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I requisiti per la configurabilità dell’abuso di maggioranza ai fini dell’annullabilità della delibera

Gli elementi dell’abuso, che possono caratterizzare una decisione assembleare presa a maggioranza, sono da ritenere sussistenti laddove la delibera (i) comporti un pregiudizio ai soci di minoranza, (ii) senza alcun beneficio per la società, per la quale sarebbe stata indifferente l’adozione di una delibera alternativa, e (iii) senza che quella adottata trovi giustificazione in altro legittimo ed apprezzabile interesse della maggioranza: la ricorrenza di queste tre condizioni lascia fondatamente presumere che quella decisione sia stata adottata con l’unico scopo di arrecare danno ai soci di minoranza. [ Continua ]

Sulla prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 LF

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 146 LF, salvo che risulti diversamente, assomma in sé quella sociale (art. 2393 c.c.) e quella dei creditori (art. 2394 c.c.) - ciascuna mantenendo le caratteristiche sue proprie - e di conseguenza il diritto al risarcimento può considerarsi estinto solo se è decorso il termine quinquennale per ambedue le azioni. A tal riguardo il diritto al risarcimento che spetta alla società verso gli amministratori si estingue dopo cinque anni dalla cessazione del mandato di gestione, mentre il diritto al risarcimento che spetta ai creditori si prescrive in cinque anni dall’evidenza dell’insufficienza patrimoniale colpevolmente provocata dagli organi sociali. [ Continua ]
2 Dicembre 2023

Le gravi inadempienze che consentono l’esclusione del socio ex art. 2286 c.c.

Con riferimento alla sussistenza delle gravi inadempienze che consentono l’esclusione del socio, a norma dell’art. 2286 c.c., va osservato che il richiamo al principio secondo cui il socio possa essere legittimamente estromesso dalla compagine sociale ove egli sia inadempiente agli obblighi collaborativi propri dell’esecuzione secondo buona fede del contratto sociale, per sua natura fondato sull’affectio societatis, non può tradursi in una generica imputazione della violazione di detto obbligo collaborativo, dovendo detto inadempimento concretizzarsi in specifiche condotte commissive od omissive che da sole, ovvero unitariamente considerate, facciano ritenere la sussistenza dei gravi motivi di esclusione, dovendosi avere cura, tuttavia, di precisare che tra dette specifiche condotte non possono reputarsi rilevanti quelle che di per sé non siano certamente considerabili espressione di inadempimento degli obblighi sociali. Così, al fine di valutare la sussistenza dei gravi motivi posti a fondamento della delibera di esclusione, il cui onere della prova è gravante sulla società che abbia escluso il socio, è sicuramente necessario e corretto esaminare partitamente gli addebiti, escludendo dal novero di quelli rilevanti le condotte che non possono di per sé considerarsi inadempimento del contratto sociale, procedendo a valutare se gli addebiti rilevanti, che singolarmente possano anche non considerarsi particolarmente gravi, nella loro considerazione unitaria e complessiva della gravità assumano in modo tale da far ritenere che l’affectio societatis sia stata compromessa, in termini di lesione del rapporto fiduciario che è sotteso al contratto di società di persone che così si trovi in una situazione tale da rendere meno agevole il perseguimento dei suoi fini. L’inadempimento agli obblighi derivanti dal contratto o dalla legge a cui fa riferimento l’art. 2286 c.c. non si configura solamente nel caso in cui il socio ometta di eseguire prestazioni dallo stesso dovute in ragione del rapporto sociale, ma anche quando il medesimo socio eserciti in modo abusivo i suoi diritti, in modo appunto da violare i doveri di correttezza e buona fede propri dell’esecuzione del contratto associativo. [ Continua ]
29 Novembre 2023

Sulla natura dell’azione promossa dalla curatela contro l’organo gestorio e i requisiti del periculum in mora per il sequestro conservativo

