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Art. 2379 c.c.
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17 Gennaio 2022

Intestazione fiduciaria di quote e nullità delle delibere assunte dal fiduciario

L’esistenza di un pactum fiduciae contemplante l’apparente intestazione dell’intera partecipazione sociale in capo al fiduciario con impegno da parte di quest’ultimo a retrocedere al fiduciante le predette quote al mero valore nominale, assurge a motivo di nullità, rilevabile d’ufficio, delle delibere adottate dal fiduciario in assenza di una formale e rituale convocazione e costituzione dell’organo competente, e dal medesimo poi inserite nel libro dei verbali delle assemblee, anziché della loro più radicale inesistenza. Tale vizio, benché non dedotto attraverso un formale atto di impugnazione delle delibere nulle è suscettibile di rilievo d’ufficio da parte del giudice a norma dell’art. 2379, co. 2, c.c.

15 Gennaio 2022

Furto di identità e inesistenza di delibera assembleare

È inesistente la delibera assembleare assunta con l’apparente partecipazione di un socio che, in realtà,  non ha mai assunto alcuna carica sociale,  non ha mai partecipato alla riunione assembleare, ma è rimasto vittima di un furto di identità.

 

22 Dicembre 2021

Nullità della delibera di approvazione del bilancio privo del requisito di chiarezza e informativa in merito alle operazioni con parti correlate

Il giudizio circa la liceità del bilancio non può dipendere da precedenti gestioni, mai contestate, neppure in nome della continuità, che non può legittimare una deroga ai principi di chiarezza e trasparenza. La circostanza che il bilancio d’esercizio di una società di capitali abbia come destinatari non solo i soci, ma tutta una pluralità di terzi, i quali, potendo venire in contatto con la società, abbiano interesse a valutarne la situazione patrimoniale ed economica, rende irrilevante, ai fini della illiceità del bilancio stesso e della conseguente nullità della relativa deliberazione assembleare di approvazione, che il metodo di redazione del bilancio contrario ai principi di chiarezza e precisione sia stato adottato in passato con il consenso o, addirittura, su iniziativa del socio che poi ha impugnato il bilancio. Né giova in senso contrario fare appello al principio di continuità formale dei bilanci, il quale comporta solo che non si adottino metodi di rilevazione del bilancio diversi da quelli adottati in passato, senza darne adeguato conto nella relazione degli amministratori, ma non giustifica certo il protrarsi nel tempo dell’adozione di metodi di redazione poco chiari o imprecisi.

Il disposto di cui all’art. 2377, co. 8, c.c., applicabile anche alle s.r.l. in virtù del richiamo espresso contenuto nell’art. 2479 ter, ult. co., c.c., impedisce l’annullamento della deliberazione impugnata, ma a condizione che quella sostitutiva sia stata assunta in conformità alla legge e allo statuto della società; l’effetto che ne consegue, di cessazione della materia del contendere e di sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione, deve quindi misurarsi con la legittimità della delibera sostitutiva, senza alcun effetto automatico.

La circostanza che la società sia ammessa a redigere il bilancio in forma abbreviata non la esonera dal rispetto dei principi generali espressi dall’art. 2423, co. 2, c.c., posti non solo a tutela del socio, ma anche di una pluralità di terzi, non indifferenti alle sorti della società. Gli amministratori devono soddisfare l’interesse del socio a una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio al fine di realizzare il diritto di informazione previsto dall’art. 2423 c.c., che è in rapporto di strumentalità con il principio di chiarezza, sicché sono obbligati a rispondere alla domanda d’informazione pertinente e a cui non ostino oggettive esigenze di riservatezza, in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati di bilancio ed alla relativa relazione.

Ciascun principio racchiuso nella previsione di cui all’art. 2423, co. 2, c.c., appare dotato di una propria autonoma valenza, senza che sussista alcuna gerarchia, anche rispetto ai valori che esprime. Invero, nella disciplina legale del bilancio d’esercizio delle società, il principio di chiarezza non è affatto subordinato a quello di correttezza e veridicità del bilancio medesimo, ma è dotato di autonoma valenza, essendo obiettivo fondamentale del legislatore quello di garantire non solo la veridicità e correttezza dei risultati contabili, ma anche la più ampia trasparenza dei dati di bilancio che a quei risultati conducono. Conseguentemente, il bilancio d’esercizio di una società di capitali che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, co. 2, c.c. è illecito ed è nulla la deliberazione assembleare con cui esso è stato approvato, non soltanto quando la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società, e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.

