Provvedimento sanzionatorio di Banca d’Italia e contratto autonomo di garanzia
Anche un soggetto non consumatore può invocare la tutela contro la violazione della disciplina delle intese restrittive della concorrenza (nel caso di specie, in materia di fideiussioni omnibus).
La decisione della Banca d’Italia n. 55/2005, che ha accertato l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza limitatamente al settore delle fideiussioni omnibus bancarie, non è applicabile al caso del contratto autonomo di garanzia, ponendosi al di fuori del perimetro oggettivo dell’accertamento effettuato dall’Autorità.
Il contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), espressione dell’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, diversamente dal contratto del fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui (attesa l’identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante). Inoltre, la causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un soggetto a un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l’elemento dell’accessorietà, è tutelato l’interesse all’esatto adempimento della medesima prestazione principale. Ne deriva che, mentre il fideiussore è un “vicario” del debitore, l’obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile a essa e non rivolta all’adempimento del debito principale, bensì a indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore.
Posta tale funzione, il contratto autonomo di garanzia si caratterizza, pertanto, rispetto alla fideiussione, per l’assenza dell’accessorietà della garanzia, derivante dall’esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga all’art. 1945 c.c., dalla conseguente preclusione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonché dalla proponibilità di tali eccezioni al garante successivamente al pagamento effettuato da quest’ultimo, laddove l’accessorietà della garanzia fideiussoria postula, invece, che il garante abbia l’onere di preavvisare il debitore principale della richiesta di pagamento del creditore, ai sensi dell’art. 1952, comma 2, c.c., all’evidente scopo di porre il debitore in condizione di opporsi al pagamento, qualora esistano eccezioni da far valere nei confronti del creditore.
L’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale; tuttavia, in presenza di elementi che conducano, comunque, a una qualificazione del negozio in termini di garanzia autonoma, l’assenza di formule come quella anzidetta non è elemento decisivo in senso contrario.
Il contratto autonomo di garanzia si caratterizza, rispetto alla fideiussione, proprio per l’assenza dell’accessorietà della garanzia, derivante dall’esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga all’art. 1945 c.c., e dalla conseguente preclusione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonché dalla proponibilità di tali eccezioni al garante successivamente al pagamento effettuato da quest’ultimo.
Abuso di pegno di partecipazioni sociali
L’abuso della cosa data in pegno previsto dall’art. 2793 c.c. rimanda alla violazione da parte del creditore garantito dell’obbligo di custodia della cosa e del divieto del suo uso con modalità eccedenti le esigenze della sua conservazione previste dagli articoli 2790 e 2792 c.c. che, ove l’oggetto del pegno sia la posizione giuridica complessa derivante dalla partecipazione sociale, si traducono nel divieto di esercizio delle prerogative del creditore pignoratizio in violazione dell’obbligo di conservazione del suo valore inteso come porzione corrispondente del patrimonio sociale. Se, quindi, l’attribuzione del diritto di voto in assemblea al creditore pignoratizio costituisce un elemento “connaturale” al pegno di partecipazioni sociali specificamente previsto dall’art. 2352 c.c. e 2471 bis c.c., espressione dello spossessamento della peculiare res data in garanzia, l’ eventualità del suo esercizio con finalità diverse da quella della conservazione del valore economico della partecipazione si connota di per sé, quale che sia la giustificazione addotta, come abuso del pegno rilevante ai sensi dell’art. 2793 c.c.
Onere della prova del creditore nell’opposizione alla scissione
Il fondamento dell’opposizione alla scissione è da ravvisare nel rischio che il compimento dell’operazione possa pregiudicare le ragioni dei creditori, rendendo probabile il mancato o ritardato soddisfacimento delle relative pretese. Attesa la natura dell’operazione, non basta al creditore dedurre genericamente una riduzione della garanzia patrimoniale, dovendo piuttosto egli fornire elementi idonei a sostenere l’esistenza di un effettiva probabilità che l’operazione – anche alla luce di una valutazione complessiva delle caratteristiche e degli effetti della stessa su un piano patrimoniale, economico e finanziario – possa arrecare un pregiudizio, non necessariamente attuale ma anche solo potenziale, al soddisfacimento del proprio credito. Tale rischio deve essere valutato considerando che il creditore opponente è creditore della società scindenda, quindi valutando, da un lato, le possibilità di soddisfacimento del credito avendo come riferimento le garanzie economico-patrimoniali che offre tale società prima ed indipendentemente dalla scissione e, dall’altro, le garanzie che offrirebbe, dopo la scissione, la società che rimarrebbe (la scissa) o diverrebbe (la beneficiaria) debitrice.
Ne consegue che colui che si avvale dello strumento dell’opposizione alla scissione deve, pertanto, provare innanzitutto di essere titolare già al momento dell’iscrizione o pubblicazione del progetto di scissione di un credito, anche litigioso o non scaduto né liquido, verso la società scindenda e poi che, dal raffronto tra la consistenza del patrimonio e le prospettive reddituali della società prima dell’operazione e quelle successive emerga la probabile insufficienza delle risorse disponibili a far fronte al complesso dei debiti sociali pregressi.