Nell’ipotesi di azione promossa dalla curatela nei confronti degli organi gestori della società, la pretesa azionata per la quale la cautela è richiesta ha natura di credito risarcitorio per responsabilità contrattuale, in ragione della violazione dell’obbligo gestorio che l’amministratore ha nei confronti della società e relativo alla conservazione del suo patrimonio, azione che si cumula con quella dei creditori sociali, avente invece natura extracontrattuale. Di conseguenza, la curatela ha l’obbligo di allegare l’inadempimento imputato all’amministratore, così come ha l’onere di allegare e provare il danno derivante dall’inadempimento ed il nesso causale, essendo invece onere del convenuto, a mente dell’art. 1218 c.c., allegare e provare di avere adempiuto agli obblighi conservativi del patrimonio, il che si traduce nell’onere di allegare e provare che le condotte imputate e che hanno determinato un depauperamento patrimoniale della società siano state poste in essere negli interessi della società stessa. Quanto al periculum in mora per l'ottenimento di un sequestro conservativo, detto presupposto cautelare può essere indagato sia sotto il profilo eminentemente soggettivo, riferito alla stessa condotta inadempiente dell’amministratore che, in termini prognostici, possa far ritenere che il medesimo, nelle more del giudizio di cognizione, ponga in essere atti dispositivi del suo patrimonio volti a diminuire la garanzia generica di soddisfazione del credito risarcitorio vantato dalla procedura, così come può essere indagato sotto il profilo eminentemente oggettivo, riferito cioè alla oggettiva insufficiente consistenza del patrimonio rispetto alla verosimile consistenza del cautelando credito risarcitorio. [ Continua ]
29 Novembre 2023

L’onere della prova della finzione di avveramento della condizione ex art. 1359 c.c.

L’onere di provare l’avveramento della condizione grava su colui che affermi il suo verificarsi, anche nell’ipotesi di cui all’art. 1359 c.c. L'art. 1359 c.c., ovvero la finzione di avveramento della condizione nell’ipotesi in cui essa sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento, fonda la sua ratio, secondo il disposto dell’art. 1358 c.c., nell’inadempimento degli obblighi collaborativi della parte che, col proprio fatto, abbia cagionato il mancato avveramento, costituendo tale comportamento un inadempimento del dovere di comportarsi secondo buona fede in pendenza di condizione al fine di conservare integre la ragioni dell’altra parte. L’iscrizione al registro delle imprese di un atto giudiziale avente ad oggetto la titolarità di quote di S.r.l. non può essere ottenuta in ragione del principio di tassatività delle iscrizioni, ricavabile dalla disposizione di cui al primo comma dell’art. 2188 c.c., secondo la quale il registro delle imprese è deputato a ricevere “le iscrizioni previste dalla legge”, e della mancanza di una espressa previsione di iscrivibilità delle domande giudiziali relative alla titolarità di quote di S.r.l. nonché del correlativo effetto c.d. prenotativo. In particolare, l’art. 2470 c.c., al secondo comma, si limita a prescrivere deposito dell’atto di trasferimento di tali quote, senza fare alcuna menzione delle domande giudiziali inerenti la titolarità di quote di S.r.l. e, al terzo comma, a regolare la soluzione del conflitto tra più titolari di diritti incompatibili sulla stessa quota, risolvendo tale conflitto in favore di chi abbia per primo “effettuato in buona fede l’iscrizione nel registro delle imprese”. [ Continua ]
6 Settembre 2024

Revoca senza giusta causa dell’amministratore di s.r.l.