La descrizione delle operazioni con parti correlate costituisce specifica voce della nota integrativa di bilancio ex art. 2427, n. 22 bis, c.c., applicabile anche nelle ipotesi di bilancio redatto in forma abbreviata. Le informazioni da fornire in base alla previsione in commento debbono poi essere integrate attraverso il principio contabile internazionale adottato dall’UE (IAS 24) e dal principio contabile OIC 12. Sono quindi parti correlate (IAS 24) le persone fisiche o le entità societarie che esercitano un controllo o comunque un’influenza notevole sull’entità che redige il bilancio, mentre le normali condizioni di mercato, che esonerano dall’obbligo di informativa, non attengono solo al prezzo praticato nell’operazione, ma si estendono anche alle ragioni che hanno condotto a porre in essere quell’affare con tale parte e non con altri soggetti terzi. L’esigenza di fornire informazioni in merito costituisce una declinazione del più generale principio di trasparenza del bilancio, poiché la conclusione di contratti con società collegate o controllate ovvero con persone fisiche in stretto rapporto con chi è tenuto alla redazione del bilancio può indurre il sospetto di conflitti d’interesse e di scelte di favore, non del tutto adeguate e rispondenti all’interesse della società. Le informazioni sono necessarie a fronte di operazioni che, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, sono suscettibili di orientare ed influenzare le decisioni di coloro che usufruiscono delle indicazioni ed informazioni contenute nel bilancio. Quanto alle “normali condizioni di mercato”, all’interpretazione del criterio concorrono le indicazioni di cui al principio contabile OIC 12, che indica quali elementi di valutazione non solo il prezzo, ma anche le motivazioni in base a cui si è concluso l’affare con tale controparte contrattuale piuttosto che con soggetti terzi.

29 Novembre 2021

Principi in tema di impugnativa di bilancio

Il socio è portatore di un diritto verso la società a ricevere con il bilancio informazioni veritiere e corrette. Questo diritto è tutelato con la facoltà del socio, attribuita a determinate condizioni, di insorgere contro le delibere che ritiene illegittime.

Si tratta di una tutela endosocietaria reale diversa da quella che il socio stesso può indirettamente conseguire in forza dell’intervento dell’organo amministrativo tenuto ad adeguarsi alle risultanze di una precedente impugnativa di bilancio, fatta valere per i medesimi vizi.

Va considerato che il giudizio di impugnazione, se si conclude in senso positivo per il socio impugnante, comporta la caducazione endosocietaria della delibera invalida con efficacia verso tutti i soci ex art 2377, co. 7, c.c.

La certezza di questo risultato non è offerta al socio dall’obbligazione dell’amministratore di tener conto delle ragioni della dichiarata invalidità di un bilancio nella redazione del bilancio in corso.

Il socio, in ipotesi di mancata ottemperanza da parte dell’organo amministrativo alla sua obbligazione di adeguare gli atti interni alla decisione sull’impugnazione della delibera, ha una tutela risarcitoria (non sempre di facile dimostrazione) che non comporta in sé la caducazione delle delibere c.d. intermedie se non oggetto di tempestiva impugnazione.

A ciò si aggiunga che la stessa disposizione dell’art 2434 bis, comma 1 c.c., nello stabilire che le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo – norma da interpretarsi con riferimento alla situazione esistente al momento di proposizione della domanda di impugnazione e non alla situazione che può determinarsi in corso di causa – dimostra che quello che è precluso è solo esercitare l’impugnazione di un bilancio dopo che è già stato approvato il bilancio dell’esercizio successivo e null’altro.

Dunque, il legislatore con la citata disposizione segna il confine della situazione in cui ritiene non sussista un interesse ad agire del socio in materia di impugnazione di delibera di approvazione del bilancio, oltre il quale l’interesse ad agire va riconosciuto, con la conseguenza che sussiste l’interesse del socio, se a ciò legittimato, all’azione di impugnazione delle delibere di approvazione del bilancio anche dopo che è stata proposta impugnazione alla delibera di approvazione del precedente bilancio, seppure le impugnazioni siano tutte fondate sui medesimi motivi; persiste infatti un interesse attuale e concreto del socio ad ottenere il risultato utile giuridicamente rilevante consistente nella rimozione, non altrimenti conseguibile, della delibera societaria che assume viziata e illegittima.

 

4 Novembre 2021

Nullità della delibera di approvazione del bilancio e interesse ad agire

I principi di chiarezza, verità e correttezza costituiscono la c.d. clausola generale del bilancio di esercizio in quanto criteri cardine legislativamente disposti per la redazione del bilancio medesimo. La chiarezza del bilancio indica la sua comprensibilità al fine di assolvere la funzione informativa nei confronti dei soci e dei terzi, anche al di là della mera osservanza formale delle specifiche norme dettate per la minuta disciplina delle singole poste contabili; quanto al principio della rappresentazione veritiera e corretta, la sua applicazione implica la redazione del documento contabile conformemente alla struttura ed ai criteri di valutazione dettati dalla normativa civilistica. I principi enunciati sono sovraordinati rispetto alle altre regole che sovraintendono alla redazione del bilancio poste dall’art. 2423 bis c.c., cioè i criteri di prudenza, competenza, funzione economica dell’elemento dell’attivo e del passivo considerato, continuità di gestione e non modificabilità dei criteri di valutazione.