Doveri e responsabilità dei liquidatori di società di capitali
Il liquidatore di società di capitali ha il dovere di procedere a una ordinata liquidazione del patrimonio sociale, pagando i debiti secondo il principio della par condicio creditorum, pur nel rispetto dei diritti di precedenza dei creditori aventi una causa di prelazione. La responsabilità dei liquidatori di società nei confronti dei creditori sociali si fonda sulla violazione del dovere di conservare il patrimonio sociale e di procedere alla liquidazione secondo modalità tali da assicurare la sua efficienza al soddisfacimento dei creditori sociali, sicchè, ove abbiano proceduto alla distribuzione anche parziale tra i soci dei beni sociali senza preventivamente procedere al pagamento dei creditori, ovvero accantonare le somme necessarie per pagarle, incorrono nella responsabilità per aver diminuito il patrimonio sociale e averlo reso inidoneo ad assolvere la funzione di generica garanzia di cui all’art. 2740 c.c.
Cessione di partecipazioni sociali e business warranties
La cessione di azioni o quote di una società ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta; invero la partecipazione societaria non esprime una contitolarità nella proprietà dei beni sociali o nella titolarità di ragioni di credito verso i debitori sociali, ma si estrinseca nello status di socio, ed è la quota sociale che costituisce oggetto della cessione; da ciò deriva, in linea di massima, che una diversa consistenza dei beni e dei crediti della società non incide sull’oggetto del trasferimento, costituito dalle azioni o quote, ma riguarda soltanto il valore economico di quest’ultime. Tuttavia, le maggiori passività pregresse o le minori attività scoperte dall’acquirente dopo il perfezionamento del contratto di cessione diventano rilevanti anche nell’ambito del sinallagma contrattuale laddove il cedente abbia espressamente assunto una garanzia sul valore economico della partecipazione ceduta.
Nella vendita di partecipazioni sociali, la clausola con la quale il venditore si impegna a tenere indenne il compratore dalle sopravvenienze passive nel patrimonio della società ha ad oggetto una prestazione accessoria e non rientra, quindi, nella garanzia di cui all’art. 1497 c.c., che attiene, invece, alle qualità intrinseche della cosa, esistenti al momento della conclusione del contratto. Pertanto, il diritto del compratore all’indennizzo, fondato su detta clausola, non è soggetto alla prescrizione annuale ex artt. 1495 e 1497 c.c., bensì alla prescrizione ordinaria decennale.
Nel contratto di acquisto di compartecipazioni societarie, qualora il giudice di merito abbia accertato che al negozio siano stati collegati dei patti autonomi di garanzia aventi ad oggetto le passività del patrimonio sociale, c.d. “business warranties”, che non attengono però all’oggetto immediato del negozio, consistente nell’acquisizione della partecipazione sociale, bensì al suo oggetto mediato, rappresentato dalla quota parte del patrimonio sociale che essa rappresenta, tali contratti costituiscono un’autonoma regolamentazione della garanzia e, in caso di inadempimento, deve riconoscersi all’acquirente il diritto a conseguire un indennizzo, e non la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto di acquisto delle azioni a causa del difetto di qualità della cosa venduta, secondo la disciplina di cui agli artt. 1495 e 1497 c.c.
Garanzia di manleva e autonomia contrattuale
L’art. 1322 c.c. se da un lato non esclude affatto la libera espressione dell’autonomia contrattuale delle parti e quindi l’approdo delle stesse alla conclusione di contratti atipici, dall’altra pone un limite nella meritevolezza degli interessi a cui i relativi accordi contrattuali sono preordinati, da valutarsi ex ante.
La valutazione circa la ricorrenza della meritevolezza degli interessi perseguiti impone quindi di procedere all’analisi dell’interesse concretamente perseguito dalle parti (i.e. della ragione pratica dell’affare), valutando l’utilità del contratto, la sua idoneità ad espletare una funzione commisurata sugli interessi concretamente perseguiti dalle parti attraverso quel rapporto contrattuale, fermo restando il rispetto dei principi racchiusi nell’art. 41 Cost.
Responsabilità dell’amministratore per negligente negoziazione di un contratto e allocazione delle spese giudiziali relative ai terzi chiamati
Pur non dovendosi intendere quale regola operazionale inderogabile la richiesta di garanzie autonome o fideiussioni, è dovere del buon amministratore effettuare, nella stipulazione di contratti, un vaglio preventivo circa la solvibilità della controparte, magari con richiesta di informazioni patrimoniali, bancarie o con garanzie personali, in presenza di elementi di allarme che inducano a dubitare del buon esito dell’operazione. La mancata predisposizione di simili cautele può integrare un’ipotesi di responsabilità dell’amministratore ex 2476 c.c.