L’assemblea dei soci di una società a responsabilità limitata, in mancanza di diverse previsioni statutarie, ha il potere di rimuovere l’amministratore dalla carica, in qualunque tempo, salvo il diritto al risarcimento del danno se la revoca avviene senza giusta causa, in virtù dell'applicazione analogica della previsione di cui all'art. 2383, co. 3, c.c., che opera il contemperamento fra l’interesse della società a far gestire l’impresa da persona di sua persistente fiducia e l’interesse dell’amministratore a permanere in carica e percepire il relativo compenso sino alla scadenza naturale, riflettendo sostanzialmente il regolamento generale della revoca del mandato, di cui l’incarico di amministrazione costituisce una particolare specie, sancito dall’art. 1725, co. 1, c.c. La giusta causa è ravvisabile in qualsiasi fatto anche estraneo alla sfera giuridica dell’amministratore idoneo a minare la fiducia che deve costantemente permeare il rapporto fra l’organo gestorio e la compagine sociale che lo ha espresso e la sua ricorrenza deve, quindi, essere necessariamente valutata in seno all’assemblea dei soci ed enunciata compiutamente nella delibera che determina la cessazione del mandato gestorio. L’omessa indicazione nella delibera delle ragioni che hanno determinato l’assemblea dei soci a rimuovere e sostituire l’amministratore connota, quindi, già di per sé la revoca come priva di giusta causa, non potendo le carenze dell’atto deliberativo essere emendate nel corso del giudizio né l’assemblea essere sostituita dal giudice nella valutazione e ponderazione dell’incidenza dei fatti narrati dalla difesa della società sulla tenuta del rapporto fiduciario. Quanto alla liquidazione dell’ammontare del ristoro dovuto all’amministratore revocato senza giusta causa, non essendo l’esercizio di funzioni gestorie in alcun modo assimilabile al rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione, l’esistenza e consistenza del pregiudizio deve essere da lui provata in giudizio secondo le previsioni generali dell’art. 1223 c.c. e dell’art. 2967 c.c. e, in linea generale, si presume corrispondente alla perdita del compenso nel periodo necessario a reperire un nuovo incarico nel settore ad analoghe condizioni economiche. [ Continua ]
4 Novembre 2023

Il diritto di recesso del socio ex art. 2437, co. 1, lett. g), c.c.

L’eliminazione dallo statuto di una previsione che impone il raggiungimento di un quorum rafforzato per la nomina dell’amministratore delegato e del presidente e l’eliminazione di una che fa riferimento alla parità di genere all’interno del collegio sindacale sono modifiche non riguardanti direttamente i diritti di voto o di partecipazione che legittimano il socio, ai sensi dell’art. 2437, co. 1, lett. g), c.c., ad esercitare il recesso dalla società. Entrambe le modifiche, infatti, migliorano la condizione soggettiva del socio, perché, nel primo caso, si consente più agevolmente di addivenire a una decisione in ordine all’elezione dei componenti cardine dell’organo amministrativo e, nella seconda ipotesi, viene ampliata la libertà di scelta dei componenti. In tema di recesso dalle società di capitali, la delibera assembleare che muti il quorum per le assemblee straordinarie, riconducendolo a previsione legale, non giustifica il diritto del socio al recesso ex art. 2437, lett. g), c.c., perché l’interesse della società alla conservazione del capitale sociale prevale sull’eventuale pregiudizio di fatto subito dal socio, che non vede inciso, né direttamente né indirettamente, il suo diritto di partecipazione agli utili ed il suo diritto di voto a causa del mutamento del quorum. Determina l’annullamento della deliberazione di modifica dello statuto sociale per mancato rispetto dell’art. 2437 ter, co. 5, c.c. la mancata informativa degli amministratori dovuta ai soci che hanno diritto di conoscere la determinazione del valore delle proprie azioni, ma non la mera inerzia degli amministratori, che comporta soltanto la possibilità per il socio di attivare il procedimento di cui al sesto comma dell’articolo. La delibera assembleare di modifica dello statuto determinata esclusivamente dalla necessità di adeguare lo stesso a un nuovo testo normativo non fa sorgere il diritto di recesso. L’abuso di maggioranza sussiste di fronte alla consapevole e fraudolenta attività del socio di maggioranza volta al perseguimento dell’unico fine di trarre un vantaggio personale a danno degli altri azionisti che si concreta, quindi, nell’inosservanza del dovere di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., rendendo annullabile la delibera adottata. Si tratta di deliberazioni formalmente consentite dalla norma, ma invalide per violazione di clausole generali (appunto, i principi di correttezza e buona fede) che, come tali, risultano residuali rispetto a fattispecie tipiche. L’art. 2449 c.c. riconosce la possibilità che a singoli soci pubblici sia riservato il diritto di nomina di esponenti aziendali, ma non regola invece la diversa fattispecie in cui una clausola statutaria faccia riferimento (non a singoli soci individuati, ma più genericamente) a “soci pubblici”, senza ulteriore determinazione. [ Continua ]
4 Ottobre 2024

