Art. 5 l.fall.
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Obbligo di tenuta delle scritture contabili, illegittima prosecuzione dell’attività, finanziamento soci
La violazione dell’obbligo di tenuta delle scritture contabili da parte degli amministratori non è di per sé sola sufficiente ad integrare un materiale pregiudizio nella sfera patrimoniale della società tale da giustificare sic et simpliciter il riconoscimento del risarcimento del danno che assumerebbe in questo modo natura e finalità sanzionatoria rispetto alla violazione formale, essendo a tal precipuo fine necessario che un danno si sia prodotto e che sia a tale condotta eziologicamente connesso.
Dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato quale era in precedenza alla realizzazione dello scopo sociale, onde gli amministratori non possono più utilizzarlo a tal fine, ma sono abilitati a compiere soltanto agli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando ad essi inibito il compimento di nuovi atti di impresa atti a porre a rischio il diritto dei creditori sociali a soddisfarsi sul patrimonio sociale.
Il finanziamento del socio deve essere postergato quando, secondo un giudizio di prognosi postuma, nel momento in cui venne concesso, era altamente probabile che la società, rimborsandolo, non sarebbe stata in grado di soddisfare regolarmente gli altri creditori.
Il liquidatore è tenuto ad attivarsi per impedire l’aggravamento del dissesto a tutela dei creditori
In tema di fallimento, l’organo di gestione dell’ente collettivo, sia esso amministratore o liquidatore, è obbligato ad agire in maniera tale da non ritardare la dichiarazione di insolvenza della società e a non aggravarne il dissesto, pena la violazione del precetto penale di cui al combinato degli artt. 217, co. 1, n. 4, e 224 l. fall. Il ricorso fallimentare del debitore in proprio nel caso in cui questi sia una società deve essere presentato dall’amministratore dotato del potere di rappresentanza legale. Esso non necessita di alcuna autorizzazione assembleare.
I liquidatori hanno il potere-dovere di compiere tutti gli atti necessari per la liquidazione e l’assemblea può intervenire per delimitare o indirizzarne l’attività. Il liquidatore, quale rappresentante legale dell’ente, può agire tempestivamente nella richiesta di fallimento in proprio, in ciò consistendo, in assenza di valide alternative negoziali, la migliore forma di liquidazione possibile.
Deve inferirsi dal sistema l’esistenza di una regola generale che prescrive al liquidatore della società di attivarsi diligentemente per impedire un aggravamento del dissesto, in funzione di tutela dei creditori che vantano sul patrimonio sociale la garanzia generica dei loro crediti. Regola generale che trova conferma attuale nel sistema di emersione tempestiva della crisi congegnato dal codice della crisi e dell’insolvenza.
L’insolvenza di una società in liquidazione si misura sotto il profilo patrimoniale e non sotto quello finanziario. È, cioè, insolvente quella società che, posta in liquidazione, non è in grado con il suo patrimonio di soddisfare tutti i creditori. Infatti, quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 l. fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività e alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte.
Il curatore, quando agisce ai sensi dell’art. 146 l. fall., cumula tanto l’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c., quanto l’azione dei creditori ex art. 2394 c.c. Il curatore è, dunque, legittimato a pretendere il risarcimento del danno che il patrimonio della società ha subito per effetto della condotta inadempiente del liquidatore
Anche la condotta gestoria del liquidatore beneficia del metro di giudizio della business judgement rule, in forza della quale ciò che forma oggetto di sindacato da parte del giudice non è la convenienza e/o l’utilità dell’atto in sé, né il risultato che abbia eventualmente prodotto, bensì le modalità di esercizio del potere discrezionale spettante agli amministratori, che per essere immuni da critiche non devono travalicare i limiti della ragionevolezza.
Dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori sociali
L’azione dei creditori sociali si prescrive, ex art. 2949 c.c., nel termine di cinque anni, che decorre non dal momento del compimento degli atti gestori lesivi commessi dall’amministratore, bensì da quello (diverso e successivo) dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori sociali, dell’insufficienza del patrimonio della società ai fini del soddisfacimento delle loro ragioni di credito. Tale dies a quo non coincide necessariamente con la messa in liquidazione della società il cui amministratore è stato convenuto, in quanto la liquidazione può essere determinata alternativamente da una delle diverse cause di cui all’art. 2484 c.c. e rappresenta una fase in cui la società destina l’attivo proprio all’estinzione dei debiti sociali, in vista della chiusura dell’impresa. Il dies a quo non coincide necessariamente neppure con la data della notifica, da parte dei creditori-attori, di una diffida ad adempiere alla società, in quanto l’inadempimento di un’obbligazione da parte della società potrebbe dipendere dalle più svariate ragioni e non preludere necessariamente una situazione di incapienza patrimoniale. Il dies a quo può invece correttamente essere individuato nel giorno dell’infruttuoso esperimento di una procedura di espropriazione, promossa dai creditori, in quanto da tale momento può parlarsi con certezza di insufficienza del patrimonio sociale ai fini del soddisfacimento del credito.
Può essere considerato responsabile di atti di mala gestio, ai sensi dell’art. 2394 c.c., l’amministratore che ha compiuto un’operazione che si presentava ex ante come imprudente e incauta, in quanto conclusa con una società appena costituita e priva di patrimonio, con la cessione integrale dei propri unici asset immobiliari, in mancanza di garanzie, reali o personali.
Prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori sociali
L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c. promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l.fall. è soggetta a prescrizione che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica, non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 l.fall., derivante, in primis, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito.
In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando pertanto all’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale.
La disciplina prevista dall’art. 2497 c.c. delinea un’ipotesi di responsabilità solidale della società, che abbia abusato dell’attività di direzione e coordinamento, e della persona fisica, che abbia reso parte al fatto lesivo. Ciò non implica, tuttavia, un litisconsorzio necessario dei condebitori in solido, essendo proprio il carattere solidale dell’obbligazione risarcitoria a escludere la configurabilità di un rapporto unico e inscindibile tra i soggetti che abbiano concorso alla produzione del danno. Ne segue che il creditore può discrezionalmente proporre la domanda risarcitoria anche nei confronti di solo uno o solo alcuni dei condebitori in solido.
Dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c., prosecuzione dell’attività gestoria in presenza di una causa di scioglimento e azione revocatoria verso atto dispositivo a danno dei creditori
L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l.fall., è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non dell’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato di insolvenza di cui all’art. 5 l.fall., derivante, in primis, dall’indisponibilità di ottenere ulteriore credito. In ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.
La prosecuzione dell’attività gestoria, pur in presenza di una causa di scioglimento della società, non può essere di per sé considerata causa dell’aggravamento del dissesto finanziario di una s.r.l., poi fallita, poiché alcune condotte degli amministratori, potrebbero valutarsi, con un giudizio da farsi necessariamente “ex ante”, ai fini della prova della responsabilità verso la società ed i creditori sociali, del tutto neutre, se non addirittura in alcuni casi positive nell’evitare alla società perdite ancor più gravi.
Riguardo invece al tema della revocatoria, quando occorre giudicare in ordine alla anteriorità del credito o della ragione di credito rispetto all’atto dispositivo impugnato, ai fini dell’art. 2901, comma 2, c.c. occorre fare riferimento non già al momento in cui il credito venga accertato in giudizio, bensì a quello in cui si è verificata la situazione di fatto alla quale il credito stesso si ricollega. Ed invero l’azione revocatoria non persegue specificatamente scopi restitutori, quanto piuttosto mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori compresi quelli meramente eventuali. Quanto all’elemento soggettivo, c.d. scientia damni, allorché l’atto dispositivo sia successivo all’insorgere del credito, l’unica condizione richiesta è che il debitore fosse a conoscenza del pregiudizio per le ragioni del creditore e trattandosi di atto a titolo oneroso, che di esso fosse consapevole anche il terzo acquirente. Tale requisito, può essere provato anche a mezzo di presunzioni, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra debitore e terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente.
Azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare. In particolare, la prescrizione
Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento dell’ente confluiscono nell’unica azione di responsabilità, esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall., la quale, assumendo contenuto inscindibile e connotazione autonoma rispetto alle prime – attesa la ratio ad essa sottostante, identificabile nella destinazione, impressa all’azione, di strumento di reintegrazione del patrimonio sociale, unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali – implica una modifica della legittimazione attiva di quelle azioni, ma non ne muta i presupposti. Ne consegue che i fatti addotti a fondamento della domanda identificano l’azione in concreto esercitata dal curatore e, in particolare, la disciplina in materia di prova e di prescrizione, quest’ultima in ogni caso quinquennale, ma, se fondata sulle circostanze idonee ad attivare l’azione sociale, con decorrenza non dal momento in cui l’insufficienza patrimoniale si è manifestata come rilevante per l’azione esperibile dai creditori, bensì dalla data del fatto dannoso e con applicazione della sospensione prevista dall’art. 2941, n. 7, c.c., in ragione del rapporto fiduciario intercorrente tra l’ente ed il suo organo gestorio.
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. cumula inscindibilmente i presupposti e gli scopi sia dell’azione sociale di responsabilità – la quale si ricollega ad una violazione da parte degli amministratori nell’esercizio delle loro attribuzioni di specifici obblighi di derivazione legale o pattizia che si sia tradotta in un pregiudizio per il patrimonio sociale –, sia dell’azione spettante ai creditori sociali ex art. 2394 c.c. – che integra una fattispecie di responsabilità extracontrattuale e tende alla reintegrazione del patrimonio sociale diminuito dall’inosservanza degli obblighi facenti capo all’amministratore.
L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società, esperibile dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall., è soggetta alla prescrizione quinquennale, con decorso, in base alla norma generale di cui all’art. 2935 c.c., dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e, cioè, quanto all’azione sociale di responsabilità, dal giorno in cui sono percepiti i fatti dannosi posti in essere dagli amministratori e il danno conseguente e, quanto all’azione dei creditori sociali, dal giorno in cui si è manifestata, divenendo concretamente conoscibile, l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i loro crediti. In particolare, con riferimento all’azione dei creditori sociali, la prescrizione decorre non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, ma dal successivo momento dell’oggettiva conoscibilità del dato di fatto costituito dall’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti sociali – anche se lo stesso sia stato in concreto ignorato – come si ricava con certezza dall’art. 2394 c.c., che subordina la proponibilità dell’azione al manifestarsi dell’evento dannoso, e cioè dal momento che, non coincidendo con il determinarsi dello stato di insolvenza, ben può risultare anteriore o posteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento nelle varietà delle fattispecie concrete.
L’insufficienza patrimoniale, che assume rilievo ai fini della decorrenza della prescrizione, è data dall’eccedenza delle passività sulle attività: tale situazione si distingue, quindi, dall’insolvenza, che costituisce il presupposto per la dichiarazione di fallimento ed è determinata dall’impossibilità per il debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni che, come tale, non implica necessariamente un’eccedenza delle passività sulle attività e può anche essere determinata da una situazione di semplice illiquidità. L’insufficienza patrimoniale può manifestarsi anche prima della dichiarazione di fallimento. In tali casi, l’onere della prova incombe su colui il quale eccepisca l’intervenuta prescrizione.
Legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità dei creditori nei confronti degli amministratori in costanza di concordato preventivo
In costanza di concordato preventivo, i creditori sociali mantengono la propria legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori giacchè questi, il cui patrimonio è addizionale rispetto a quello sociale, sono soggetti terzi rispetto al concordato. La volontà negoziale espressa con riferimento al concordato infatti deve ritenersi valere in riferimento al patrimonio e alle obbligazioni assunte dalla società e non anche per quello degli amministratori.
Clausola simul stabunt simul cadent e giusta causa di revoca dell’amministratore
Con riferimento alla clausola simul stabunt simul cadent, qualora le dimissioni della maggioranza dei componenti il consiglio di amministrazione siano esplicitamente giustificate sulla base di un grave inadempimento del restante amministratore (delegato), si applicano analogicamente le regole in tema di revoca dell’amministratore.