Nell’azione di nullità della delibera assembleare – a differenza che nell’azione di annullamento, ove la preselezione operata dal legislatore in punto di legittimazione attiva qualifica il relativo interesse – il terzo che impugni la delibera deve allegare e dimostrare un interesse concreto e attuale alla declaratoria di nullità stessa, in quanto esso è la fonte della sua legittimazione. In particolare, ai fini della proponibilità dell’impugnazione ex art. 2379 c.c. non è sufficiente un generico interesse al rispetto della legalità, laddove ne venga denunciata la nullità, ma è necessaria l’allegazione di un’incidenza negativa nella sfera giuridica del soggetto agente delle irregolarità denunciate riguardo al risultato economico della gestione sociale. Ciò sta a significare che la qualità di socio non è requisito necessario, essendo legittimato qualsiasi soggetto purchè titolare di un interesse concreto ed attuale all’impugnativa, interesse che deve sussistere non solo al momento della proposizione della domanda ma anche al momento della decisione.

L’interesse ad agire, in quanto condizione dell’azione ex art. 100 c.p.c., la cui carenza è rilevabile ex officio, implica a carico dell’attore l’onere di dimostrare l’attualità della lesione del proprio diritto ed il conseguente pregiudizio derivante dalla decisione impugnata alla cui eliminazione è diretto il provvedimento giurisdizionale richiesto. Tale requisito deve essere valutato alla stregua della prospettazione operata dalla parte e la sua sussistenza non può essere negata sulla base del presupposto che quanto sostenuto dall’attore non corrisponda al vero, attenendo tale valutazione di fondatezza al merito della domanda. Pertanto, nel caso dell’azione volta a far dichiarare la nullità di una deliberazione assembleare approvativa del bilancio di esercizio di una società, l’attore che assuma di aver subito un pregiudizio dal difetto di chiarezza, veridicità e correttezza di una o più poste contenute in bilancio ha l’onere di enunciare quali siano esattamente le poste iscritte in violazione dei principi legali vigenti lesive del suo diritto alla corretta informazione relativamente ai dati riportati in bilancio. L’esame delle singole poste e la verifica della loro conformità ai precetti legali è, tuttavia, compito logicamente successivo, che attiene al giudizio di fondatezza della domanda ma non al requisito dell’interesse ad agire [nella specie, il Tribunale ha rigettato la domanda in quanto l’attore ha fondato la propria impugnativa sul diritto alla corretta e veritiera informazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, senza chiarire quale pregiudizio dallo stesso subito giustificasse l’adozione del provvedimento richiesto].

Il diritto ad ottenere informazioni corrette e veritiere rispetto alla situazione finanziaria della società non è configurabile in capo a chiunque, bensì solo a beneficio di quei soggetti che siano titolari di una posizione giuridica rilevante rispetto alla società, da cui discende tale diritto (ad esempio, un creditore che ha interesse a ricostruire con esattezza il patrimonio sociale in quanto garanzia generica del credito ex art. 2740 c.c.).

28 Settembre 2021

Sulla qualificazione delle somme erogate dai soci: fondamentale l’esame della volontà negoziale delle parti

L’erogazione di somme, che i soci effettuano alla società da loro partecipata, può avvenire a titolo di mutuo ovvero quale versamento in apposita riserva “in conto capitale”: la qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti. La relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, analizzando le finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi [nel caso di specie, è stata pronunciata l’illegittimità, a causa di nullità per oggetto giuridicamente impossibile ex art. 2379 comma 1 c.c., della delibera assembleare con cui la società ha inteso cancellare unilateralmente il debito verso i soci, disponendo una indebita patrimonializzazione per pari importo].

Il finanziamento dei soci a titolo di mutuo può essere qualificato come postergato ex art. 2467 comma 2 c.c. solamente nel caso in cui, tanto nel periodo in cui esso sia stato effettuato quanto in quello in cui viene chiesta la restituzione, la società versi in situazione di crisi qualificata, cioè di probabile insolvenza. Non è sufficiente, ai fini probatori della probabile insolvenza, dedurre una generica situazione di difficoltà finanziaria della società risultante dai bilanci.