In tema di spese giudiziali sostenute dal terzo chiamato in garanzia, una volta rigettata la domanda principale, il relativo onere va posto a carico della parte soccombente che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia, in applicazione del principio di causalità, e ciò anche se l’attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo.
Inadempimento del contratto di pegno su azioni e quantificazione del danno risarcibile
Cessione di partecipazioni sociali: vizio e difetto di qualità e clausole di garanzia
La consistenza patrimoniale della società nell’ambito della cessione di quote o azioni di quest’ultima rileva solo in presenza di una specifica garanzia assunta dal cedente, poichè la cessione ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Le carenze o i vizi relativi alla consistenza e alle caratteristiche dei beni ricompresi nel patrimonio sociale possono giustificare la risoluzione di tale contratto solo se sono state fornite a tale riguardo dal cedente specifiche garanzie contrattuali, anche se non vi è bisogno che esse vengano così espressamente qualificate, sufficiente essendo che il rilascio della garanzia si evinca inequivocamente dal contratto. In tutti gli altri casi va ribadita l’irrilevanza delle maggiori passività pregresse o delle minori attività, scoperte dall’acquirente successivamente al perfezionamento del contratto di cessione di quote, con conseguente perdita di valore delle stesse. Le tutele apprestate dalla legge – sia nella fase genetica (vizi della volontà) sia in quella funzionale (ai fini dell’esatta e corretta esecuzione del contratto) – proteggono l’interesse del compratore rispetto a discrepanze che riguardano le partecipazioni compravendute, non il patrimonio sociale.
Il vizio e il difetto di qualità in relazione alla compravendita di partecipazioni sociali può attenere, in via generale, unicamente alla qualità dei diritti e obblighi che in concreto la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire. Non può riguardare, invece, il suo valore economico in quanto esso non attiene all’oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti.
La cessione della quota attuata sul presupposto di una determinata consistenza patrimoniale della società può inquadrarsi nell’ambito di un complesso regolamento negoziale, il quale ha per oggetto non solo l’acquisizione di un generico status socii, ma anche ulteriori obblighi a carico del cedente; tali obblighi possono per relationem essere collegati dalle parti, appunto, a una certa consistenza del patrimonio ovvero a determinate caratteristiche di beni sociali specificamente considerati.
Fra le clausole che possono essere previste ed introdotte nel contratto di cessione di partecipazioni societarie (clausole di garanzia, di gestione, di prezzo, di prelazione, di gradimento), quelle di garanzia tendono a garantire l’acquirente da passività potenziali o da attività inesistenti o minori, riferibili alla situazione aziendale ed imprenditoriale esistente al momento della cessione; è invece evidente che eventuali oneri e sopravvenienze future rientrano nell’ambito del normale rischio di impresa e non possono che gravare sul cessionario. Tali garanzie, da distinguere – a seconda della tecnica redazionale – in sintetiche o analitiche, possono salvaguardare il cessionario da generiche differenze negative, determinate da eventuali minusvalenze attive o plusvalenze passive rispetto alle risultanze di bilancio ad una certa data ovvero possono riguardare specificatamente determinate poste patrimoniali inserite in bilancio ovvero ancora possono riguardare gli sviluppi negativi derivanti da operazioni in essere al momento della cessione: le possibili opzioni negoziali sono innumerevoli e dipendono dal contenuto degli accordi.
In linea di massima, si possono individuare due tipi di garanzie: una relativa alla quota sociale oggetto del trasferimento (c.d. nomen verum) e una connessa alla situazione patrimoniale della società, le cui azioni/quote sono oggetto di cessione (c.d. nomen bonum); con riferimento alla prima, il cedente è tenuto solo a garantire che la partecipazione societaria ceduta è di sua proprietà e che ne può liberamente disporre, in assenza di vincoli, pesi o legami di sorta. Diverso è il discorso in relazione alla seconda garanzia, ricollegata al fatto che la partecipazione ceduta rappresenti effettivamente una determinata percentuale del capitale sociale e quel determinato valore economico, risultante dal bilancio (o, comunque, da una situazione patrimoniale) ad una certa data. In altre parole, questa seconda tipologia di clausole tende ad assicurare la consistenza patrimoniale e la capacità reddituale dell’impresa.
Il destinatario di una lettera di patronage è legittimato a proporre opposizione alla scissione della società patrocinante
A prescindere dalla qualificazione della lettera di patronage – come negozio atipico la cui conclusione si perfeziona tramite il meccanismo di cui all’art. 1333 c.c. o come vera e propria garanzia fideiussoria disciplinata dagli artt. 1936 e ss. c.c. – se dalla stessa risulta chiara e indiscutibile l’assunzione dell’obbligo in favore del destinatario di garantire il pagamento delle somme dovute dalla società patrocinata, e se tale dichiarazione [ LEGGI TUTTO ]