Liquidazione del danno ex art. 2486, co. 3, c.c.: applicazione retroattiva e presunzione assoluta nel criterio del deficit fallimentare

Non può porsi alcun problema di applicazione retroattiva dell’art. 2486, co. 3, c.c. in tema di liquidazione del danno alla luce della consolidata esegesi giurisprudenziale della disciplina previgente, trattandosi di semplice traduzione legislativa di un principio giurisprudenziale di applicazione consolidata. Particolarmente significativa dell’esatta portata della codificazione è la differenza nella formulazione tra il primo e il secondo periodo del nuovo terzo comma dell’art. 2486 c.c.: mentre per il caso di responsabilità dell’amministratore da prosecuzione dell’attività di impresa in presenza di scritture contabili che consentano di ricostruire la situazione patrimoniale della società il danno è, con presunzione sino a prova contraria, individuato nella cosiddetta differenza tra i netti patrimoniali – ossia nella differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l'amministratore è cessato dalla carica o è stata aperta una procedura concorsuale e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all'art. 2484 c.c., detratti i costi sostenuti o da sostenere per la liquidazione secondo un criterio di normalità –, nell’ipotesi di accertata responsabilità dell’amministratore, ma in mancanza di scritture contabili che consentano la quantificazione dei netti patrimoniali, il dato letterale appare, in una dimensione di fatto quasi sanzionatoria, superare il regime della presunzione iuris tantum istituendo un criterio di liquidazione legale: il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura. Ravvisare nella nuova formulazione dell’art. 2486, co. 3, c.c. la previsione di un criterio legale di liquidazione del danno, nell’ipotesi di assenza o irregolarità delle scritture contabili, se da un lato favorisce il conseguimento dell’obiettivo deflattivo e acceleratorio avuto di mira dal legislatore ed enunciato nella relazione illustrativa di accompagnamento alla riforma, dall’altro non è esito interpretativo privo di conseguenze. Se, infatti, il criterio in parola stabilisce una misura legale del danno risarcibile, questo semplifica e alleggerisce notevolmente l’onere della prova gravante sul danneggiato chiamato a dimostrare solo la potenzialità lesiva della condotta dell’amministratore, ma preclude sia la possibilità per l’amministratore convenuto di offrire una prova contraria, sia la possibilità per il fallimento attore di ottenere il risarcimento di un danno diverso ed ulteriore rispetto a quello quantificabile alla stregua del confronto tra l’attivo e il passivo fallimentari. L’applicazione del criterio di liquidazione legale del danno previsto dall’art. 2486, co. 3, c.c. secondo periodo, preclude al curatore di ottenere la liquidazione di ulteriori somme a titolo di risarcimento che si risolverebbe, peraltro, nella duplicazione di poste già comprese nella differenza tra l’attivo e il passivo fallimentare. L’art. 651 c.p.p. attribuisce alla sentenza penale irrevocabile di condanna efficacia di giudicato, anche nel giudizio civile di risarcimento del danno, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l'imputato lo ha commesso. Ogni valutazione in ordine alla sussistenza del danno e al nesso di causalità tra condotta ed evento lesivo, nonché alla liquidazione dell’entità del risarcimento dovuto è rimessa, invece, esclusivamente al giudice civile, il quale deve verificare che la condotta penalmente rilevante già accertata abbia anche cagionato una lesione del patrimonio sociale costituente danno risarcibile. [ Continua ]