20 Settembre 2021

Nullità e annullabilità delle delibere assembleari e relativa legittimazione ad agire

La nullità delle delibere assembleari in conformità all’art. 2379 c.c. è ravvisabile nell’ipotesi di mancata convocazione dell’assemblea, mancanza del relativo verbale, impossibilità/illiceità dell’oggetto, modifica dell’oggetto sociale per attività illecite o impossibili e il relativo vizio è deducibile da chiunque vi abbia interesse indipendentemente dalla percentuale di partecipazione al capitale sociale in capo a chi agisce. Nel caso di annullabilità della delibera assembleare per non conformità della delibera a legge o statuto, la legittimazione ad agire spetta solo al socio che, individualmente o insieme ad altri attori, detiene almeno il 5% del capitale sociale.

Il principio in base al quale i vizi comportanti la radicale nullità della delibera di sodalizi assoggettati alla disciplina dettata per società per azioni, rappresenta l’eccezione, tassativamente prevista dall’Articolo 2379 del Codice Civile, alla regola generale della mera annullabilità. Pertanto, i vizi afferenti la regolarità della convocazione assembleare, della sua regolamentazione e discussione, dell’omessa allegazione al verbale dei presenti/votanti con le relative schede di votazione, nonché genericamente asseriti abuso/eccesso di maggioranza, conflitto di interessi e difetto di unanimità deliberativa, sono riconducibili alla generale categoria dei motivi di annullabilità della delibera assembleare.

10 Agosto 2021

Sulla decorrenza del termine per l’impugnazione della delibera di S.p.A. in caso di azioni sequestrate e sul termine per la tutela risarcitoria

I termini ristretti per impugnare le delibere societarie (rispettivamente 180 giorni nei casi nullità ex art. 2379 c.c. e 90 giorni nei casi di annullabilità ex art. 2377) sono disposti a tutela della stabilità delle decisioni societarie e, pertanto, con riferimento al termine di 90 giorni con cui far valere il vizio di annullabilità della delibera per la violazione del diritto di opzione ex art. 2441, va rilevato che esso decorre, a pena di decadenza, anche in pendenza di sequestro e poi confisca di prevenzione delle azioni della S.p.A., durante i quali, peraltro, l’esercizio dei diritti sociali non è sospeso ma è affidato all’amministratore giudiziario. Le ipotesi di sospensione e interruzione di tale termine sono tassative ai sensi dell’art. 2941 c.c. e, per questo, non suscettibili di interpretazione analogica, ferma restando la tutela risarcitoria esperibile nel termine quinquennale ai sensi dell’art. 2949 c.c., risultando le norme dell’art. 2377 comma 8, dell’art. 2378 comma II, in tema di delibere annullabili, e dell’art. 2379 ter, ultimo comma c.c., in tema di delibere nulle, l’espressione del generale diritto alla tutela risarcitoria, che assicura il ristoro del pregiudizio subito dall’altrui condotta quando non sia prevista (o non sia più esperibile) una tutela in forma specifica; il il breve termine di novanta giorni per la delibera annullabile deve ritenersi previsto a pena di decadenza soltanto per l’impugnazione della delibera, mentre l’eventuale tutela risarcitoria va azionata negli ordinari termini che, in materia societaria, sono soggetti alla prescrizione quinquennale ex art. 2949 c.c.

27 Luglio 2021

La giusta causa per la revoca degli amministratori

La «giusta causa» di revoca è nozione distinta sia dal mero «inadempimento», sia dalle «gravi irregolarità» di cui all’art. 2409 c.c.: essa riguarda circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, provocate o no dall’amministratore stesso, che però pregiudicano l’affidamento dei soci nelle sue attitudini e capacità. Il legame di fiducia con la società e, per essa, con i soci, fonda infatti il rapporto di amministrazione, donde la giusta causa è integrata da ogni fatto che sia idoneo a comprometterlo.

La mancata condivisione, da parte dell’assemblea, dei criteri di redazione del bilancio utilizzati dagli amministratori può integrare una giusta causa di revoca, qualora le contestazioni non si appalesino pretestuose e siano tali da incidere sulla corretta rappresentazione del bilancio.

Quando l’amministratore revocato agisce in giudizio contestando la sussistenza della giusta causa e facendo valere il diritto al risarcimento del danno, la posizione sostanziale di attore spetta alla società, onerata della prova della giusta causa di revoca, mentre l’amministratore è il convenuto sostanziale.

19 Luglio 2021

Curatore speciale: non è necessaria la nomina se la delibera impugnata è stata sostituita da un’altra

Nella fase di merito di un giudizio di impugnazione di una delibera assembleare non è necessaria la nomina di un curatore speciale della società, sebbene già nominato nella precedente fase cautelare, qualora sia intervenuta l’adozione di una nuova delibera sostitutiva di quella impugnata che non sia oggetto di sospensione o impugnazione. L’adozione di una delibera sostitutiva ai sensi dell’art. 2377, c. 8, c.c. – a differenza della fase cautelare in cui tale delibera non era intervenuta – legittima il Presidente del C.d.A. a rappresentare la società, dovendosi escludere in concreto la ricorrenza del conflitto di interessi.