23 Maggio 2022

Sospensione cautelare dell’esecuzione della deliberazione assembleare

La sospensione dell’esecuzione di una delibera assembleare di una società di capitali costituisce una misura cautelare tipica, in quanto espressamente prevista dal terzo comma dell’art. 2378 c.c. e richiede la contemporanea sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris, inteso quale verosimiglianza di fondatezza della domanda, e del periculum in mora, da accertarsi attraverso la comparazione tra il pregiudizio che illegittimamente l’opponente potrebbe subire per effetto dell’esecuzione di una delibera invalida e quello che, legittimamente, potrebbe patire la società per effetto della sospensione di tale esecuzione.

Al fine di valutare la sussistenza del presupposto del periculum in mora, occorre effettuare un bilanciamento tra l’interesse ad agire in via cautelare del socio e quello a resistere della società, al fine di salvaguardare la stabilità degli atti della società adottante il provvedimento, che deve ritenersi essenziale per il buon funzionamento dell’impresa collettiva sul mercato. In particolare, l’interesse della società alla continuità e alla stabilizzazione dell’organizzazione dell’impresa costituisce parte integrante e determinante della suddetta valutazione comparativa.

19 Maggio 2022

L.c.a. delle banche venete: regime di invalidità ex art. 2358 c.c. ed interesse ad agire

La violazione dell’art. 2358 c.c. – applicabile anche alle banche popolari – da sola non delinea una illiceità ex art. 1343 c.c., non contenendo l’art. 2358 c.c. un divieto assoluto ascrivibile alla materia delle norme imperative, ma “solo” una norma inderogabile, la cui violazione genera nullità del contratto e semplicemente la annullabilità, ai sensi dell’art. 1972, co. 2 c.c., della transazione che sia fatta su di esso, a beneficio del solo contraente ignaro della causa di nullità.

Sussiste interesse attoreo e procedibilità della domanda – non essendo l’interesse soddisfacibile in sede fallimentare – quando la parte attrice agisce per ottenere l’accertamento della nullità del finanziamento funzionalmente collegato alle operazioni di commercializzazione di azioni, finalizzata ad ottenere accertamento di non debenza da parte sua dell’adempimento contrattuale, ossia del pagamento delle rate di rimborso.

18 Maggio 2022

Sulla liquidazione delle spese di lite in caso di sostituzione della deliberazione impugnata ex art. 2377, co. 8, c.c.

In tema di impugnazione di deliberazioni dell’assemblea dei soci, a norma dell’art. 2377, co. 8, c.c. l’annullamento della deliberazione non può aver luogo se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto; in tal caso il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società. Tale disposizione costituisce una chiara esplicazione del principio di causalità, in forza del quale le spese del giudizio devono essere poste a carico della parte che ha dato ingiustamente causa alla lite, e ha portata generale, risultando applicabile anche all’impugnazione della determina dell’organo amministrativo, normativamente regolata dagli artt. 2377 e 2378 c.c. in quanto compatibili, ai sensi dell’art. 2388, co. 4, c.c.

L’art. 2377 c. 8 c.c. riguarda, testualmente, il solo caso della sostituzione della deliberazione impugnata con altra conforme a legge o statuto, ma non v’è ragione di trattare diversamente il caso della pura e semplice revoca, perché la delibera (o la determina dell’organo amministrativo) semplicemente non avrebbe potuto essere adottata, perché esorbitante dalle competenze dell’organo amministrativo o priva dell’autorizzazione dell’assemblea dei soci richiesta per statuto.

16 Maggio 2022

Non sussiste recesso ad nutum in caso di s.p.a. contratta a tempo determinato, sia pure lontano nel tempo

In tema di recesso dei soci di s.p.a. a tempo indeterminato non quotate in un mercato regolamentato, l’art. 2437 co. 3, c.c. prevede – con disposizione inderogabile – il diritto di recesso ad nutum del socio con preavviso di almeno centottanta giorni, termine che può essere ampliato per Statuto fino ad un anno. La ratio sottostante a tale strumento con efficacia estintiva del vincolo negoziale – quale espressione di un principio più generale nella materia contrattuale in presenza di un vincolo perpetuo – risiede nell’esigenza di tutelare la minoranza e di temperare la potenziale durata perpetua del vincolo sociale, attraverso il disinvestimento del socio. Dunque, il socio di società avente durata indeterminata può esercitare il suo diritto di exit con il solo onere di trasmetterne comunicazione, con un preavviso di almeno centottanta giorni, alla società. Nel caso invece di società a tempo determinato, il recesso è subordinato invece al ricorrere di una delle cause previste nel catalogo di cui all’art. 2437 c.c.