Il pegno di quote di s.r.l. si costituisce con l’iscrizione dell’atto al registro delle imprese

La costituzione in pegno delle quote di società a responsabilità limitata è soggetta al disposto della norma dell’art. 2806 c.c., sicché il diritto di pegno risulta costituito con l’iscrizione del relativo atto nel registro delle imprese. Secondo l’impianto codicistico della disciplina del pegno, infatti, di cui agli articoli 2784 e seguenti, le partecipazioni di s.r.l. rientrerebbero nella normativa sui diritti diversi dai crediti di cui all’articolo 2806. Ai sensi di tale norma, il pegno di diritti diversi dai crediti si costituisce nella forma rispettivamente richiesta per il trasferimento dei diritti stessi, fermo restando il disposto del terzo comma dell’articolo 2787. Il trasferimento della partecipazione nel caso di s.r.l. è regolato dall’articolo 2470 del codice civile secondo cui il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal momento del deposito di cui al successivo comma. L’atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato entro 30 giorni, a cura del notaio autenticante, presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. Il diritto di pegno su quote, pertanto, si costituisce soltanto con l’iscrizione dell’atto costitutivo presso il registro delle imprese. Da tale momento l’atto costitutivo esprime la sua efficacia rendendo il diritto di pegno opponibile a terzi. [ Continua ]
19 Febbraio 2023

Presupposti dell’istanza cautelare di revoca ante causam dell’amministratore

Il fumus boni iuris e il periculum in mora per la revoca dell’amministratore di s.r.l. andrebbero indirizzati sui presupposti di merito dell’azione di responsabilità, vale a dire la fondatezza della contestazione circa l’inadempimento e il pericolo che le ulteriori condotte scorrette dell’amministratore aggravino il danno della società, per il risarcimento del quale si agisce in via principale. Ciò in quanto l’azione ex art. 2476, co. 3, c.c. consente l’adozione di una misura cautelare tipizzata meramente strumentale e preventiva all’azione sociale di responsabilità prevista dal medesimo articolo, avente contenuto solo risarcitorio, dovendosi escludere l’esistenza di un diritto sostanziale del socio alla revoca degli amministratori dalla loro carica. Il concetto di “grave irregolarità”, ai fini della proposizione dell’istanza, anche in via cautelare ed urgente, dell’amministratore di s.r.l., deve essere mutuato dalla legge. Sebbene la norma parli di irregolarità “di gestione” non è dubbio che tale termine debba ritenersi comprensivo dell’inadempimento di tutti gli obblighi amministrativi che fanno capo all’amministratore per legge o per statuto, dunque non solo quelli strettamente gestionali, ma anche quelli relativi al funzionamento dell’organizzazione societaria, cioè gli adempimenti o atti di impulso concernenti i rapporti con i soci o con gli altri organi sociali, che gli amministratori sono tenuti a compiere per legge o per obbligo statutario. Quanto al periculum in mora, è sufficiente osservare che la situazione di prolungata assoluta inerzia posta in essere dall’amministratore compromette gravemente l’operatività della società ed è potenzialmente foriera di gravi danni economici per la stessa. Con particolare riferimento alla mancata approvazione dei bilanci per diversi anni consecutivi, detta grave violazione dei doveri inerenti alla carica risulti foriera di pregiudizi per il patrimonio sociale, dato che, in mancanza di un’aggiornata rendicontazione della situazione economico-patrimoniale, l’organo amministrativo prosegue nell’attività gestoria senza ordine, creando per di più una situazione idonea a scoraggiare i terzi dall’intraprendere rapporti negoziali con la società, perché essi rimangono privi di informazioni ufficiali, anche in ordine all’assolvimento degli obblighi in materia fiscale. [ Continua ]