannosi per il patrimonio sociale, rectius violativi del generale obbligo di gestione conservativa, considerato che una tale modalità di agire possa addirittura consentire l’ottimizzazione di future operazioni di liquidazione in termini di miglior realizzo; di fatti lo stesso comparente ha affermato di aver eseguito pagamenti di obbligazioni già in precedenza assunte, per poi, portare a compimento i cicli produttivi già intrapresi, senza acquisire nuove commesse che avrebbero potuto aggravare il rischio di impresa, ed il tutto nel rispetto della par condicio creditorum].

Sul tema della quantificazione del danno, criterio da adottare, positivizzato dall’art. 2486 c.c., così come modificato dall’art. 378 del Codice della crisi d’impresa, è il c.d. “criterio della differenza dei netti patrimoniali”. Fatta salva la prova di un danno di diverso ammontare, il raffronto viene fatto tra il patrimonio netto della società al momento in cui gli amministratori avrebbero dovuto accorgersi della causa di scioglimento, ed il patrimonio netto della società al momento della messa in liquidazione, ovvero della sentenza dichiarativa di fallimento (se non preceduta dalla fase di liquidazione).

Responsabilità degli amministratori per inadempimenti tributari e contributivi. Linee guida per una corretta applicazione del criterio dei netti patrimoniali

Quando l’azione di responsabilità è circoscritta ai fatti accaduti sino alla cessazione dalla carica dell’amministratore convenuto, la chiamata in causa ex art. 106 c.p.c., da parte di quest’ultimo, dell’amministratore subentrante è irragionevole e legittima il diniego del giudice allo spostamento della prima udienza, essendo tale scelta motivata da esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo.

L’omesso versamento di tributi non costituisce inadempimento imputabile all’amministratore, se il relativo termine di versamento è scaduto dopo la cessazione di quest’ultimo dalla carica. Quando, invece, l’omesso versamento di tributi è imputabile all’amministratore, il danno subito dalla società non comprende l’ammontare dell’imposta, trattandosi di una somma che essa avrebbe dovuto comunque versare, ma è limitato agli importi di sanzioni e interessi di mora applicati dall’amministrazione finanziaria.

L’irregolare assunzione di lavoratori, in favore dei quali sia stata corrisposta una retribuzione, non determina, di per sé, alcun danno per la società. L’inadempimento dell’amministratore è piuttosto da ravvisarsi nell’omesso versamento di contributi e imposte sulle retribuzioni, talché il danno è pari agli importi di sanzioni e interessi applicati alla società, a fronte dell’omessa regolarizzazione dei lavoratori.

Quando, a causa dell’irregolare tenuta delle scritture contabili, non è possibile ricostruire la situazione contabile della società, il danno da indebita prosecuzione dell’attività può essere liquidato in via equitativa, applicando il criterio della differenza dei netti patrimoniali. Al fine di applicare correttamente tale criterio, occorre individuare (i) il bilancio a partire dal quale risulta la perdita del capitale, rettificato alla luce dei criteri di redazione di un bilancio di liquidazione (secondo il principio contabile OIC 5) e (ii) il momento in cui è stato deliberato lo scioglimento della società, con conseguente messa in liquidazione o, in mancanza, il momento in cui ne è stato dichiarato il fallimento. Individuata la perdita incrementale pura, occorre sottrarre i costi ineliminabili e/o non imputabili, che la società avrebbe ugualmente sostenuto, tenuto conto delle dimensioni dell’impresa, del tipo di attività svolta, della possibile durata della liquidazione e dell’eventuale circostanza della cessazione dell’amministratore dalla carica prima della dichiarazione di fallimento [nel caso di specie, in mancanza di puntuali indicazioni, l’importo della perdita è stato ridotto dal Collegio in via prudenziale ed equitativa del 50%].

Qualificazione dell’azione di responsabilità promossa dal socio in danno all’amministratore: azione sociale o azione diretta?

La domanda risarcitoria promossa dal socio contro l’amministratore unico avente ad oggetto un danno specifico che lo riguardi esclusivamente, in quanto fonte di responsabilità risarcitoria diretta, è da inquadrarsi sub art. 2395 c.c. per le S.p.A. ovvero sub art. 2476 c.c. per le S.r.l. A questo inquadramento consegue l’ammissibilità della domanda anche qualora la società abbia già rinunciato all’esercizio dell’azione sociale, poiché trattasi di domanda altra e diversa rispetto all’azione sociale rinunciata.

Utili societari versati sul conto corrente personale

In ipotesi di società di natura familiare, composta da due coniugi e amministrata da uno di essi, l’amministratore che versa gli utili della società sul proprio conto corrente, su cui il coniuge ha delega ad operare, non commette alcun atto distrattivo in danno dell’altro socio. Tale circostanza, infatti, può ritenersi compatibile con l’esistenza di un accordo in forza del quale le somme derivanti dagli utili della società siano impiegate per le spese comuni della famiglia.

 

25 Febbraio 2021

Simulazione di società di capitali e natura dell’azione individuale dei soci e dei terzi nei confronti dell’amministratore di S.r.l.