Seppure vi siano orientamenti interpretativi diretti a equiparare, rispetto al regime del recesso, a una società di durata indeterminata quella costituita con durata, sì, determinata, ma con un termine significativamente remoto, tale equiparazione non è corretta, neppure quanto il termine sia talmente lontano da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo. Ciò in quanto, in primo luogo, non si ricava dalla lettera dell’art. 2437 c.c. un’assimilazione tra durata indeterminata e determinata, anche ove particolarmente lunga; tale equiparazione, poi, non è giustificata neppure dall’interpretazione del contratto sociale secondo la volontà delle parti. Inoltre, la ratio della disciplina del recesso, costituendo un rimedio idoneo a determinare un depauperamento della società, è meritevole di interpretazione restrittiva. Infine, è escluso il carattere elusivo della durata secondo statuto eccessivamente lunga, attesa l’assenza di un parametro oggettivo e predefinito per esprimere un giudizio certo rispetto a tale elemento contrattuale, che non può essere identificato né nella durata della vita umana – posta la mancata assimilazione a quanto previsto dall’art. 2285 c.c. – né nella tipologia dell’oggetto sociale – di norma riferito ad attività imprenditoriali di per sé suscettibili di sviluppo per un tempo indeterminabile. In ogni caso, sono salve le ipotesi in cui il termine sia in assoluto elusivo, apparente o insignificante, ossia quando esso esorbiti qualsiasi ragionevole previsione di durata della società stessa come persona giuridica, risultando in sé stesso del tutto arbitrario e irrazionale (come, ad esempio, nel caso di un termine di durata da oggi sino all’ anno 2324). In tale ipotesi, è giustificata l’applicazione della disciplina della società a tempo determinato in tema di recesso.

9 Maggio 2022

Responsabilità dell’amministratore e compensatio lucri cum damno

Il rimedio della compensatio lucri cum damno consente di tener conto delle conseguenze positive e immediate della condotta illecita, qualora producano un vantaggio economico al danneggiato. Tale strumento trova applicazione soprattutto nei casi in cui, in virtù di un fatto illecito al danneggiato spetti, oltre al risarcimento del danno, anche un altro indennizzo o beneficio patrimoniale, individuabile sulla base dell’entità del danno da risarcire. Si tratta, più in generale, di una figura che trova riferimento normativo nell’art. 1223 c.c., che riconduce al risarcimento del danno solo la perdita subita, come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. Poiché il risarcimento, attesa la sua natura compensativa e non punitiva, non deve essere fonte di arricchimento per la vittima e la sua misura non deve quindi superare quella dell’interesse leso, è necessario tener conto dei benefici entrati nella sfera del danneggiato: la natura differenziale del danno – attesa la sua funzione compensativa – impone insomma di includere nel giudizio risarcitorio non solo le componenti negative elencate dall’art. 1223 c.c. (la perdita e il mancato guadagno), ma anche le componenti positive (il guadagno e la mancata perdita).

30 Aprile 2022

Effetti dell’accordo transattivo nei confronti degli altri amministratori convenuti in solido e onere di produzione da parte del creditore

In tema di società di capitali, la delibera assembleare con la quale è autorizzato il promovimento dell’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. deve contenere l’individuazione degli elementi costitutivi dell’azione, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.

E’ onere del creditore che abbia concluso nel corso del giudizio una transazione che ha sciolto il vincolo di solidarietà con solo alcuni dei debitori in solido convenuti produrre in causa la transazione per dimostrare il quantum della sua residua obbligazione verso i debitori non transigenti; l’omessa produzione della transazione implica sul piano della prova la mancata dimostrazione del quantum della obbligazione risarcitoria su cui il Tribunale è chiamato a pronunciare la condanna: senza la produzione della transazione o in altro modo offrire la prova del suo contenuto non è dato al giudice determinare il quantum della obbligazione residua cui i convenuti devono essere condannati.  Infatti, “ove la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideate di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’ accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.” (Cass SU 30174/2011).

Relativamente alle domande risarcitorie per responsabilità contrattuale, il criterio di riparto dell’onere di allegazione e prova dei fatti costitutivi è regolato dagli artt. 1218 e 2697 cc e dal principio della vicinanza della prova, in forza dei quali spetta a chi agisce in risarcimento allegare e provare la fonte legale o convenzionale dell’obbligazione che si assume totalmente o parzialmente inadempiuta, la condotta, il danno ed il nesso causale tra la prima e il secondo; incombe, invece, al convenuto provare di avere adempiuto esattamente o di non avere potuto adempiere per causa a sé non imputabile, ovvero altri fatti idonei a paralizzare la pretesa attorea [nel caso in esame, la Società attrice, aveva dunque l’onere – per provare il suo credito risarcitorio verso i convenuti coobbligati in solido rimasti in causa – di produrre in giudizio gli accordi transattivi intervenuti e ciò al fine di dimostrare il residuo danno oggetto del petitum; omettendo la produzione delle transazioni l’attrice è venuta meno all’onere di fornire elementi a sua disposizione e necessari per provare il quantum del residuo danno nel suo preciso ammontare. Né può presumersi che i co debitori transigenti abbiano transatto per un importo non superiore alla loro quota di responsabilità, potendosi apprezzare tale elemento solo in concreto alla luce del contenuto della transazione in relazione all’apporto causale della condotta di ciascun transigente].

30 Aprile 2022

Rinuncia al compenso dell’amministratore per causa esterna e revoca per giusta causa

Il carattere oneroso per la società della funzione di amministratore è stabilito dall’art. 2389 c.c., essendo tuttavia possibile la rinuncia, competendo alla assemblea la relativa deliberazione, con facoltà di liquidazione giudiziaria in difetto. La rinuncia stessa si presenta formalmente quale una remissione del debito (art. 1236 c.c.), ovvero come negozio unilaterale cui la legge, alla condizione della sussistenza effettiva del rapporto obbligatorio, della piena volontarietà della remissione e della inequivoca comunicazione, fa discendere l’estinzione dell’obbligazione rimessa a prescindere da una causa specifica, con ciò derogando, settorialmente, al principio di causalità, come possibile unicamente, in ambito patrimoniale, per i negozi unilaterali tipici (art 1987 c.c.). Il carattere astratto della rimessione non è tuttavia un carattere necessario, ma solo una potenzialità di legge e nulla esclude che, invece, la remissione sia dotata di causa esterna e che si configuri come momento attuativo di un diverso negozio, in primis di un contratto. In tal caso, l’effetto della remissione resta collegato al contesto negoziale in cui la stessa si colloca. In ogni caso, tra le condizioni di una valida remissione vi è anche la piena consapevolezza del quadro di fatto relativo ai rapporti tra le parti nel momento in cui la dichiarazione viene fatta. Inoltre, è espressamente ammessa la rinunzia condizionata al credito, essendo evidente che la causa esterna della rinuncia possa essere riguardata, quantomeno, come condizione implicita della stessa.

In materia di giusta causa di revoca ante tempus degli amministratori di società di capitali, stante la competenza dell’organo assembleare, è stato stabilito un principio di fissità della contestazione, ricavabile per via indiretta. I motivi di revoca sarebbero in teoria liberamente apprezzabili anche a posteriori e, in effetti, la contestazione non esige termini. Tuttavia, posto che il decisone è l’assemblea, i motivi rilevanti restano fissati in quelli che l’assemblea stessa ha effettivamente preso in considerazione. In generale, non è ammessa come giusta causa la mera modifica strutturale dell’organo per ragioni organizzativa. Il tutto evidentemente al fine di non consentire aggiramenti facilissimi di altri limiti, e comunque addossando all’azienda il rischio economico della revisione delle sue deliberazioni in ordine alla composizione del vertice. In ordine alle ragioni soggettive, è ammessa un’ampia libertà da parte della società nella valutazione degli elementi in grado di far cessare il rapporto fiduciario, essendo richiesta la sola condizione di un contenuto oggettivo minimo, il quale consenta una sia pur essenziale valutazione obiettiva di scorrettezza (una valutazione diversa, e anche minore, dell’inadempimento). Il tutto al fine di distinguere l’ipotesi da quella del nutum prevista solo da disposizioni speciali. Infine, la mera contrapposizione di interessi e la reciproca difesa di diritti non è mai considerata giusta causa di revoca, per l’ovvia necessità di non compromettere diritti ammettendo la possibilità di una reazione abnorme alla loro difesa.