La simulazione di una società di capitali iscritta nel registro delle imprese non è configurabile in ragione della natura stessa del contratto sociale, che non è solo regolatore degli interessi dei soci, ma si atteggia, al contempo, come norma programmatica dell’agire sociale, destinata ad interferire con gli interessi dei terzi, che con la società instaurano rapporti e fanno affidamento sulla sua esistenza, dovendosi ritenere che tipo e scopo sociale, una volta compiute le formalità di legge, siano quelli che emergono dal sistema di pubblicità, sicché l’atto di costituzione dell’ente non può più essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti e resta consacrato nei termini in cui risulta iscritto ed è portato a conoscenza dei terzi [nella specie un soggetto contestava l’intestazione fittizia delle quote in capo al socio di maggioranza allegando di essere il vero titolare delle stesse].

L’azione individuale spettante ai soci o ai terzi per il risarcimento dei danni ad essi derivati per effetto di atti dolosi o colposi degli amministratori rientra nello schema della responsabilità aquiliana e presuppone che i danni medesimi non siano solo il riflesso di quelli arrecati eventualmente al patrimonio sociale, ma siano stati direttamente cagionati ai soci o terzi, come conseguenza immediata del comportamento degli stessi amministratori. Pertanto, tale azione individuale risulta essere un rimedio utilmente esperibile solamente quando la violazione del diritto individuale del socio o del terzo sia in rapporto causale diretto con l’azione degli amministratori.

Se il danno allegato costituisce solo il riflesso di quello cagionato al patrimonio sociale, si è al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 2476, comma sesto, c.c., in quanto tali norme richiedono che il danno abbia investito direttamente il patrimonio del socio o del terzo. Pertanto, in assenza di un danno diretto che sia conseguenza della condotta dell’amministratore, la domanda risarcitoria dovrà essere dichiarata inammissibile.

19 Febbraio 2021

Finanziamento soci e principio di postergazione

Il finanziamento erogato da uno dei soci in favore di una società a responsabilità limitata è postergato, ex art. 2467, comma 2, cod. civ., ove effettuato in  un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. In presenza di tali situazioni il credito del socio, benché sia anche scaduto il termine previsto per adempiere all’obbligo di restituzione previsto dall’art. 1813 cod. civ., è inesigibile. In altri termini, il principio di postergazione di cui all’art. 2467 cod civ. opera come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale, con conseguente inesigibilità temporanea alla restituzione della somma mutuata.

 

Affinché tale principio trovi applicazione, è tuttavia necessario che i presupposti dell’eccessivo squilibrio dell’indebitamento o della situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento sussistano non solo al momento della concessione del finanziamento, ma anche al momento della richiesta di rimborso e sino all’esito del procedimento giudiziale promosso dal socio per la restituzione del finanziamento effettuato in favore della società.

17 Febbraio 2021

Azione di risarcimento danni per mala gestio dell’amministratore e nullità dell’atto istitutivo di trust in mancanza di affidamento intersoggettivo dei beni

Risponde dell’addebito di negligenza l’amministratore che scelga di demandare il maneggio della cassa sociale interamente a terzi senza la previsione di alcun meccanismo di controllo e a fronte di compensi assai rilevanti.

Deve escludersi la configurabilità di una simulazione assoluta anche rispetto all’atto costitutivo di società di persone iscritta nel Registro delle imprese.

Deve ritenersi nullo l’atto costitutivo di un trust t (ovvero la non riconoscibilità di tale atto nel nostro ordinamento in quanto non riconducibile alla disciplina di cui all’art.2 della Convenzione dell’Aja 1.7.1985 resa esecutiva in Italia dalla l. n.364/1989) laddove manchi “nella sostanza un vero affidamento intersoggettivo dei beni”, ciò senz’altro ricorrendo nell’ipotesi in cui il trust  reca una integrale coincidenza tra i tre soggetti che ne costituiscono tipicamente le parti (ossia il disponente, il trustee ed il beneficiario). I tre centri di imputazione di tale istituto non possono infatti coincidere, dal momento che il trust postula in capo al trustee una proprietà limitata nel suo esercizio in funzione della realizzazione del programma stabilito dal disponente del trust nell’atto istitutivo a vantaggio del o dei beneficiari.

Se tutte queste figure coincidono, la proprietà del trustee in nulla differisce dalla proprietà piena, e il trust è pertanto nullo in quanto fondato sul carattere abusivo dell’utilizzo di un istituto di segregazione patrimoniale a beneficio di terzi riconosciuto dall’ordinamento in quanto dotato di determinati caratteri e altrimenti risolventesi in negozio in elusiva violazione della norma imperativa ex art. 2740 c.c., e come tale sanzionabile ex artt. 1344, 1345 e 1418 c.c.

15 Febbraio 2021

Amministratore di fatto di una società di capitali

L’amministratore di fatto di una società di capitali, pur privo di un’investitura formale, esercita sotto il profilo sostanziale nell’ambito sociale un’influenza che trascende la titolarità delle funzioni, con poteri analoghi se non addirittura superiori a quelli spettanti agli amministratori di diritto, sicché può concorrere con questi ultimi a cagionare un danno alla società attraverso il compimento o l’omissione di atti di gestione.

La natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore sociale consente alla società che agisca per il risarcimento del danno, o al curatore in caso di sopravvenuto fallimento di quest’ultima, di allegare l’inadempimento dell’organo gestorio quanto alle giacenze di magazzino, restando a carico del convenuto l’onere di dimostrare l’utilizzazione delle merci nell’esercizio dell’attività di impresa.