20 Aprile 2022

La giusta causa di revoca dell’amministratore di s.p.a.

La giusta causa di revoca dalla carica di amministratore è integrata da circostanze sopravvenute, provocate o meno dall’amministratore, obiettivamente valutabili come idonee a minare la fiducia inizialmente riposta dalla società e dai soci sulle sue attitudini e capacità gestionali. La giusta causa si riferisce ad una categoria di circostanze più ampia dei fatti integranti l’inadempimento ai doveri della carica o le irregolarità di gestione, che si dilata a comprendere anche eventi sopravvenuti alla nomina, estranei alla sfera dell’amministratore ed avulsi dalla sua condotta, purché obiettivamente valutabili come idonei a mettere in dubbio la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore e, quindi, a minare l’originario rapporto fiduciario.

Le circostanze rilevanti ai fini della sussistenza della giusta causa sono solo quelle specificamente enunciate nella deliberazione di revoca dell’assemblea senza alcuna possibilità di integrazione nel corso del processo, ove dovranno anche essere provate dalla società nella loro effettiva esistenza, quali elementi costitutivi del suo diritto a recedere senza conseguenze risarcitorie o indennitarie.

La clausola statutaria di esclusione del diritto dell’amministratore al risarcimento del danno nell’ipotesi di revoca dalla carica senza giusta causa, previsto dall’art. 2383 co. 3, c.c., costituisce una sorta di regolamento preventivo e generale del rapporto contrattuale che sorge tra la società e l’amministratore al momento dell’accettazione della carica, valida ed efficace anche nei confronti del terzo designato, in quanto diretta ad incidere su un diritto disponibile a cui l’interessato può rinunciare attraverso l’accettazione dell’incarico, che necessariamente comporta l’adesione alla previsione statutaria che lo riguarda. Nulla vieta, tuttavia, alla società di adottare una regolamentazione diversa e specifica del rapporto in occasione della nomina di un determinato soggetto – riconoscendo all’amministratore, soggetto al potere della società di recidere il rapporto anche senza alcuna motivazione, il diritto a percepire un indennizzo predeterminato che funga, come una sorta di multa penitenziale, da corrispettivo per l’esercizio da parte della società della legittima facoltà di recesso senza limiti dal rapporto fiduciario –, attraverso la conclusione di accordo speciale che deroghi o modifichi la previsione statutaria generale.

14 Aprile 2022

Azione personale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali

L’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c., in tema di s.p.a., e l’art. 2476, co. 7, c.c., in tema di s.r.l., esigono che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società. La mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.

Modalità di accertamento della responsabilità risarcitoria a carico degli amministratori

L’accertamento giudiziale della responsabilità degli amministratori di una società di capitali è soggetto ad alcuni limiti, usualmente indicati con l’espressione business judgment rule (cfr., da ultimo, Cass., 15 luglio 2021, n. 20252).

In particolare, qualora l’operato degli amministratori non contrasti con specifiche norme di legge o di statuto, risultando invece solo genericamente pregiudizievole per la società, si richiede, ai fini dell’accertamento di una responsabilità risarcitoria a carico degli amministratori, che le decisioni assunte siano, già in una prospettiva ex ante, riconoscibili come errate da una persona dotata del grado di diligenza parametrato alla natura dell’incarico e alle competenze specifiche di ciascun amministratore.

Il che si traduce nella possibilità di configurare una responsabilità a carico degli amministratori esclusivamente rispetto a quelle condotte che, nel momento in cui sono state poste in essere, possano apparire avventate o imprudenti, vuoi perché contrarie a canoni di ragionevolezza, vuoi perché assunte in difetto delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive normalmente richieste in relazione alla scelta da compiersi (nella specie la Corte di Appello, in riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto foriero di responsabilità il comportamento dell’amministratore che, versando un sostanzioso acconto per un contratto, non aveva preteso l’inserimento di clausole specifiche a tutela della società)